di Ridley Scott
con: Gerard Depardieu, Sigourney Weaver, Michael Wincott, Armand Assante, Fernando Rey, Mark Margoulis, Tchéky Karyo.
Storico/Biografico
Francia, Spagna (1992)
La figura di Cristoforo Colombo è stata poco sfruttata al Cinema. Strano, visto come la sua storia, foriera di ardimenti e speculazioni filosofiche ed avventurose, ben si presterebbe alla potenza visiva che solo il mezzo cinematografico sa offrre; mancanza, questa, alla quali i produttori decidono di supplire giusto in tempo per il cinquecentesimo anniversario della scoperta delle Americhe: il 1992.
Messo in cantiere con un budget di 40 milioni di dollari, affidata la regia ad un Ridley Scott redivivo, "Conquest of Pradise" si rivelerà, fatalmente, un flop di proporzioni immense e, quel che è peggio, una pellicola poco riuscita ed ancor meno appasionante.
Le intenzioni di Scott sono chiare: restituire un ritratto romanzato ed idealizzato della figura del navigatore genovese per farne risaltare le virtù, calandolo tuttavia in un contesto storico credibile, la Spagna dell'Inquisizione che il regista britannico riesce a far rivivere tutto sommato con dovizia di particolari.
Intenzioni che però si sfasciano a causa di due fattori: una sceneggiatura indecisa ed una regia poco ispirata.
Lo script di Rose Bosch è a dir poco schizofrenico: da un lato tende a caratterizzare il protagonista come un eroe romantico, un libero pensatore le cui idee si scontrano con la chiusura mentale ed il razzismo della società di cui è ospite, in quanto genovese in terra spagnola; ma dall'altro crea un manicheismo ridicolo, cotrapponendo a Colombo le figure del nobile Moxica (Michael Wincott) e del burocrate Sanchez (Armand Assante), personaggi macchiettistici e dalla caratterizzazione insicura.
Moxica è l'incarnazione del lato più spregevole del colonialismo: un nobile imbelle ed avido, smanioso di conquistare le nuove terre solo per le loro richezze e del tutto incurante della bellezza della civiltà appena scoperta; caraterizzazione simbolica che si scontra con ruolo che egli assume nella storia: un vero e proprio villain, fomentatore di rivolte che arriva sinanche ad uccidersi pur di screditare il rivale genovese, neanche fosse il cattivo di un fumetto; e di certo non aiuta la credibilità il casting di Michael Wincott, caratterista dall'indubbio talento, ma il cui volto demoniaco appiattisce ulteriormente il personaggio.
Sanchez, d'altro canto, è un personaggio semplicemente schizofrenico: dapprima entusiasta della missione di Colombo, si ritrova nel finale a vestire i panni del gretto calcolatore, un burocrate che di punto in bianco rinfaccia al suo ex alleato le sue mancanze e che vorrebbe incarnare il lato più blando della mentalità umana, contrapposto allo spirito insaziabile di conoscenza ed avventura dell'esploratore, ma la cui repentina trasformazione suscita solo una lieve ilarità.
Lo stesso Colombo appare come un personaggio bipolare: troppo audace per essere un uomo del tardo medioevo, la sua caratterizzazione è più quella di eroe dannato del tardo romanticismo; la Bosch gli cuce addosso un anacronistico senso del destino e della grandezza, sin troppo enfatizzati per essere credibili; e d'altra parte non convince neanche la performance di Deaprdieu, troppo impegnato a celare il suo accento francese per conferire al personaggio la carica di visionarietà e forza espressiva che dovrebbe emanare.
Script che alla fine fine decide sinanche di mostrare buchi e difetti da dilettanti, come una rissa in un monastero che culmina con un pugno in faccia in puro stile Bud Spencer o i nativi che imparano la lingua dei coloni in appena tre mesi, ammazzando definitivamente la sospensione dell'incredulità. E come se non fosse abbastanza, la Bosch decide anche di inserire un clomax con una battaglia tra coloni e nativi e un duello catartico tra Colombo ed un guerrirero dall'aspetto demoniaco, giusto per dare una sorta di simbolismo destabilizzante e fuori luogo.
La regia di Scott si divide tra singole immagini spettacolari e sequenze prive di mordente o, peggio, ridicole; la composizione pittorica delle inquadrature e l'uso espressivo del montaggio tornano a farla da padroni, tanto che a tratti sembra di rivedere la plasticità dello splendido "I Duellanti" (1977); ma la mancanza d'enfasi affossa le scene più importanti, come l'ammaraggio a San Salvador o la costruzione della chiesa; persino la sequenza del primo viaggio, teoricamente la più importante, non ha enfasi: la tensione dell'equipaggio, sull'orlo dell'ammutinamento, il senso di meraviglia dinanzi all'ignoto e di stupore davanti all'inconsueto non traspirano mai se non da singole, rapidissime immagini, del tutto incapaci di stupire a dovere; tanto da chiedersi come sarebbe stato questo primo, incredibile, viaggio verso l'ignoto se a protarlo in scena fosse stato un autore dotato di vera carica visionaria come Herzog o Kubrick, piuttosto che ammirare le immagini di un regista che appena dieci anni prima aveva creato le incredibili sequenze di "Blade Runner". Neanche le note di Vangelis riescono a colpire: la partitura è blanda, scarna, priva di forza espressiva e per questo del tutto dimenticabile (ma non da Scott, che riutilizzarà parte dello score per "Il Gladiatore", dove però funziona a dovere). Dulcis in fundo: sinanche la scena del tornando, idealmente catartica, risulta ridicola a causa dei brutti effetti speciali, visibilmente fasulli.
"1492" è un'occasione sprecata: un kolossal dalle ambizioni immense che sprofonda nella mediocrità più pura a causa della scarsa attenzione per gli elementi essenziali della messa in scena; difetti che purtroppo da qui in poi affliggerano tutto il cinema di Scott, affossandone definitivamente ogni credibilità come autore.
EXTRA
Nel 1992, sempre in occasione del 500mo anniversario dall'impresa di Colombo, venne prodotta un' altra pellicola che ne ripercorreva le gesta: "Cristoforo Colombo: la Scoperta", diretta da John Glen, scritta niente meno che Mario Puzo ed interpretata da George Corraface nei panni di Colombo e Marlon Brando in quelli di Torquemada. Per la serie: quando troppo e quando niente.
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