venerdì 28 giugno 2024

Lupin III- La Pietra della Saggezza

Rupan Sansei

di Soji Yoshikawa & Yasuo Otsuka.

Animazione/Surreale

Giappone 1978




















Tra le innumerevoli incarnazioni animate del Lupin di Monkey Punch, quella che ha ricevuto più plauso è stata (giustamente) Il Castello di Cagliostro. Eppure, l'esordio alla regia nel lungometraggio del sensei Miyazaki non è certo l'incarnazione più precisa del ladro gentiluomo dalla giacca sgargiante.
Se c'è una trasposizione filmica che ha invece il merito di catturare alla perfezione l'essenza del manga, questa è senza dubbio la prima in assoluto (prima in animazione, ovviamente), quel La Pietra della Saggezza che nel 1978 sancì il passaggio di Lupin III da piccolo fenomeno televisivo a vera e propria icona pop in patria.



La storia della produzione del film è presto detta: a seguito della riscoperta della prima serie animata da parte del pubblico, Tokyo Movie Shinsha mette in cantiere una seconda serie, che resta tutt'oggi la più celebre, ossia quella "con la giacca rossa"; contemporaneamente viene messo in produzione anche un film d'animazione, il primo con protagonista Lupin III, ma non il primo film cinematografico in assoluto per il personaggio, visto che qualche anno prima era uscito La Strana Strategia Psicocinetica, sua prima versione live-action poi divenuta uno scult anche presto dimenticato.
La produzione del film finisce però per protrarsi oltre il dovuto e il motivo è anche imbarazzante: praticamente nessuno degli autori della prima serie è disponibile per ritornare. Miyazaki e Isao Takahata, in particolare, sono alle prese con la produzione del capolavoro televisivo Conan il Ragazzo del Futuro e riusciranno a rimettere le mani sulle avventure del ladro gentiluomo solo qualche anno dopo.




Con le nuove leve tutte impegnate nella produzione della serie tv, il film finisce nelle mani di un gruppo di animatori esterni, guidati dal mitico Yasuo Otsuka come sempre nelle vesti di direttore dell'animazione, ma il cui contributo finisce per estendersi anche alla concezione artistica, divenendo così parte essenziale nella direzione.
Alla regia viene chiamato Soji Yoshikawa, veterano del mitico studio Mushi Production di Osamu Tezuko, mentre alla sceneggiatura c'è Atsushi Yamatoya, che qualche anno prima aveva firmato gli script di alcune delle più celebri pellicole di Seijun Suzuki; e questo collegamento è in realtà essenziale per comprendere il tono del film.
Tono che è praticamente quello del manga, vicinissimo al cinema di genere degli anni  '60 e '70, cosa che giusto qualche anno prima sarebbe stato impossibile: la prima serie televisiva aveva dovuto edulcorare parecchio i toni originali, tanto che il pilot creato come prova di concetto da Miyazaki e soci in origine fu rigettato da TMS perché ritenuto impossibile da trasmettere. Nella seconda metà degli anni '70, quei film oggi definibili come "pulp" dominavano il botteghino nipponico e quel pilot era divenuto automaticamente vendibile, soprattutto in sala. Yoshikawa e Yamatoya riprendono così quanto fatto a inizio decennio e lo espandono, costruendoci attorno una storia strampalata e gustosamente bizzarra.




Lupin III è morto, giustiziato a mezzo impiccagione in Transilvania. Morte che però non convince il mastino Zenigata, che ne viola la tomba (situata in un castello, in una notte buia e tempestosa) per trovarlo vivo e vegeto.
Ritroviamo Zenigata e Lupin in Egitto, dove il ladro, assieme al fido Jigen, discute di questo strano episodio. I due sono sulle tracce di una pietra a prima vista innocua, ma che si rivela essere la mitologica pietra filosofale ("pietra dell'uomo saggio" nella versione italiana). Il furto del mcguffin è nato dalla volontà di Lupin di andare a letto con Fujiko, che le ha commissionato il colpo ovviamente, ma la quale a sua volta lavora per Mamo, un misterioso individuo dai poteri apparentemente divini.




Un Lupin che sembra uscito direttamente dalle pagine del manga, quello de La Pietra della Saggezza; a partire dal design, del tutto simile a quello di Monkey Punch, con le proporzioni sballate e l'estrema espressività dei volti. Ma, ancora più, è la storia ad essere strutturata come una sua classica avventura a fumetti, ossia come una seri di inseguimenti che culminano con un confronto finale con il cattivo di turno. Ogni sequenza è così basata sulla caccia al prezioso, la caccia alla donna, la caccia al ladro. Ogni azione viene poi gonfiata fino all'iperbole, divenendo improbabile, apertamente cartoonesca, come un episodio di Tom & Jerry (non per nulla tra le ispirazioni del manga) con personaggi umanoidi.
La regia fa poi un passo in più a tratti sconfina direttamente nei territori del lisergico, con alcune sequenze altamente visionarie e surreali. Su tutte, è ovviamente quella nella quale Lupin si risveglia nel quartier generale di Mamo ad essere  clamorosamente onirica, con il protagonista che inizia di punto in bianco a viaggiare tra le architetture di Escher e i quadri di De Chirico e Dalì; ma per tutto il film è avvertibile la volontà di creare un'avventura lontana da tutti i canoni di verisimiglianza, vicinissima al gusto surrealista di tanto cinema di genere, sia esso di animazione e non; il che gli dona un'indole altamente originale, prima ancora che gustosa.




La storia, d'altro canto, è quanto di più ordinario possibile, con un supercattivo bondiano intenzionato conquistare il mondo tramite la creazione di una nuova civiltà super-perfetta e Fujiko a ricoprire il ruolo di bella da salvare, per quanto sempre caratterizzata come una femme fatale doppiogiochista. Persino la trovata del doppio Lupin e la correlativa ambiguità sull'identità di quello che fa da protagonista viene liquidata in quattro e quattr'otto, senza darle il giusto peso.  
A far funzionare tutto è quindi, oltre alla messa in scena, la caratterizzazione dei personaggi e le relative dinamiche, davvero accattivanti. Lupin, Jigen e Goemon sono tre amiconi il cui rapporto è quello dell'amicizia virile, tre adulti che tengono l'un l'altro come a dei fratelli; ognuno a modo suo, ovviamente, con Goemon chiuso in sé stesso e che si esprime con aforismi rivolti a criticare la libidine selvaggia di Lupin e Jigen, qui un anarchico convinto, che si oppone al suo rapporto "tossico" con Fujiko, ma è lo stesso sempre pronto a salvarli.
Lupin è qui più libidinoso che mai, mosso praticamente dalla sola voglia di saltare addosso alla prosperosa ladra motociclista; più scanzonato, più esibizionista, ma sempre furbo e pronto a risolvere la situazione, come una sorta di Looney Toon antopomorfo e dedito ai piaceri carnali, un personaggio che, come il villain sottolinea, può essere solo o un dio o un completo idiota baciato dalla fortuna.




Mamo, a sua volta, è una figura simpatica e inquietante, un mostriciattolo geniale dal design dir poco ottimo, ricalcato, come apertamente affermato dagli autori, sul look di Paul Williams ne Il Fantasma del Palcoscenico di De Palma. Il classico villain "bigger than life", che lo script si diverte a gonfiare fino all'iperbole con quel piano di dominazione mondiale che passa attraverso un esercito di cloni delle più grandi personalità della storia umana e un passato misterioso, forse quello di un vero essere divino, forse solo quello di un abilissimo imbroglione, non si sa.




Quel che si sa è che, in barba a tutto, la regia si diverte tantissimo a giocare al rialzo, con situazioni sempre più improbabili, fino a culminare in uno scontro finale dove il tasso il tasso lisergico diventa quasi tangibile.
L'animazione, d'altro canto, soffre di un budget non adeguato. La bellezza e la fluidità che si vedranno in Cagliostro qui non ci sono e il livello è più o meno quello di un buon episodio della serie. Alcune trovate stiliste riescono però a tenere alta l'estetica, la quale non delude davvero mai. L'uso di inserti fotografici è uno di queste, la quale contribuisce a rendere la visione psichedelica, ma anche il modo in cui Yoshikawa costruisce i fotogrammi riesce a trasmettere un senso di grandezza che olbitera le mancanze dell'animazione.
A coronare il tutto ci pensa poi la celebre colonna sonora di Yuji Ohno, che qui crea quei componimenti jazz che diventeranno parte integrante dell'identità del personaggio.




La Pietra della Saggezza non ha certo la raffinatezza de Il Castello di Cagliostro, ma l'estrema vicinanza all'essenza della creatura di Monkey Punch e il suo stile lisergico e scanzonato riescono tutt'oggi a renderne la visione godibile e divertente, ossia ciò che serve per apprezzare davvero le avventure di Lupin III.

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