lunedì 3 giugno 2024

La Decima Vittima

di Elio Petri.

con: Marcello Mastroianni, Ursula Andress, Elsa Martinelli, Salvo Randone, Massimo Serato, Milo Quesada, Luce Bonifassy, George Wang, Walter Williams, Pier Paolo Capponi.

Fantastico/Commedia/Grottesco

Italia, Francia 1965
















Petri è stato certamente uno degli esponenti più acuti del cinema civile italiano, attraverso il quale ha dato uno spaccato impietoso della società contemporanea. Eppure, c'è un altro merito da riconoscergli e sul quale spesso involontariamente si glissa, ossia quello di aver creato, con "La Decima Vittima", uno dei film più avveniristici che il cinema italiano abbia mai concepito e, forse, uno dei più avveniristici in generale.
Frutto della collaborazione con Carlo Ponti, per il quale ha praticamente diretto un adattamento del romanzo "La Settima Vittima" di  Robert Sheckley, Petri non si è limitato a ricoprire il ruolo di regista  su commissione, ma ha fatto completamente suo il progetto iniettandovi il suo stile grottesco, affiancando alla satira sociale la disanima sugli orrori del matrimonio, ma al contempo lasciando intatta una visione distopica che, oggi, è stata ripresa innumerevoli volte da film ben più famosi e al contempo meno efficaci.




In un futuro imprecisato, la violenza è stata legittimata per il tramite de "la Grande Caccia", uno sport utilizzato per far sfogare gli istinti omicidi dei comuni cittadini al fine di evitare conflitti su larga scala. Le regole sono semplici: gli iscritti si dividono in cacciatori e prede, alternandosi nel ruolo e venendo accoppiati a caso da due supercomputer situati a Ginevra. Chi riesce a sopravvivere ad una caccia vince un premio in denaro e chi riesce a sopravvivere a dieci vince il gioco, ricevendo in cambio un milione di dollari e tutta una serie di benefici fiscali, oltre che la fama imperitura.
L'americana Caroline Meredith (Ursula Andress) è appena sopravvissuta alla sua nona caccia. Per la decima e ultima, viene selezionata come cacciatrice dell'italiano Marcello Poletti (Mastroianni), alla sua settima. Lo scontro si tiene a Roma, sotto gli occhi vigili delle telecamere degli sponsor.




Partendo da un setting fantascientifico, Petri estremizza oltre i limiti del grottesco le contraddizioni della società italiana degli anni '60, ma piuttosto che creare un film datato (o per lo meno completamente datato) riesce, al contrario, ad anticipare diverse intuizioni sia fantastiche che metaforiche a venire.
Si parte ovviamente dalla caccia, mutuata dal romanzo di base. La violenza non è più sanzionata se utilizzata all'interno di un dato contesto e, anzi, la società sprona i cittadini ad uccidersi a vicenda. La mente non può che correre all'infinita serie di "The Purge", così come al giustamente dimenticato "Zebraman 2- Attack on Zebra City" di Miike, dove lo stesso concetto veniva al contempo esteso e limitato; e questo solo per citare le pellicole dove l'influenza è più avvertibile, tanto che si potrebbe contare anche il mai dimenticato "Death Race" di Corman oltre che il classico "Rollerball" e persino il muscolare "The Running Man". La caccia viene poi usata per sponsorizzare dati prodotti e i partecipanti, soprattutto i vincitori, divengono delle superstar, come in "Hunger Games". Perfino la trovata più volutamente pacchiana, ossia il bikini-mitra, è stato ripreso e omaggiato, con superiore spirito grottesco, nel mai troppo lodato "Austin Powers- Il Controspione", la cui versione esagerata dell'estetica anni '60 si rifà apertamente al film di Petri.




Quello ritratto è un mondo distopico e in teoria cupo, che Petri illumina di una luce grottesca la quale, soprattutto nei minuti iniziali, non ne smorza la componente spaventosa, che anzi finisce per esserne accentuata. E piuttosto che ricostruire questo mondo in scenografie impossibili, decide di immergerlo nelle location (all'epoca) più moderne, fatte di costruzioni para-brutalistiche di cemento e vetro, le quali, appaiate a quel look futurista di tanta moda anni '60, concorrono a creare un'estetica pacchiana ma anche elegante, incredibilmente "hip", la quale, rivista oggi, finisce paradossalmente per donare a tutto il film una parvenza di modernità ulteriore piuttosto che renderlo datato, forse proprio a causa del tono grottesco della narrazione.
Se, infatti, all'inizio "La Decima Vittima" potrebbe davvero essere una sorta di thriller fantascientifico canonico, man mano che la storia prosegue lo sguardo di Petri si fa sempre più distaccato e anziché descrivere questo pazzo mondo futuro/contemporaneo con un cipiglio pesante, lo fa con una risata beffarda, andando ad infilare il dito in ferite ancora oggi sanguinanti, ossia la mercificazione dell'essere umano nella società capitalistica, la perdita di qualsivoglia valore umano e etico e la guerra tra sessi.




Nel futuro de "La Decima Vittima", i valori umani e morali non esistono. La glorificazione della violenza è solo il sintomo più evidente di un cinismo del tutto interiorizzato dal tessuto sociale e, prima ancora, dall'individuo. I singoli non hanno idee, né ideali se non quelli dati dal denaro e dall'affermazione personale. Tanto che persino la spiritualità viene prima dimenticata, poi reinventata e mercificata, con il culto dei "tramontisti" che venerano il sole calante per il lucro di Marcello; soggetti allo sbando pronti ad attaccarsi a qualsivoglia credenza pur di colmare un vuoto interiore, vengono sbeffeggiati da un pugno di antagonisti che ne ridicolizzano il bisogno di valori. Alla fine della fiera e nell'economia dello spaccato futuribile, forse le vere vittime della degenerazione sociale sono proprio questo pugno di comparse sfruttate e insultate per i loro bisogni, che perfino Petri, in coerenza con la sua formazione politica, decide volontariamente di dimenticare, enfatizzando piuttosto il ruolo squallido del suo protagonista, ministro di un culto nato come truffa.



A trionfare, semmai, è l'idea del profitto, sia esso economico o emotivo. Da questo punto di vista, tra Caroline e Marcello è quest'ultimo ad essere la figura più mostruosa, un uomo svuotato di ogni passione (anche a causa dei fallimenti coniugali), la cui vacuità è controbilanciata solo dal gusto estetico (clamoroso il look di Mastroianni, che sfoggia anche un inedito capello biondo platino) e dalla passione per quella arte popolare ora divenuta d'essai, con i fumetti della King Features divenuti opere d'arte in una precognizione di quanto sarebbe accaduto negli anni '90; è altresì forse afflitto persino da una forma di impotenza malcelata tramite la poca passione che riversa nella caccia e si trascina interessato unicamente al guadagno insito in ogni singola attività connessa all'omicidio. 
Intorno a lui e alla sua cacciatrice, quel nugolo di individui pronti a lucrare sulla violenza. Da questi, Marcello quasi non si differenzia e, anzi, risulta persino più squallido quando si scopre la sua funzione di guru da strapazzo. Eppure, Petri guarda a questo simbolo di una modernità disumana con piglio patetico, descrivendolo come una persona triste e stanca; è un caso che abbia lo stesso nome del protagonista de "La Dolce Vita"? Non per nulla, alla fine del capolavoro di Fellini anche il suo Marcello scivolava in una forma di depressione cinica. 
Pur non descrivendolo in modo benigno, Petri concede lui una profondità apparentemente stridente con ciò che rappresenta, quando si scopre che, in barba alla legge, non vuole consegnare i genitori allo Stato, in un mondo dove anche la vecchiaia è considerata come un errore da punire. Il suo gesto è un atto di ribellione, non tanto di amore filiale, uno sputo in faccia ad una regola imposta in modo coercitivo. Il suo ruolo è quindi quello di un ribelle? La risposta è quantomai complessa.




Marcello è perfettamente inserito nel sistema di non-valori che società futuribile predica. E' cinico e non riesce a portare avanti una relazione con nessuna delle sue partner, tanto che il conflitto principale con Caroline assume le forme di una seduzione nella quale il maschio braccato non vuole cedere alle avances per evitare di doversi impegnare sia sentimentalmente che economicamente. 
Marcello accetta passivamente gli orrori della Grande Caccia e usufruisce della generale mancanza di morale per il proprio guadagno. Non si ribella al sistema, le cui storture sembrano andargli a genio finché può usarle a suo vantaggio. Allora perché non fa uccidere i suoi genitori? Forse semplicemente perché non ne trarrebbe profitto alcuno, da cui la percezione della legge sulla soppressione degli anziani come ingiusta.
In tal senso, Marcello è la perfetta incarnazione dell'italiano medio, una figura meschina e individualista che riesce a pensare solo al proprio benessere e si ribella al sistema dominante solo quando questo atto può effettivamente garantirgli un vantaggio materiale o quando l'atto di ribellione in sé sia rivolto contro una coercizione ritenuta materialmente inutile. Sessant'anni fa personaggi del genere diventavano brigatisti per puro ludibrio personale, oggi si ribellano all'uso del POS nei negozi solo perché è lo Stato a consigliarne l'utilizzo. 
La depressione deriva così unicamente dalla perdita del benessere materiale, rappresentata dalla ex moglie e dall'amante che lo braccano in cerca di denaro e del contratto matrimoniale. Da cui l'astio verso l'istituzione del matrimonio.




Il matrimonio, ne "La Decima Vittima" è un contratto di puro interesse che incatena l'uomo e lo svuota di ogni virilità, in una presa di posizione che forse avrebbe fatto le gioie di John Cassavetes e Marco Ferreri. Il matrimonio è la classica "tomba dell'amore" nella quale vengono sepolti tutti i veri sentimenti, sostituiti dal mercimonio dei beni materiali; la donna, di conseguenza, è una mera cacciatrice di dote assetata del benessere materiale, mentre l'uomo è un essere rimasto privo di ogni valenza emotiva e persino carnale, non più un maschio ruspante quanto una sorta di "bancomat semovente".
La figura della donna (ed è qui che Ferreri avrebbe obiettato) è così quella di una cupida assettata di benessere, il cui ruolo consiste nel depredare un maschio che è pura stanchezza. Una donna selvaggia e volitiva, ma anche forte e determinata, da cui il perfetto casting di Ursula Andress, valchiria dal fisico imponente pronta a schiacciare il minuto Mastroianni. Nella guerra dei sessi, per Petri, esistono un sesso forte e uno debole, i cui ruoli non sono scontati. Il suo biasimo non è però rivolto alla guadagnata posizione di predatrice della donna, quanto all'istituzione matrimoniale in sé stessa e alla paura che essa esercita sul maschio, decisamente attaccato ai beni materiali. Da cui quel finale dove il grottesco sconfina nel demenziale, un incubo surreale dove l'imbelle e patetico maschio riceve il meritato castigo.




La forza e la bellezza de "La Decima Vittima" sono tutt'oggi apprezzabilissimi. Una metafora tanto divertita quanto penetrante posta all'interno di un contesto sci-fi intrigante, in una pellicola da riscoprire anche solo per capire come anche il cinema italiano possa fare ottima fantascienza.

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