domenica 4 dicembre 2016

INLAND EMPIRE- L'Impero della Mente

INLAND EMPIRE

di David Lynch.

con: Laura Dern, Jeremy Irons, Justin Theroux, Carolina Gruszka, Grace Zabriskie, Krzysztof Majchzrak, Harry Dean Stanton, Jan Hencz, Bellina Logan, Amanda Foreman, Peter J.Lucas, Julia Ormond, Terry Crews, Nastassja Kinski, Laura Harring, Naomi Watts.

Usa, Francia, Polonia 2006













Il successo, critico e commerciale, di "Mulholland Drive" (2001) riportò nuovo lustro alla figura di David Lynch, ora nuovamente "connesso" con un pubblico incuriosito dallo stile peculiare e strambo e dallo spirito libero e sperimentatore dell'autore. Eppure Lynch impiegò quasi cinque anni per partorire la sua nuova visione filmica: "INLAND EMPIRE" (il maiuscolo è parte integrante del titolo) arriva solo nel 2006, prima al Festival di Venezia dove viene accolto in modo contrastante e poi in poche sale, restando tutt'oggi l'ultima pellicola da lui firmata.
Film che è opera suprema, punto d'arrivo insuperabile della sua riflessione. Un arrivo che coincide con il culmine del procedimento astrattivo. "INLAND EMPIRE" è, in definitiva, un film che non va compreso, per stessa ammissione di Lynch; non ci sono simbolismi nel senso convenzionale del termine, né allegorie: l'interpretazione cosciente e razionale è bandita del tutto. Come il titolo suggerisce, l'In-Land è puro subconscio riversato in immagine; lo spettatore deve quindi approcciarvisi con un procedimento cognitivo differente, non per comprendere, né per intendere (come avveniva nei film precedenti), bensì sentire, captare le differenze tra le singole scene e le singole inquadrature, percepire la differenza tra il reale nella finzione e la finzione della finzione, nonché gli scarti spaziotemporali celati tra un fotogramma e l'altro; "INLAND EMPIRE" è, per forza di cose, un dedalo, un labirinto, filmico e mentale dove personaggi, trama e singole scene divengono non significato, ma puro significante.




Lo stesso Lynch ha più volte giocato con l'interlocutore di turno, interessato a comprendere il significato effettivo del film: ne ha davvero uno o è un enigma per un enigma? Ha molteplici significati? E' volutamente vacuo per permettere a chi lo osserva di trovarci ciò che vuole?
Si e no. Perché "INLAND EMPIRE" non è solo il punto d'arrivo dell'evoluzione della poetica lynchiana, ma anche quello del suo peculiare metodo creativo: laddove in "Twin Peaks" una pianificazione certosina di trame e simbolismi si affiancava all'improvvisazione più libera, qui è la stessa improvvisazione a divenire il centro definitivo della creazione. L'idea alla base, di fatto, è semplice: creare una serie di scene con al centro una "donna in pericolo" interpretata da Laura Dern, totalmente slegate tra loro e con il personaggio a fare da tramite, intercalandole con le immagini della webseries "Rabbits" (2002) e girandole con una camera digitale DV al posto della pellicola.




Cercare di trovare un significato unico e definitivo nel lavoro di Lynch sarebbe quindi riduttivo e fuorviante, oltre che prettamente inutile. Bisogna più che altro rendere atto di ciò che riesce a raccontare e come vi riesce, oltre che capire gli stralci di storia/e che intreccia per dar vitta alla visione, sempre nei limiti di un'interpretazione precisa ma libera.
Per prima cosa, a colpire sono le pure immagini; la camera digitale, ancora lontana dalla perfezione tecnica che avrebbe raggiunto con l'avvento dei sensori RED, concede immagini fredde, dalla fotografia sporca, volutamente squallide nei colori e talvolta nell'uso delle luci, talmente secche da risultare quasi fastidiose, come una mannaia che si avventa sulle carni dei personaggi per distruggerne ogni bellezza. Al quale si contrappone, in puro paradosso, una composizione dell'inquadratura al solito ineccepibile: l'occhio di Lynch si fa qui ancora più geometrico ed orientato verso una profondità, di campo ed immagine, inusitata, come a voler scaraventare personaggi ed ambienti in una terza dimensione extraschermatica, in modo da proiettarli direttamente nella mente del personaggio, arrivando ad un ipnotismo puro. Oltre che a concentrarsi maggiormente sui primi degli attori, i cui volti mastodontici scrutano lo spettatore dallo schermo con grandangoli potenti che ne deformano i lineamenti.




E' qui che l'influenza del "Persona" (1966) di Bergman si avverte maggiormente, sopratutto per la ripresa della tematica dell'attore come soggetto la cui personalità è flebile e pronta a frammentarsi sino a sparire. L'intera narrazione, o meglio la sua struttura non lineare, è basata sul flusso di coscienza e sulla confusione (nel senso più genuino di "confluizione") di più caratteri all'interno dei medesimi personaggi. Ciò che già avveniva in "Lost Highway" (1996) e "Mulholland Drive" qui assume una forma suprema: i personaggi si rispecchiano l'uno nell'altro, si scambiano di ruolo e corpo e, ancora di più, i piani temporali si intersecano sino a creare un unico e totalizzante flusso di coscienza.
Il tutto a partire da due sequenze chiave (forse) per la comprensione delle storie: nella prima scena, una giovane donna (Carolina Gruzska), accreditata come la "Lost Girl", siede dinanzi ad un televisore, dove le immagini che vedremo cominciano a prendere forma; mentre dentro quelle immagini, quella che sarà la "protagonista" della narrazione, l'attrice Nikki Grace (Laura Dern) riceve la visita di una strana vicina (Grace Zabriskie), che le preconizza il futuro; è da qui che il piano temporale comincia a fondersi, a ripiegare su sé stesso per divenire un unica forma, non più lineare, ma solida come un oggetto tridimensionale e denso della sua stessa sostanza.





"INLAND EMPIRE" si compone così di più storie fuse assieme; da una parte Nikki, il suo collega Devon (Justin Theroux) ed il regista Kingsley Stewart (Jeremy Irons) alle prese con la produzione del film "On High in Blue Tomorrows". Dall'altra la storia della Lost Girl, sita dall'altra parte dello schermo rispetto alle immagini del film. E ancora, la storia del film originale di cui quello di Nikki è un remake e di coloro che vi hanno partecipato, unite alle immagini dei "Rabbits", che divengono un doppio, di volta in volta, dei diversi personaggi.
Il sistema di indizi usato da Lynch è complesso: la sigla AXXON N appare sin dalle primissime immagini, la lampada rossa che preannuncia il pericolo, così come le luci ad intermittenza, il cacciavite usato come arma, le "dark room" addobbate con drappi rossi e i corridoi bui e squallidi, tutto come nella sua migliore tradizione. Ma il simbolismo, si diceva, è bandito: non esistono chiavi volte ad aprire scatole blu, solo immagini e situazioni che si giustappongono dinanzi allo spettatore, alla Lost Girl che come lui assiste alle immagini e si specchia e all'attrice Nikki, persa tra i piani temporali e caratteriali.




Il tutto divine così non solo un'esperienza personale, un enigma da decifrare autonomamente con le sole sensazioni, ma anche un invito ad andare oltre le sole immagini. Il simbolo più pregnante sembra essere infatti strettamente extradiegetico: l'osservare la realtà al di là dell'apparente, oltre il velo che la ricopre. Da qui l'immagine di Nikki che brucia una maglia e vi guarda oltre vedendo altri mondi e, contemporaneamente, la bruciatura che appare in quello dei "Rabbits", forse un rimando al "velo di Maya" di Schopenhauer.
Da questo punto di vista, "INLAND EMPIRE" diviene davvero l'opera più genuinamente compiuta di Lynch: un punto d'arrivo inevitabile e forse insuperabile per la sua poetica ed il suo stile. Il che spiega anche i dieci anni di inattività forzata: forse anche per lui era impossibile andare al di là del risultato raggiunto senza tornare indietro, tant'è che il suo prossimo progetto, paradossalmente in ossequio alla scompaginazione temporale, è il revival di quel "Twin Peaks", oltre 25 anni dopo la sua conclusione. Un passo indietro, forse, una nuova via, probabilmente. Di sicuro la prova di come abbia ancora molto da dire.

1 commento:

  1. Onestamente non posso dire di averlo capito, ma è un film così dannatamente affascinante...

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