con: Josh Brolin, Elizabeth Olsen, Sharlto Copley, Samuel L.Jackson, Michael Imperioli, Pom Klementieff, Max Casella.
Drammatico/Thriller
Usa (2013)
---SPOILERS INSIDE---
Remake, rifare, rigirare, ri-creare, re-immaginare; un' "arte" che ossessiona Hollywood e che negli ultimi anni, complice una bulimica carenza di idee, ha portato le major ad "americanizzare" ogni singolo film non americano anche solo involontariamente graziato dal successo di critica o pubblico. E il remake di "Oldboy" (2003), il brutale e struggente capolavoro del maestro Park Chan-Wook, era un passo inevitabile: il cult per antonomasia degli anni '00 era una preda troppo ghiotta per non essere divorata; e se la scelta di un regista anticonformista e dotato come Spike Lee sembrava azzeccata per dirigere il cupo dramma di vendetta di Oh Dae-Su in chiave occidentale, il risultato finale è, malauguratamente, frustrato proprio da una regia scialba e poco ispirata.
La trama è la medesima del film di Park e del manga di Nabuaki Minegishi e Garon Tsuchiya: lo sregolato Joe Deucett (Josh Brolin), dedito all'alcool e alla fornicazione, viene segregato per venti anni in una stanza-prigione senza un motivo apparente; liberato di punto in bianco, Joe decide di vendicarsi del suo misterioso assalitore.
La brutalità della storia e il suoi risvolti più crudi e "scandalosi" vengono mantenuti anche in questa "versione yankee": l'incesto come innesco della vendetta e punizione ritorna, senza alleggerimenti di sorta; anzi, Lee e lo sceneggiatore Mark Protosevich alzano ancora più il tiro: il "cattivo" Pryce (Copley) non è semplicemente legato da una relazione incestuosa alla sola sorella, ma alla sua intera famiglia; e nel finale, Joe non si fa cancellare la memoria, ma continua a vivere con i ricordi del dramma vissuto per punirsi; il pericolo di vedere la storia originale snaturata ed ammarbidita è fortunatamente evitata, ma ciò non riesce comunque a salvare l'operazione.
Quello che manca alla pellicola di Lee è l'enfasi; ogni scena viene costruita senza sottolinearne la carica drammatica; ogni forma di tensione viene vanificata, come se l'autore volesse concentrarsi più sul dramma umano che sui risvolti "hard-boiled"; intenzione che cozza fortemente con la costruzione narrativa, tutta basata sulla duplice vendetta dei due antagonisti.
Il film, in pratica, non decolla mai, non coinvolge, nè stupisce: tutto scorre su schermo senza guizzi, lasciando lo spettatore avvolto nel gelo della mancanza di empatia. E se il cult di Park era, stilisticamente, un coacervo di dramma, pellicola di genere e commedia dove la violenza era diretta, Lee usa uno stile iperrealista ai limiti del cartoonesco dove la violenza è, si, forte, ma talmente esasperata da raggiungere quasi il parossistico; basterebbe vedere la scena del pestaggio ai danni degli studenti per accorgersi della sua inefficacia: plastica e spezzata, sembra uscita da un comic movie supereoistico piuttosto che da un crime-drama.
E a nulla serve citare la mitica scena del pestaggio nel corridoio del film originale o costruire i flashback come visioni: la regia resta sempre fredda e priva di mordente.
Nemmeno l'ottimo cast può risollevare le sorti della visione; Brolin, in testa, riesce a dare una carica di sudiciume e violenza inusitata al suo personaggio, Sharlto Copley riesce a caratterizzare Pryce come un mellifluo gentiluomo senza scadere nella macchietta e Elizabeth Olsen dona sensualità e carattere alla sua Marie, pur relegata sullo sfondo della vicenda; talento sprecato: Lee dirige il tutto "con il pilota automatico" e persino le belle performances non bucano lo schermo; e non si capisce il perchè: l'ultima volta che l'autore newyorkese si è dato al cinema "commerciale" ha sfornato quel piccolo gioiello di "Inside Man" (2006).
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