giovedì 11 dicembre 2014

Titanic

di James Cameron

con: Leonardo DiCaprio, Kate Winslett, Billy Zane, Frances Fisher, Bill Paxton, Kathy Bates.

Drammatico/Storico

Usa (1997)


















Nel 1960, Jean-Luc Godard scrive su "Les Cahiers du Cinema" il suo articolo più famoso e provocatorio: una riflessione sulla moralità della messa in scena mediante l'uso della grammatica filmica. Lo spunto per la riflessione è la visione di "Kapò", secondo lungometraggio di finzione del compianto Gillo Pontecorvo; ambientato in un campo di concentramento austriaco, "Kapò"si apre con un'immagine spiazzante su tutti i livelli: la giovane protagonista appesa al filo spinato della recinzione guarda in lontananza; l'inquadratura è un carrello laterale che si allontana dal soggetto per scoprire il paesaggio: un movimento fluido, un'inquadratura esteticamente impeccabile, genuinamente "bella". Ciò che è inaccettabile, per Godard e in seguito anche per Jacqeus Rivette che riprese il discorso un anno dopo, è la discrasia totale tra il soggetto raccontato e il modo di raccontarlo: nel raccontare una tragedia umana reale, non si può utilizzare un linguaggio esteticamente ricercato e sofisticato, tendente al bello, poichè si finisce inevitabilmente per imbellettare l'orrore, renderlo appagante per i sensi; attività che porta a travisare la realtà storica da un lato, ad abusare il registro drammaturgico dall'altro. Trasformare la tragedia in qualcosa di bello è un atto immorale nel senso più genuino: contrario ad ogni forma di morale perchè del tutto irrispettoso della materia trattata.
Vien da chiedersi cosa abbia pensato Godard guardando le immagini di "Titanic".


Fin dai primissimi fotogrammi è avvertibile tutto il compiacimento di Cameron nella spettacolarizzazione della storia; si comincia con un flaschback lungo tutto il film, per dare un senso di magnificenza alla narrazione; ogni inquadratura è ricercatissima, volta a dare spazio alle scenografie spettacolari, agli effetti speciali (all'epoca) sbalorditivi, ai costumi eleganti e alla fisicità dei due interpreti, un Leonardo DiCaprio ancora efebico ed una Kate Winslett dalla bellezza ordinaria e eppure incredibilmente affascinante.
L'interesse di Cameron è totalmente rivolto allo spettacolo; la storia è puro pretesto, zeppa di stereotipi e luoghi comuni a tratti imbarazzanti, che sfociano nel razzismo più ridicolo quando si tratta di delineare le macchiette di contorno: veri stereotipi etnici che camminano, con tanto di italiani scostumati ed irlandesi sbevazzoni.
La ricostruzione d'epoca, impeccabile sul piano prettamente estetico, è del tutto inverosimile su quello psicologico e caratteriale, con la ricca ragazza che si fa sedurre a suon di sputacchie e il bello spiantato che affascina i peggiori esemplari dell'alta borghesia vantandosi delle sue notti passate sotto i ponti.
Il fine è chiaro: dare al pubblico ciò che vuole, ossia una storia semplice e lineare, priva di fronzoli o colpi di scena, nel quale i personaggi sono tutti immediatamente riconoscibili (la madre-padrona, il ricco imbelle e cattivo, la madrina buona che aiuta il bel DiCaprio regalandogli l'abito da sera, gli amici stupidi e ridicoli per questo divertenti ecc....) e i due protagonisti altro non sono se non due pupazzi messi in scena per far colpo sul pubblico femminile, con il bellissimo protagonista colto, simpatico, audace e romantico come il principe di un film Disney e la protagonista femminile non troppo bella, incompresa, ribelle ed innamorata come nella migliore tradizione del cinema adolescenziale da "Footloose" (1984) in poi.



Tutta la ricostruzione d'epoca non è che un contorno, uno sfondo nel quale fa muovere i due protagonisti nella loro scipita e stupida love-story; di tutti i temi che vengono toccati, nessuno è approfondito, non la questione femminile nell'epoca, non lo sfruttamento della classe dominante su quella operaia, vero motore della nave, non la cupidigia della borghesia; tutto viene schiacciato ed appiattito nella contrapposizione tra due realtà sociali distinte: i cattivissimi ricchi, snob e con la puzza sotto al naso ed i buoni e simpatici poveri, le cui feste a base di birra nera e violini rappresentano l'unico vero motivo di esistenza degli stessi sulla nave.




Ed è con il sopraggiungere del terzo atto che Cameron dà sfogo a tutta la sua verve distruttiva oltrepassando il limite del buon gusto a più riprese. Nel mettere in scena la tragedia umana, ogni singola azione e reazione ed ogni morte vengono spettacolarizzate sino all'inverosimile; i personaggi diventano pura carne da macello da sacrificare in nome dello spettacolo, lasciati morire con coreografie ricercate, bombardati da effetti speciali distruttivi che li trasfigurano in veri e propri pupazzi di carne da mandare al macero per la gioia dello spettatore. Cameron non si contiene, alzando sempre di più la posta: passa da semplici morti affogati a bambini travolti da onde per arrivare a persone che si tramutano in birilli umani. Il tutto nella maniera più cruda possibile: non vi è rimpianto, né dolore nella morte: nel momento in cui stanno per morire, tutti i personaggi non gridano, non provano dolore vero, né sanguinano; la morte diviene come un ottovolante, un balocco con cui stupire gli occhi dello spettatore, mai per farli provare orrore o raccapriccio.
Privata di ogni valenza grafica, e sopratutto di ogni effettiva funzione narrativa, la morte perde la sua funzione catartica, diviene mero accidente che non sciocca, dunque pure vezzo di intrattenimento, che Cameron sbatte in faccia al pubblico per quasi due delle tre ore di durata del film.




Al di là di ogni considerazione prettamente filosofica, "Titanic" resta comunque uno dei peggiori esempi di kolossal che Hollywood abbia mai sfornato; non ha sicuramente la stupidità delle pellicole di Roland Emmerich, tantomeno la sciattezza dei lavori di Michael Bay, ma, in fin dei conti, resta un film che ha davvero poco da dire. Tra personaggi piatti, storia inesistente e tanto fracasso, risulta davvero difficile appassionarsi alla mielosa storia di Jack e Rose, che riserva giusto una sorpresa nel finale.
Discorso valido per lo spettatore più navigato; quello casuale ben si lascerà trasportare dal romanticismo adolescenziale, dall'avvenenza del protagonista, dalla cattiveria dei suoi avversari e dalla spettacolare tragedia; ingenuità che, è ben ricordarlo, ha trasformato "Tinaic" in un vero fenomeno pop, con quasi 2 miliardi di dollari incassati ai botteghini ed 11 premi Oscar, prova di come l'ignoranza sia sempre una forza per i filmmakers meno dotati o semplicemente poco interessati a dare qualcosa di vero al proprio pubblico.




Tra una storia pretestuosa ed effetti speciali votati totalmente allo spettacolo, Cameron firma uno dei suoi peggiori film; ed è paradossale pensare come, a discapito dell'immenso successo dell'epoca, nessuno oggi ricordi con effettivo piacere questo pachidermico polpettone pseudo-storico: il più grande successo commerciale della Storia del Cinema (sino al 2010) non è un film di culto, ma una meteora che ha attraversato i cieli dell'interesse per eclissarsi totalmente giusto un anno dopo la sua uscita nelle sale.
Quel che è peggio e che sono in pochi quelli ad aver notato come "Titanic" sia, al netto degli altri difetti, uno dei film più genuinamente immorali mai concepiti.

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