con: Totò, Ninetto Davoli, Femi Benussi, Alberto Bevilacqua, Renato Capogna, Alfredo Leggi.
Italia (1966)
Con "Uccellacci e Uccellini" Pasolini firma la sua opera più originale, nonchè una delle sue più complesse, al punto da risultare, a tratti, criptico; pellicola importante anche perchè segna l'inizio del sodalizio con Ninetto Davoli (che già era comparso ne "Il Vangelo secondo Matteo" due anni prima e che sarà presente nella maggior parte della produzione pasoliniana successiva) e sopratutto con Totò, nel quale il grande artista trova una perfetta maschera espressiva.
Totò e Ninetto, padre e figlio, vagano per la periferia romana, apparentemente senza meta; ad accompagnarli c'è un corvo parlante, che si introduce come intellettuale marxista; lo strambo trio è protagonista di una serie di episodi surreali e metaforici, tra i quali: i tre attraversano delle vie intitolate a gente comune e di umili origini, anzicchè ad eroi ed eventi storici importanti; mentre Ninetto fa le avances ad una giovane vestita da angelo, Totò assiste al ritrovamento di una vecchia coppia di coniugi suicidatasi poco prima; il corvo racconta ai due compagni la storia di due frati francescani (interpretati sempre da Totò e Ninetto Davoli) che cercano di portare la parola di Dio ai falchi e ai passerotti; Totò cerca di ottenere dei soldi da una famiglia di poveracci, per poi dover sottostare anch'egli alle angherie di un grosso borghese.
Abbandonato ogni riferimento al neorealismo (fatta salva la scelta degli attori, anche qui presi dalla strada), Pasolini crea una vera e propria fiaba moderna che, a suo stesso dire, cela innumerevoli significati nelle sue immagini; costruisce l'intera narrazione come una serie di episodi con i tre protagonisti come unico tràit d'union e con un unico scopo: fornire uno spaccato completo, irriverente e divertito, ma al contempo rassegnato dell'Italia del boom economico.
Per comprendere appieno ogni rimando ed ogni metafora bisogna tenere presente il contesto nel quale il film è stato girato; alla metà degli anni '60 l'economia in Italia comincia a crescere; la possibilità di passaggio da una classe sociale all'altra diviene più semplice e il proletario comincia quindi a sostituire il sogno rivoluzionario di stampo marxista con quello, più semplice ed immediato, di entrare a far parte della borghesia per goderne i medesimi privilegi; ad un contesto del genere va aggiunto un episodio specifico, che Pasolini rievoca esplicitamente nel corso del film: la morte di Palmiro Togliatti, il leader del PCI, che guidò fino a renderlo il partito comunista più forte e politicamente influente di tutto il Blocco Occidentale, oltre ad aver partecipato all'Assemblea Costituente; il venir meno del carismatico leader comporta un forte cambiamento nella percezione che il popolo ha del partito, che così perde ogni sua forza e credibilità dinanzi all'elettorato.
L'infrangersi del sogno marxista e i rapidi cambiamenti di costume portano il grande autore a formulare un interrogativo serio ed urgente, che apre il film: dove sta andando questa società? Risposta: Boh?! E di fatto, "Uccellacci e Uccellini", sotto lo strato di metafora e spaccato, altro non è che un road movie senza epilogo, un viaggio verso il nulla con protagonisti tre emblemi dell'Italia di allora ed ora: un ex proletario arricchitosi e ora smanioso di agire come un borghese, un giovane borghesuccio scanzonato e privo di ideali ed un intellettuale fallito, un "uccellaccio del malaugurio" che non sa più cosa predicare nè a chi, e che alla fine sarà sbranato dai suoi compagni, ossia da quella società che aveva cercato di istruire; il che è inquietante se si tiene conto di come esso altro non sia che la controparte di Pasolini stesso, il quale così facendo arriva a predire la sua stessa morte con nove anni di anticipo.
Ogni episodio, si diceva, è metafora pura, così come lo sono i gesti e le pose degli attori; l'episodio più celebre, che dà anche il titolo al film, è quello dei due frati francescani, raccontato dal corvo; in esso Pasolini rielabora la tesi già esposta ne "Il Vangelo secondo Matteo" (1964) per giungere ad una conclusione diversa e definitiva; la parola di Dio è il Verbo che deve unire le classi sociali dei borghesi (falchi) e dei proletari (i passeri); solo il Verbo è in grado di porre fine all'opposizione (violenta e non) tra le due categorie perchè in esso coesistono sia le aspirazioni paritarie proprie del marxismo che le radici della cultura borghese; il Verbo deve essere insegnato con le parole di ciascuna classe e ad insegnarlo ci si deve spogliare di ogni velleità , come accade quando il frate scaccia i saltimbanchi dal tempio (e Totò, in quanto "attore popolare" rappresenta sia il proletario medio, sia il "mito", l'icona che il popolo "venera"); tuttavia, anche una volta conosciuta la parola di Dio, i falchi continuano a divorare i passeri; Pasolini prende così coscienza del fallimento del sogno marxista, ma anche dell'impossibilità dell'unificazione di due fazione che per lo stessa natura si distruggono per sopravvivere. Non vi può essere pacificazione; pur tuttavia, a seguito del mutamento economico e della morte di Togliatti e degli ideali rivoluzionari primigenei (ossia purgati da quello spirito radicale/criminale che li incrosterà a partire dalle contestazioni sessantottine); il proletario comincia così a non essere più il reietto della società, bensì una parte integrante di esso: i suoi costumi sono gli stessi del borghese (Ninetto che balla all'inizio del film assieme ai ragazzi con la "r" moscia, Totò che spreme la famiglia di poveracci così come egli stesso viene spremuto da chi è più ricco di lui) i suoi sogni e i suoi bisogni anche; ecco dunque l'affacciarsi anche nel''estrema e povera periferia della donna oggetto, vista come sogno e desiderio (non per nulla il suo nome è "Luna"), ma anche come puttana da comprare, in netta antitesi alla donna ideale, vestita da angelo, che Ninetto non può avere.
Tuttavia, l'assimilazione alla classe borghese è possibile solo per coloro che possiedono i mezzi per "accedere" al boom; si ha così una frattura, una cesura netta tra il proletariato (ora nuova classe media) e il sottoproletariato (ora nuovo proletariato); quest'ultima classe è quella degli "ultimi tra gli ultimi", coloro ai quali la crescita sociale non ha portato benefici ma solo guai; ed ecco apparire un gruppo di attori scassati (in tutti i sensi), che recitano la caduta di Roma prima di abbandonare i propri figli, o, peggio, i poveri contadini rimasti senza soldi a causa dello strozzinaggio del personaggio di Totò, che non possono sfamare i propri figli, che giacciono addormentati per giorni, e che sono costretti a nutrirsi con un nido di rondine, ossia a cannibalizzare la propria stessa prole (proprio come riaffermato di recente da Virzì ne "Il Capitale Umano"); la nuova classe media, invece, pur con le sue prerogative e la sua arroganza cialtronesca, deve anch'essa sottostare alle angherie dei falchi, i padroni, che non si fanno remore ad aggredirli, in un gioco di specchi che pare infinito, proprio come il viaggio dei personaggi.
Viaggio senza meta per tutti, tranne che per uno: il corvo, l'intellettuale starnazzante i cui insegnamenti e le cui suppliche non vengono ascoltate; figura del quale Pasolini presagisce (purtroppo veritieramente) la scomparsa, per mano dapprima dell'intellettualismo borghese di stampo prettamente enciclopedico ed accademico (gli intellettuali a casa dell'ingegnere), ma sopratutto ad opera della classe media, che divora letteralmente colui venuto per salvarli; eppure Pasolini non canta un'elegia nostalgica o, peggio, polemica verso la fine degli ideali: il corvo afferma, testualmente, "Io non piango sulla fine delle mie idee, perchè verrà sicuramente qualcun'altro a prendere in mano la mia bandiera e a portarla avanti; è me stesso che piango!"; la sua tristezza è rivolta alla scomparsa di coloro che quelli ideali propugnavano e che con il loro carisma riuscivano a ridestare le coscienze sopite (Togliatti, San Francesco) ora scomparsi e di cui la società sente (allora come ora) il vuoto; la mancanza di figure di riferimento nel panorama politico ed intellettuale ha di fatto portato alla rovina del paese, alla scomparsa di quegli ideali che il grande autore propagandava (poichè era in errore: nessuno ha raccolto la sua bandiera) e all'imbarbarimento dei costumi (il '68, l'edonismo sfrenato, il berlusconismo, il qualunquismo, ossia l'avverarsi delle sue peggiori paure).
Eppure, in questo fallimento, in questo viaggio senza arrivo e senza ritorno, resta l'opera del grande autore emiliano, che oggi più che mai si dimostra attuale e feconda, che merita di essere riscoperta per comprendere come molti dei mali dell'attuale società fossero stati preconizzati, con acume e lungimiranza, già cinquant'anni fa.
EXTRA:
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