martedì 12 gennaio 2021

Il Processo ai Chicago 7

The Trial of the Chicago 7    

di Aaron Sorkin.

con: Eddie Redmayne, Alex Sharp, Sacha Baron Cohen, Jeremy Strong, Yahya Abdul-Mateen II, John Carroll Lynch, Mark Rylance, Joseph Gordon-Levitt, Frank Langella, Michael Keaton, Danny Flaherty, Noah Robbins.

Drammatico

Usa, Inghilterra, India 2020









Era impossibile preventivarlo, ma a pochi mesi dalla sua uscita su Netflix, "The Trial of the Chicago 7" si è già caricato di un significato ulteriore rispetto a quello voluto in origine da Aaron Sorkin. Se già inizialmente l'autore puntava a creare un parallelo tra il presente e le proteste sessantottine e il conseguente scandalo del processo politico ai sette capi della sinistra extraparlamentare, a pochi giorni dal vergognoso attacco al Congresso americano è possibile gettare una luce diversa sulla realtà ritratta nel film; ed è quantomeno sorprendente realizzare come nel XX secolo i movimenti di protesta erano, a prescindere dalle differenze culturali e motivazionali alla loro base, compatti nella loro natura anti-establishment, finendo persino con il collidere con quel Partito Democratico che, in teoria, ne tutelava gli interessi; mentre nel 2021, i movimenti di destra estrema sono nient'altro che il braccio armato di una frangia impazzita della politica, quel Trump e quel trumpismo sovranista che, come Berlusconi nell'Italia di venti anni prima, ha letteralmente preso in ostaggio la politica, trasformandola in una distorta e grottesca macchina di affermazione individuale.
Al di là di questo nuovo valore, "The Trial" resta un ottimo pamphlet sull'inciviltà della società civile e sull'arroganza del potere.


La storia è nota: durante la convention democratica a Chicago nell'estate del 1968, quella che era partita come una protesta pacifica sfocia in un conflitto sanguinoso tra i manifestanti e la polizia. Nel corso dell'anno successivo, si celebra un lungo e controverso processo contro i sette capi delle varie organizzazioni: i promotori medio-progressisti Tom Hayden e Rennie Davis (Eddie Redmayne e Alex Sharp), i capi del Partito della Gioventù, radicali e hippie Abbie Hoffman e Jerry Rubin (Sacha Baron Cohen e Jeremy Strong), il coordinatore locale David Dellinger (John Carroll Lynch), i due giovani attivisti John Froines e Lee Weiner (Danny Flaherty e Noah Robbins), ai quali si aggiunge il capo delle Pantere Nere Bobby Seale (Yahya Abdul-Mateen II).


Lo sguardo di Sorkin è quasi chirurgico, ricostruisce la storia tramite flashback all'interno del classico canone del courtroom drama, riuscendo a tenere le distanze con i personaggi, pur parteggiando per loro. Il dito è comunque sempre rivolto contro la violenza delle istituzioni, simboleggiate dal giudice Hoffman, vecchio arrogante il quale dà per scontato la condanna. Una spada di Damocle inevitabile: non può esserci grazia per chi si ribella al sistema, ieri come oggi, allo slogan "America: Love It or Leave It"; il potere, come al solito, non tollera limitazioni e distrugge chiunque vi si opponga.


Fa spavento, oggi come ieri, vedere come le istituzioni dello Stato di Diritto possono essere piegate al volere del potente di turno; due, in particolare, le scene su cui Sorkin calca la mano. La prima, più ovvia, è la sottomissione di Bobby Seale, dapprima negandogli l'ausilio di un difensore e persino la possibilità pratica dell'autodifesa, in secondo luogo e soprattutto con la costrizione fisica, la riduzione in catene di quel nero che, 200 anni dopo la fine della Guerra Civile, è ancora sottomesso dal padrone di turno.
La seconda, solo apparentemente meno spaventosa, è la testimonianza dell'ex procuratore generale Ramsey Clark, essenziale per l'assoluzione degli imputati, la quale viene rigettata con la scusa del segreto di Stato. La difesa del potere costituito viene piegata a difesa degli interessi governativi e, prima ancora, di una classe dirigente incapace di adeguarsi ai cambiamenti culturali che si agitano nella società. Il risultato è, per Sorkin, non solo l'arbitrio del potere, quanto e soprattutto la prevaricazione di quei singoli che osano mettere in discussione ciò che esso persegue e rappresenta. Il cittadino che promuove e difende valori costituiti e costituzionalmente garantiti, ma invisi ai "piani alti", deve essere etichettato come un cospirazionista, un sovversore dell'ordine costituito, poiché minaccia la tenuta omogenea e sterile del tessuto sociale.


Sorkin tiene bene il timone della narrazione, adoperando, come al suo solito, i dialoghi in modo eccellente, caricandoli di significato senza mai cadere nella retorica più spicciola. Adopera in modo eccellente la bravura dell'ottimo cast, ma alla fine inciampa, purtroppo, in un finale inutilmente celebrativo e un po' ruffiano, il quale, fortunatamente, non affossa del tutto il valore di un film intelligente e importante nella sua attualità.

2 commenti:

  1. Rivedere questo film oggi ha già una carica emotiva (e politica) tutta diversa, di sicuro resta uno dei migliori titoli visti recentemente. Cheers!

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