La Femme dà Còtè
di François Truffaut.
con: Fanny Ardant, Gerard Depardieu, Herni Garcin, Michèle Baumgartner, Roger Van Hool, Vèronique Silver.
Drammatico
Francia 1981
Dopo otto anni, due ex manti si ritrovano, adulti e sposati, e la loro passione riesplode. Un assunto convenzionale, già visto, forse anche piatto; che, però, nelle mani di quel sommo scandagliatore dei sentimenti che era Truffaut diviene il canovaccio di un film, il suo penultimo, che di convenzionale non ha nulla.
"La Signora della Porta Accanto" è infatti un melodramma a tinte fortissime, dove il grande autore rinuncia alla leggerezza per immergersi del tutto nei panni dei due protagonisti, Gerard Deparidieu e Fanny Ardant, bellissimi e dall'ottima alchimia, fino a dar vita ad un ritratto fosco ed appassionato.
Una storia, quella di Mathilde e Bernard, il cui esito è già scritto; l'epilogo coincide con il prologo ed è tragico; tutto viene narrato dalla signora Jouve (Veronique Silver), che nei primi minuti infrange la quarta parete e dimostra l'inconsistenza del narrato: quella a cui assisteremo è solo una storia, per di più già scritta; ciò che conta non e l'intreccio, quanto i personaggi che la vivono.
Due persone separate dalla paura del matrimonio, di quella famiglia che ora bene o male hanno. La rottura, dovuta ad una gravidanza non tanto desiderata e sopratutto dalla paura della fuga dal nido familiare, si ricompone: l'attrazione è immediata e cocente, erompe irrefrenabile e si consuma in un attimo.
A Truffaut non interessa tanto il ritorno di fiamma in sè, quanto le sue conseguenze; Bernard si perderà nel sentimento, fino ad esternarlo dinanzi a famiglia ed amici; Mathilde, impossibilitata a dimenticare il suo vecchio amore, ora a portata di sguardo, avrà un crollo mentale. La follia d'amore, la stessa che in "Adele H." era dovuta alla mancata corresponsione del sentimento, li consuma entrambi fino a divorarli del tutto, innescata dall'ineluttabilità di ciò che provano.
Sullo sfondo, una storia speculare a quella dei due amanti, ossia quella della narratrice, la signora Jouve, abbandonata in gioventù dal suo unico, grande amore; episodio portò anch'ella a tentare il suicidio, dal quale però è sopravvissuta ferita nel corpo prima che nell'anima; amante che ora ritorna, venti anni dopo l'abbandono, ma la cui passione non riesplode.
E' il passato che ritorna l'agente essenziale nella storia, che Truffaut declina quasi come un noir; l'impossibilità di fuggirlo diviene trappola per i personaggi principali, che finirà per stritolare. Ed il tono è anch'esso forte, virato verso una sensualità inusitata, incarnazione dell'attrazione selvaggia, laddove invece la regia si fa più sensibile, tutta giocata sui campi medi, come ad allontanarsi da quei volti e corpi con una forma di pudore.
Il melò diviene così supremo mezzo espressivo e Truffaut riesce a raggiungere un'ulteriore vetta nella sua carriera.
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