venerdì 24 gennaio 2014

La Terza Generazione


Die Dritte Generation

di Rainer Werner Fassbinder

con: Hanna Schygulla, Volker Spengler, Eddie Constantine, Udo Kier, Gunther Kaufman, Margrtit Carstensen, Bulle Ogier, Hark Bohm,Vitus Zeplichal, Harry Baer, Y Sa Lo.

Grottesco

Germania (1979)






Nel pieno del fervore rivoluzionario tedesco del 1978, Fassbinder decide di scrivere e girare il suo film più smaccatamente politico, nel quale mette alla berlina gli ideali di rivalsa della classe intellettuale teutonica dell'epoca; il risultato è il suo film più cinico e acido.


Nella Berlino della fine degli anni '70, sullo sfondo di una società sempre più tecnologizzata, si muove un gruppo di borghesi rivoluzionari che, tra un ritardo e l'altro, tenta di "sovvertire il sistema" con ogni mezzo.


Protagonista assoluto del film (fin dal titolo) è la terza generazione tedesca, pronipote di coloro i quali vissero il nazismo e figlia dei tutori dello status quo, di fatto rappresentati mediante il personaggio del commissario; la terza generazione, della quale lo stesso Fassbinder faceva parte, è caratterizzata dalla più opprimente delle crisi identitarie: perfettamente integrata a livello socio-economico, ha tuttavia sogni rivoluzionari di imprecisati matrice e derivazione; di fatto, tutti i personaggi della piccola comune hanno i pregi e i difetti della ricca classe media: il benessere sociale, la bellezza, gli agi, ma anche la stupidità, il servilismo cieco, l'opprimente senso del possesso fisico del partner, che sfocia nel maschilismo più bieco da un lato e nella sottomissione totale dall'altro, a scapito di ogni aspirazione e conquista femminista; ciò che manca alla cellula di piccoli rivoluzionari è l'ideologia, o per meglio dire "l'ideale rivoluzionario" vero e proprio; l'unico a leggere Bakunin e a commentarlo è un membro esterno al gruppo, di nobili natali ai quali ha rinunciato, e che viene schernito o ignorato proprio per la sua cultura; dulcis in fundo: l'unico vero proletario del gruppo, per di più nero, viene inglobato nell'organizzazione solo a causa della sua preparazione militare.


I rivoluzionari di Fassbinder sono stupidi e sciatti; perseguono il loro fine in modo blando ed effimero, come se si trattasse di un gioco (l'operazione "Monopoly") e non prendono mai davvero sul serio ciò che fanno, nemmeno dopo la morte di uno dei loro compagni. E se la Terza Generazione è composta da inetti, non sono di certo migliori le due precedenti; la prima generazione è composta da vecchi idealisti totalmente chiusi nel passato e, per questo, incapaci di relazionarsi con il presente; la seconda, invece, è quella dei "padroni", quella del nemico da abbattere; e che tuttavia vive in un processo di perfetta simbiosi con la propria nemesi: lo stesso organizzatore della cellula è colui che ne rivela i piani alla polizia, in preda come ad una crisi d'identità totale splendidamente simboleggiata dai travestimenti che usa per depistare gli inseguitori; ma è sopratutto la figura dell'industriale ad essere la più estrema e radicale: un magnate che possiede tutto e tutti (anche fisicamente) e che trae profitto persino dall'attività pseudo-sovversiva dei suoi presunti antagonisti.


Per Fassbinder, dunque, non ci sono dubbi: la classe media non può attuare una rivoluzione in quanto legata a doppio filo con i propri nemici, ma anche perchè del tutto priva di idee che possano davvero sradicare l'ordine costituito; i sovversivi non sono che pupazzi in un gioco più grande di loro (non per nulla la scena del rapimento finale è ambientata il giorno di martedì grasso) e i proletari non sono che derelitti da sfruttare per poi abbandonare.


E il vuoto morale e politico della terza generazione viene perfettamente simboleggiato dalla messa in scena, che qui il grande autore rende ancora più ricercata; la profondità di campo delle immagini raggiunge vette inusitate, atte a simboleggiare il distacco totale tra l'autore e i suoi personaggi; tutto il film è ammantato in un'atmosfera grigia e fredda, sia nei colori che nei dettagli; ogni azione del gruppo viene caricata di un'ironia votata al ridicolo, che riduce i personaggi in macchiette stupide; all'inizio di ognuno dei sei atti che compongono la narrazione, Fassbinder mostra delle scritte prese di peso dai gabinetti pubblici dell'epoca, per il illustrare il vero pensiero popolare della Germania dell'Ovest; e in ogni scena si sente in sottofondo il rumore di un televisore o di una radio, a sottolineare come la tecnocrazia dei "padroni" sia ormai divenuta routine anche negli ambienti presuntuosamente radicali;


Il tono freddo e distaccato e l'ironia acida rendono "La Terza Generazione" un atto d'accusa riuscito e ancora oggi godibile, anche se forse troppo compiaciuto ed intellettuale; la vena caustica ben descrive la spirale di vacuità dei personaggi, ma la critica di Fassbinder non raggiunge le vette artistiche di altri grandi intellettuali del cinema che si sono cimentati, prima di lui, nella disanima del Sessantottismo, prima tra tutti Godard con il suo capolavoro "La Cinese" (1967).

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