mercoledì 19 giugno 2024

Lumberjack the Monster

Kaibutsu no kikori

di Takashi Miike.

con: Kazuya Kamenashi, Nanao, Riho Yoshioka, Keisuke Horibe, Minosuke, Shido Nakamura, Kyohiko Shibukawa, Shota Sometani, Reon Yuzuki.

Giappone 2023
















---CONTIENE SPOILER---

Cercare di dire qualcosa di originale con la tematica ultra abusata del serial killer è impresa ardua anche per un regista navigato come Takashi Miike e "Lumberjack the Monster" è il suo tentativo di far dire qualcosa di diverso, benché non proprio originale, alla solita storia su di un killer mascherato inseguito dalla polizia. Il risultato non è certo memorabile, ma neanche disprezzabile.




Akira Ninomiya (Kazuya Kamenashi) è un giovane e brillante avvocato, il quale nasconde un segreto oscuro: è uno psicopatico assassino. Assieme ad un collega medico, infatti, si diletta ad uccidere innocenti per poi usarli come cavie da laboratorio. Il paradosso è però dietro l'angolo: per la città è a piede libero un killer mascherato che lo aggredisce. Sopravvissuto all'attacco, Akira scopre di avere un chip impiantato nel cervello, che sembra limitarne l'empatia. Si mette così sulle tracce del suo assalitore, mentre la polizia si affida per il caso alla bella profiler Arashiko Toshiro (Nanao).




Un serial killer miete le proprie vittime ispirandosi ad una favola per bambini su di un mostro che si traveste da uomo; sembra quasi di leggere la sinossi del Monster di Naoki Urusawa, se non fosse che l'ultima fatica di Miike altro non è se non l'adattamento di un romanzo di Mayusuke Kurai, divenuto un best-seller in patria giusto qualche anno fa. L'influenza del prolifico mangaka si limita a solo qualche sparuto elemento, visto che per il resto "Lumberjack" è una storia con un significato in parte diverso: entrambe narrano di assassini seriali creati dall'uomo, anche questo è vero, ma la struttura e in generale la storia imbastita da Kurai e portata in scena da Miike è totalmente differente, restando in territori decisamente più convenzionali.




Lumberjack the Monster è il più classico thriller con elementi di whodunit che si possa immaginare, con tanto di red herring dato dall'agente Inue e risoluzione catartica con annessa spiegazione dell'antefatto. A mancare è solo il body-count, lasciato sempre fuori scena, con la narrazione che si focalizza principalmente sui personaggi e la tematica sempiterna del concetto di male umano.
Il conflitto è dato da Akira e il suo misterioso persecutore, ma alla base di tutto, in una mezza citazione de Il Gatto a Nove Code di Argento, c'è una ricerca scientifica che ha portato all'isolamento dell' "elemento nel male" presente nell'uomo, in questo caso un chip cerebrale che blocca le funzioni di empatia per arrivare a creare dei veri e propri assassini. Akira è uno di questi "killer fatti in casa", sopravvissuto da bambino ad una coppia di scienziati pazzi ossessionati dalla possibilità di curare il figlio affetto da devianze criminale.
Quello di Akira diviene così un inedito percorso di redenzione, che lo porta dall'essere un assassino spietato e egoista (come esplicitato nella prima scena) ad un uomo dotato di empatia che arriva persino a sacrificarsi per la donna che ama.
Una commistione, quella tra thriller classico e derive fantascientifiche, che finisce per ricordare un altro celebre adattamento al quale Miike ha lavorato, quello di MPD Psycho, ma dal quale si differenzia per un'atmosfera molto meno cupa e morbosa.




In questo coacervo di intuizioni interessanti e derivatività tangibile, il buon Miike fa il suo dovere usando una costruzione della scena che finisce per ricordare tanto cinema americano piuttosto che quello nipponico. La sua mano, semmai, si avverte nell'uso del montaggio sonoro, con il commento musicale che cala quando il protagonista viene distratto per sottolinearne lo stato di alterazione mentale, così come nella descrizione della villa nella quale l'esperimento si è consumato, vera e propria reminiscenza di tanto giallo gotico anni '70, che forse non sfigurerebbe nell'adattamento di qualche opera più mainstream di Edogawa Rampo.




Per il resto, "Lumberjack the Monster" è un thriller canonico e privo di veri punti di interesse, che Miike porta anche in scena con meno svogliatezza del solito, ma che non riesce mai a rendere davvero interessante.

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