con: Nita-Josee Hanna, Owen Myre, Matthew Ninaber, Kristen MacCulloch, Rick Amsbury, Adam Brooks, Scout Flinn.
Fantastico/Parodia
Canada 2020
La nostalgia per gli anni '80 ha raggiunto il punto di saturazione? L'esistenza di un film come "Psycho Goreman" sembrerebbe provare così. Dopotutto, nell'era post "Summer of '84" si è forse avuto sin troppa considerazione per un decennio a dir poco controverso, che trova una caratterizzazione elegiaca solo grazie alla nostalgia dei 30-40enni. E se già Patty Jenkins ha provato ad aggiustare il tiro sull'argomento con "Wonder Woman 1984", "Psycho Goreman" fa di più e rilegge il filone dei film fantastici per ragazzini in modo grottesco e splatter, in una parodia che resta sempre ai limiti del demenziale senza mai sconfinarci per meglio farci intendere quanti difetti quel tipo di cinema avesse.
La storia è, in parole povere, una sorta di "E.T." in acido: in una minuscola cittadina di provincia, la piccola Mimi (Nita-Josee Hanna) e suo fratello Luke (Owen Myre) trovano, nel giardino di casa, un artefatto che libera un gigantesco alieno, che ribattezzano Psycho Goreman (Matthew Ninaber); ma, lungi dall'essere l'innocuo cucciolo che Mimi crede che sia, PG altro non è che un sanguinario signore della guerra intergalattico dotato di poteri immensi, il quale ha già scatenato l'apocalisse in passato e che ora si ritrova a giocare all'animaletto a causa del medaglione a cui è legato, gelosamente custodito dalla bambina.
Laddove nel precedente "The Void" e, prima ancora, nel pur divertente "Manborg", Steven Kostanski si limitava a riprendere i topoi del cinema passato e a riproporli in modo reverente, qui opta per un processo quasi opposto, ossia la totale sovversione dei luoghi comuni, avvertbile già ad una lettura superficiale della trama. L'alieno non è un tenero animaletto bisognoso d'affetto, ma un demone intergalattico assetato di sangue, la cui amicizia con i giovani terrestri non lo porta alla redenzione, bensì all'acuimento della sua smodata e cartoonesca sete di sangue. I cattivi di turno, questa volta, sono solo il minore tra i mali, benché caratterizzati anch'essi come dittatori sanguinari. Viene così sgretolato il luogo comune dell'alieno buono, tale perché infante o perché intrinsecamente portatore di pace, che quarant'anni fa era sicuramente una rivoluzione, ma che oggi appare, appunto, come un cliché.
Soprattutto è il personaggio della piccola protagonista a stupire. Mimi non è una dolce bambina indifesa, ma una peste dall'egoismo ed egocentrismo smodati, che si diverte a manipolare e sottomettere chiunque le capiti a tiro (in primis suo fratello) per il solo gusto di affermare la sua superiorità sul prossimo. E' un mostro ben più perverso e ben più spaventoso del demone spaziale che soggioga, nonché, volendo, vero villain del film. In fondo, altro non è che la versione esasperata di un qualunque protagonista di una favola fantastica anni '80, il quale, venuto a contatto con una forza sovrannaturale che irrompe nel quotidiano, è convinto che questa sia sua proprietà o che sia egli stesso l'unico a comprenderla, ad esserne, in parole povere, il padrone, il proprietario di un essere che, per quanto ci venga presentato come simpatico, resta pur sempre alieno.
Allo stesso modo, il nido familiare vede il proprio ruolo sovvertito e diviene un matrimonio in crisi nel quale i due genitori sono due idioti smidollati, forieri di rancori e pessimi consigli, piuttosto che i saggi e amorevoli punti di riferimento per i propri figli.
Se la carica distruttiva e divertita fa a pezzi i cliché, l'amore per l'autore per il cinema di genere "artigianale" d'epoca è tangibile. Sarebbe facile lodare i robot animati in stop-motion, ma meritano molti più complimenti i vari design degli alieni, ognuno dotato di una propria gimmick, tanto da farli sembrare come usciti da un catalogo Mattel del 1985, tra cervelli alieni cyborg, streghe spaziali, tritacarne viventi e androidi plasticosi, genuinamente fasulli e per questo incantevoli.
Il tono è sempre beffardo, carico di una voglia di distruzione irrestibile, che intrattiene dall'inizio alla fine. L'unico limite è dato da un finale "spielberghiano", con una riunione del gruppo familiare che comunque cozza con il luogo comune del cinema per famiglie, non essendo per davvero un lieto fine, ma che lo stesso toglie spazio ad un finale che sarebbe potuto essere più cattivo, più in linea con il resto del racconto, il quale resta però lo stesso altamente riuscito e divertente, una dissacrazione del passato ai limiti del doveroso.
sembra molto interessante!
RispondiEliminaLo è ed è anche molto divertente.
EliminaAhahah
RispondiEliminaConcordo, ma penso che "WW1984" meriti lo stesso di essere apprezzato ;)
un E.T. in salsa acida. Che vogliamo di più. Cercherò di recuperarlo al più presto!
RispondiElimina