lunedì 28 agosto 2023

Barbie

di Greta Gerwig.

con: Margot Robbie, Ryan Gosling, Ariana Greenblatt, Simo Liu, Kinglsey Ben- Adir, Will Ferrell, Kate McKinnon, Dua Lipa, Michael Cera, Alexandra Shipp, America Ferrera, Emerald Fennell, Nicola Coughlan, Emma Mackey, Hari Nef, Ncuti Gatwa, Helen Mirren.

Commedia/Fantastico

Usa, Regno Unito 2023











Ma alla fine, quello di Barbie è davvero un modello diseducativo? Su tale quesito, per anni esperti e amatori si sono dibattuti, senza mai davvero arrivare a dare una risposta completa e definitiva.
Una cosa si può dire: benché il canone di bellezza da modella magra fino ai limiti dell'anoressia è deprecabile, il modello di donna che Barbie ha venduto sin dal suo esordio nei negozi, datato 1959, è quello di una donna emancipata prima ancora che bella, una donna indipendente, il cui boyfriend è poco più di un accessorio, che ha una casa e una macchina di sua proprietà e può fare letteralmente qualsiasi lavoro, dalla casalinga all'astronauta. Un modello che ha insegnato alle bambine che se si vuole essere qualcosa di più di un bel faccino agghindato di rosa, lo si può essere e che la donna non deve essere limitata al ruolo di compagna, segretaria o ancella di sorta. E questo è forse quanto di più progressista si possa insegnare agli infanti.



Il film su Barbie ha però rischiato davvero di essere nulla più che uno spottone pubblicitario e, peggio, una commedia involontariamente ridicola. Si parti da un presupposto: il perché la Mattel abbia deciso di concedere i diritti di sfruttamento cinematografico del marchio è quasi un mistero, visto che le vendite sono sempre alte; forse si è deciso di farlo per cercare di svecchiare l'immagine della bionda smilza più amata dalle bambine e per cercare di arginare le polemiche riguardanti il suo famoso modello di donna.
Fatto sta che, tolto un primo tentativo di produzione negli anni '80 per la mitica Cannon e subito naufragato, il film di Barbie entra in cantiere all'incirca dieci anni fa, per la Sony della tristemente famosa Amy Pascal, la quale, in modo del tutto coerente con la sua disastrosa visione commerciale, decide di affidare il ruolo di protagonista niente meno che a Amy Schumer.
Nelle sue intenzioni, "Barbie" avrebbe dovuto essere un film per millennial, con un modello di donna "nuova" e "lontana" dagli stereotipi. E si, la Schumer è certamente lontana anni luce dallo stereotipo della Barbie, ma se vendere alle ragazzine una donna ai limiti dell'obesità e famosa per lo humor pecoreccio oltre che per le fasulle posizioni progressiste come modello da seguire è davvero una cosa giusta e moderna, allora forse questo tipo di modernità è davvero folle e fuori da ogni logica.




Fortuna ha voluto che, dopo aver gettato letteralmente alle ortiche decine di milioni di dollari in una pre-produzione che non ha portato a nulla, la Sony ha deciso di rivendere i diritti alla Warner. La quale ha preso il progetto con più filosofia, ingaggiando in primis la più calzante Anne Hathaway nel ruolo della protagonista, per poi dare il progetto in mano a Greta Gerwig e al marito Noah Baumbach, i quali hanno per prima cosa portato a bordo Margot Robbie, l'unica attrice vivente in grado di incarnare la bellezza fulgida e un po' svampita della bambola più famosa del mondo.
Ed è proprio il trio di artisti coinvolti che ha permesso a "Barbie" di non essere un semplice spot pubblicitario, ma un film che, sebbene facilone e imperfetto come la tradizione commerciale americana vuole, può dirsi lo stesso riuscito e divertente.




"Barbie" racconta quella che forse è davvero l'unica storia possibile per un progetto del genere: nel "BarbieWorld", Barbie (la Robbie) vive felice e spensierata assieme all'eterno fidanzato Ken (Ryan Gosling), oltre ad un infinito numero di amici, tutti chiamati Barbie e Ken; quando però una serie di pensieri cupi e maturi riguardanti la morte ne distruggono la spensieratezza, la bella bionda decide di abbandonare il suo mondo per recarsi in quello reale, dove scopre come la realtà, quella vera, sia infinite volte più dura e complessa di quanto il rosa schocking e i balletti del suo mondo ideale potessero farle pensare.




"Barbie" è, in un certo senso e fino ad un certo punto, una satira di ciò che effettivamente è, ossia un film che cerca di rivendere un modello di donna ideale in un mondo dove quel modello è, per forza di cosa, troppo perfetto. Non un film sulla guerra dei sessi, quanto la versione satirica di un film sulla guerra dei sessi, che sa quando essere più serio e quando e quanto parodizzare i luoghi comuni di operazioni del genere, arrivando a statuire l'assurdità delle situazioni e della morale in modo esplicito, come a distruggere le aspettative di quel pubblico che si aspetta un film serio tout court. 
Tanto che se tutto il progetto non fosse stato supervisionato e approvato dalla Mattel, si potrebbe pensare ad uno scherzo d'auotre vero e proprio; invece per una volta gli alti papaveri hanno lasciato correre e permesso ad un duo di artisti di sbizzarrirsi, rincuorati dal fatto che a prescindere dall'esito, il film avrebbe venduto.
"Barbie" si muove così su due territori complementari, ossia l'ovvia descrizione della discrasia tra un mondo ideale ed uno vero e la presa di coscienza della responsabilità individuale sulle brutture sociali, con un manto di autoironia talvolta persino acida.




Barbie è la donna perfetta, talmente perfetta che nessuna bambina, ragazza o donna può essere ai suoi livelli. Il suo modello, pur creato da un donna nella speranza di emancipare le bambine, ha finito per creare un paradigma che le ha schiacciate. La Barbie della Robbie compie quindi un percorso da Pinocchio di plastica, arrivando a capire come l'imperfezione sia la vera perfezione, come l'essere umani, pur con tutti i difetti del caso, sia sempre e comunque bello, anche al netto della cellulite, delle rughe e delle visite dal ginecologo.




Ma "Barbie" è anche un film femminista, che però rema contro gli stereotipi del veterofemminismo odierno. Si parla di patriarcato, si inscena una rivolta dei maschi (i Ken) che creano una dittatura fallocentrica, ma la sconfitta del modello maschile e il suo ritorno al rango di subordinato che gli spetta è solo una lettura superficiale. I Ken, nelle parole degli stessi personaggi, sono le donne di BarbieWorld, esseri che vivono in funzione di qualcun altro. La loro rivolta, pur chiamata come rivoluzione patriarcale, altro non è che la metafora di quelle donne che, al contrario, nel mondo reale sono gli accessori dei maschi. 
Come viene risolto questo conflitto? Nell'unico modo sensato, ossia con un'ammissione di colpa della parte dominante nel rapporto e con la realizzazione da parte di quella dominata di essere di più che un orpello al servizio di qualcuno altro. Statuizione che farà venire l'oritacaria ai più irreprensibili odiatori del sesso opposto, ma farà il piacere di chiunque abbia un cervello funzionante. Vien però da ridere quando ci si accorge che, alla fine della storia, il personaggio più complesso del film è Ken, che ha un arco caratteriale completo, mentre Barbie impara unicamente ad essere sé stessa, piuttosto che la parte migliore di sé stessa.
Decisamente meno riuscita è invece la traccia riguardante il rapporto madre/figlia (comune tra l'altro a quel "The Lego Movie" in tutto e per tutto simile a questa operazione) che finisce per scomparire poco alla volta nel corso della durata in favore di tematiche più universali, lasciando la narrazione e la "morale" irrimediabilmente monche.
Tutto è poi ovviamente didascalico, gridato a squarciagola e sottolineato nella maniera più esplicita possibile e va bene così, perché dopotutto si sta pur sempre parlando di un film commerciale americano rivolto principalmente ad un pubblico di bambine.




La Gerwig si diverte immensamente a dar vita alla sua Barbie e al suo colorato mondo, usando scenografie barocche e colori sgargianti, arrivando persino a far camminare gli attori come veri pupazzi. E se Margot Robbie e Ryan Gosling sono come al solito sublimi, la vera sorpresa è Michael Cera, per una volta simpatico nei panni di Allan, l'amico sfigato di Ken.
"Barbie" alla fine diverte e forse riesce a far pensare il suo pubblico di riferimento. Non certo un film memorabile, ma altrettanto sicuramente un film a suo modo intelligente, oltre che immensamente simpatico.

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