di Steven Spielberg.
con: Henry Thomas, Drew Barrymore, Robert Mac Naughton, Dee Wallace, Peter Coyote, C.Thomas Howell.
Fantastico
Usa (1982)
Pietra miliare del cinema fantastico e fiaba a sfondo fantascientifico che ha incantato almeno due generazioni di spettatori, "E.T." è per molti il punto più controverso della carriera di Spielberg; da chi lo osanna come un capolavoro assoluto della Settima Arte a chi lo stronca senza mezzi termini come una cavolata per bambini, non sembra esserci ad oggi, 34 anni dopo la sua uscita nelle sale, una posizione univoca o condivisa su uno dei lavori più importanti del Re Mida di Hollywood. Il che è un vero e proprio scandalo se si tiene conto di come pregi e difetti della pellicola siano facilmente enunciabili e quantificabili in modo pressoché oggettivo; basta andare al di là delle semplici impressioni o passioni personali, o, più semplicemente, porsi nel mezzo dei due poli ossessivi.
Quando Spielberg comincia la pre-produzione del suo settimo lungometraggio, è già un regista osannato pressocchè da tutto il mondo, che ha diretto due dei più grandi campioni di incasso di sempre ("Lo Squalo" e "I Predatori dell'Arca Perduta") ed è pronto a frantumare nuovamente ogni record. D'altro canto, appena sette giorni prima dell'uscita nelle sale di "E.T.", trionfava di nuovo con "Poltergeist", istant cult che si impose immediatamente nell'immaginario collettivo americano e non. Lo stesso "E.T.", per la cronaca, diverrà uno dei massimi successi commerciali della storia, superando il record stabilito cinque anni prima da "Guerre Stellari", imponendosi come il film più visto di sempre e divenendo il trionfatore inarrivabile nella competizione di quella lunga e afosa estate americana dell'82, durante la quale le sale furono invase da una decina di pellicole poi diventate di culto, andando persino ad incidere negativamente sulle performance di due veri capolavori, "Blade Runner" e "La Cosa", divenuti dei flop a causa della monopolizzazione del pubblico da parte del simpatico alieno luminoso.
L'idea alla base del film è quella di un incontro con creature extraterrestri che si diversificasse da quanto visto in "Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo" (1977) per raggiungere più da vicino lo stato emozionale dello spettatore. Spielberg comincia a svilupparla assieme allo sceneggiatore John Sayles, autore di "Return of the Secacus Seven", che già nel 1979 portava su schermo l'incontro tra dei giovani uomini ed una creatura extraterrestre. La prima stesura del soggetto era lontana anni luce dal prodotto finito: ambientato nel Mid-West, raccontava la storia di un feroce assedio a danno di una famiglia americana tipo da parte di un gruppo di animaleschi alieni, tra i quali figurava anche un piccolo essere più "umano" che stringeva amicizia con il figlio più piccolo. Versione ritenuta da Spielberg troppo inutilmente cupa e per questo più volte rimaneggiata sino alla sua forma definitiva.
L'intenzione dell'autore è chiara: creare una vera e propria favola moderna che narri l'incontro pacifico tra un essere alieno ed un bambino terrestre, una sorta di espansione del finale di "Incontri Ravvicinati", narrato totalmente dal punto di vista dei piccoli. In fondo, "E.T:" altro non è che questo: una perfetta storia per ragazzi, che ha il suo punto forte nel sapere stare alla loro altezza senza trattarli come immaturi o stupidi, anzi riuscendo a colpire perfettamente le corde emozionali più difficili da raggiungere senza mai scadere nel ridicolo o nel ricattatorio. Pregio che però è anche un forte limite.
Come Gilliam fece ne "I Banditi del Tempo" (1981), anche Spielberg riprende totalmente il punto di vista dei piccoli. Il mondo ruota intorno ad Eliott (Henry Thomas), la sua sorellina Gertie (Drew Barrymore) e il fratello maggiore Michael (Robert MacNaughton). L'unica figura genitoriale, la madre interpretata da Dee Wallace, è totalmente ancillare alla storia, mentre l'assenza della figura paterna viene resa dall'autore con una trovata geniale: tutte le figure maschili, come il preside (che la leggenda vuole essere interpretato da Harrison Ford) o il poliziotto appaiono sempre e solo di spalle in inquadrature fisse. Lo stesso villain, lo scienziato interpretato da Peter Coyote, viene inquadrato per oltre metà film solo tramite il dettaglio rivelatore del mazzo di chiavi attaccato alla cintola. In "E.T." il mondo viene sempre filtrato dalla prospettiva dell'infante, visto dal basso verso l'alto e immerso nella luce della fantasia.
Ecco perchè l'incontro con il mite alieno riesce ad incantare e coinvolgere: lo sguardo è quello curioso e semplice di un bambino con il quale lo spettatore è chiamato ad identificarsi. Ed è facile immergersi nei panni di Eliott e compagni: personaggi che incarnano ogni singolo aspetto della gioventù dei primi anni '80, dalle abitudini ai costumi, ma che hanno caratteri universali.
Spielberg riesce a creare la magia definitiva, a far commuovere il pubblico per le sorti di un extraterrestre che riesce davvero ad incantare. Una creatura quasi angelica nella sua semplicità, E.T. è l'amico immaginario che ogni bambino ha avuto, un lampo di fantastico che irrompe nella quotidianità della suburbia americana più comune. Un essere fuori dal tempo e dallo spazio, emblema universale della mite curiosità. Facile, poi, vedere nella sua morte e rinascita un elemento cristologico, ma si tratta di pura speculazione: Spielberg è ebreo, non vuole creare nessuna metafora o simbologia, solo narrare la storia di un singolare incontro.
Per farlo crea sequenze visionare ed incantevoli, come la fuga finale nei cieli, omaggio sentito a "Miracolo a Milano"(1951) di De Sica, o la divertente sequenza dell'ubriacatura "a distanza". Mentre sul piano narrativo gioca con i ruoli e le maschere. E.T. ed Eliott sono l'infanzia, che vuole essere libera e felice, priva di costrizioni, mentre i soldati, ossia gli adulti, incarnano più volte figure di riferimento quasi fasciste nella loro ossessione per il controllo, bardati nelle vesti militari, irrompendo in casa come veri alieni in tute spaziali.
Ma la vera empatia verso il piccolo alieno riesce sopratutto grazie agli stupefacenti effetti speciali di Carlo Rambaldi, che crea un animatronic dall'espressività sbalorditiva. La gamma di espressioni, i movimenti della testa e degli occhi rendono E.T. tanto vero quanto gli attori che lo circondano, in un passaggio essenziale e definitivo dell'effetto speciale ad elemento narrativo.
Laddove il film inciampa è nel finale. Non tanto nella scelta di un happy ending, praticamente dovuta e comunque emozionante. Quanto nella mancanza di una vera catarsi verso la tematica genitoriale. Non c'è una presa di coscienza di Eliott o di qualsiasi altro personaggio verso quella mancanza della figura paterna intessuta durante tutto il film. Così come non c'è il superamento della stessa. Allo stesso modo, il padre putativo dei ragazzi, ossia il capo degli scienziati, non ha una vera e propria catarsi, nonostante si faccia riferimento ad una sua fascinazione verso la figura dell'extraterrestre. Ogni possibile approfondimento psicologico e narrativo viene sacrificato alla pura emozione, alla meraviglia e alla commozione; in ossequio ai dettami della favola, si potrebbe affermare, ma andando lo stesso a gettare nel nulla parte della storia precedentemente mostrata.
Questo è il grande limite di "E.T.": una pellicola che rinuncia a parte della sua stessa sostanza pur di dare al pubblico ciò che vuole. Nella migliore e al contempo peggiore tradizione del cinema di Spielberg, ripresa da "Incontri Ravvicinati" e che da qui in poi diverrà sempre più pregnante all'interno della stessa.
EXTRA
Sulla scorta dell'ossessione compulsiva dell'amico Lucas per le riedizioni celebrative dei suoi vecchi film, nel 2001 Spielberg rimise mano ad "E.T." per creare una versione speciale per il 20° anniversario. Uscita in sala un anno dopo, questa nuova versione presenta delle modifiche a dir poco oscene al montato originale:
Gli splendidi SFX di Rambaldi sono stati sostituiti con un'imbarazzante CGI in diverse inquadrature. Il confronto è impietoso: la computer graphic è plasticosa e si amalgama malissimo con la fotografia originale, creando un effetto imbarazzante nel passaggio tra effetti in camera e post-prodotti.
Per la gioia dei fans della censura inutile, nella scena dell'inseguimento finale i fucili imbracciati dagli agenti della CIA sono stati sostituiti con delle radiotrasmittenti. Il ridicolo lo si raggiunge in pieno quando ci si accorge di come, nelle inquadrature precedenti, gli stessi agenti sfoderano armi a tutto spiano.
Lo sconsolante esito di questa sciagurata riedizione ha portato lo stesso autore a disconoscerla: nelle successive edizioni in DVD è stata distribuita in un combo-pack con l'originale, mentre in Blu-Ray è arrivata solo quest'ultima versione.
A Natale 1982, i negozi americani furono invasi dall'adattamento videoludico del film.
Titolo a dir poco leggendario, "E.T." per Atari 2600 è tutt'oggi ricordato come uno dei peggiori videogames mai concepiti. Il suo flop fu talmente cocente da portare la Atari, all'epoca colosso dell'intrattenimento elettronico, alla bancarotta e a causare la famosa implosione del mercato videoludico dell'82, durato oltre un anno.
Nel 2014 lo sceneggiatore Zak Penn ha diretto il documentario "Atari: Game Over", rievocazione dell'ascesa e caduta della famosa software house che sfata la leggenda metropolitana sul presunto seppellimento cerimoniale delle copie superstiti del gioco nel deserto del New Mexico.
Anche "E.T." è stato l'apripista di un filone, quello del "fantastico a misura di ragazzo", dove un gruppo di pre-adolescenti si ritrova alle prese con avventure rutilanti e fantasiose. Tra gli esponenti più influenti, almeno due hanno raggiunto lo status definitivo di cult e sono ad oggi oggetto di riverenza nostalgica:
"I Goonies", prodotto da Spielberg e diretto dallo specialista Richard Donner nel 1985, sostituisce lo sfondo fantascientifico con quello avventuroso, immergendo il gruppo di giovani protagonisti (tra i quali figurano anche Josh Brolin, Sean Astin e Corey Feldman) in una caccia al tesoro degna di Indiana Jones.
"The Monster Squad" (giunto in Italia con il fuorviante titolo "Scuola di Mostri") del 1987, scritto da Shane Black e diretto dall'amico Fred Dekker, fonde il filone con l'omaggio sentito ai classici dell'horror della Universal, condendo il tutto con gli straordinari effetti di Stan Winston.
Nessun commento:
Posta un commento