venerdì 9 luglio 2021

Intervista

di Federico Fellini.

con: Federico Fellini, Sergio Rubini, Marcello Mastroianni, Anita Ekberg, Antonella Ponziani, Maurizio Mein, Paola Liguori, Antonio Cantafora, Lara Wendel.

Italia 1987

















La cosa peggiore che possa accadere ad un autore, anche al più grande fra tutti, è quella di ripetersi, di reiterare temi e stilemi del proprio cinema senza aggiungere nulla di nuovo e, peggio, senza riuscire a toccare l'apice raggiunto in passato con opere simili. Cosa che, purtroppo, avviene per Fellini ed il suo "Intervista", mix tra nostalgia del passato, autoritratto ironico e spaccato di un mondo giunto alla sua fase terminale che il grande artista dedica al mondo del cinema, del suo cinema, senza però riuscire a dire nulla più di quanto già fatto nelle sue precedenti opere.


C'è la rielaborazione del passato di "Amarcord" e, soprattutto, di "Roma", la descrizione decadente dell'arte filmica filtrata tramite un occhio crepuscolare simile a "E la Nave Va", persino una rievocazione de "La Dolce Vita" e la cronaca zibaldonesca di idee e umori di "8 1/2" in questo vero e proprio testamento spirituale del cinema felliniano. Il luogo è quantomai essenziale: Cinecittà, punto zero dell'opera felliniana, non-luogo nel quale sovente Fellini ricostruisce i suoi mondi. E con la scusa di un intervista fatta da una tv giapponese, mentre si appresta ad avviare la produzione di una trasposizione dell' "America" di Kafka, il grande autore si confessa, ritorna con la mente al passato, fa le prove per il futuro e, su tutto, riflette sullo stato delle cose, del cinema, dell'avvenire fosco che sembra attenderlo, mentre i suoi personaggi danzano in tondo una piccola elegia di quel mondo fatato che fu.


Vive di trovate geniali alternate ad altre più stanche, questa "Intervista". Fra tutto, è proprio la precognizione della morte dell'arte filmica in Italia a colpire, per motivi fin troppo ovvi. La visione dei palazzoni che fagocitano un po' per volta il territorio di Cinecittà, togliendo spazio all'arte in nome della speculazione, affiancata a quella penultima immagine dei "barbari armati di antenne" che assaltano i mestieranti della Settima Arte che, in barba a tutto, cercano di resistere, è la perfetta epifania di una fabbrica che sta per chiudere i battenti, di un mondo schiacciato dalla moda, proprio lì, in quel luogo dove un tempo si muovevano gangster e gladiatori e che presto avrebbe ospitato solo starlette e burlette da reality. Se l'abilità di Fellini è sempre stata quella di rileggere il passato e creare una maschera impietosa e ai limiti del folle della realtà, ora tocca una dimensione inedita, quella del futuro, che riesce ad anticipare con tragica efficacia.


Se il futuro è interessante e vivido, altrettanto riuscita è la rievocazione del passato. Torna l'amico-feticcio Marcello Mastroianni, novello Mandrake che assieme all'amico-demiurgo si riunisce con Anita Ekberg per perdersi in una celebrazione di quel capolavoro che tante vita ha toccato e tanto ha emozionato. Ma quella di Fellini non è una vera recherche proustiana, quanto la voglia di rivedere, anche per un solo attimo fugace, quei tempi ormai indissolubilmente andati, non tanto per rimpiangerli, quanto per compiacersene in modo gioioso, assieme a quelli amici che li hanno resi unici. E, al contempo, omaggiare la bellezza di una sua musa ancora oggi (all'ora) affascinante.


La rievocazione del passato personale, d'altro canto, paga lo scotto del già visto, adagiandosi su quei territori oramai inevitabilmente classificabili come "felliniani". Con un giovane Sergio Rubini nei suoi panni, Fellini rievoca l'arrivo a Cinecittà nel 1940, il suo viaggio in tram verso la destinazione di una vita e l'incontro con una voluttuosa diva. Ma le visioni portate qui in scena non hanno la forza immaginifica del passato, né riescono ad imporsi da sole nell'immaginazione dello spettatore, restando in un limbo, sospese tra la fantasia più pura e la narrazione stantia di eventi in parte già visti, emozioni già vissute con maggior vigore.



Allo stesso modo, lo spaccato del mondo della produzione filmica non riesce a stupire. Fellini finisce per rifare sè stesso e a riproporre quell'immaginario, oramai stantio, fatto di facce buffe, donne giunoniche, giovani bellocci, geni e ciarlatani tutti ritratti con un sorriso di compiacimento fin troppo evidente. Le immagini finiscono così per diventare dei doppi di un passato più fulgido, riproposizioni stanche e vetuste di un cinema che ha perso la sua carica vitale e che ora sembra vivere solo in una zona a metà tra il passato e il futuro, tra la rielaborazione e la pura fantasia, senza riuscire a dare un ritratto credibile o anche semplicemente riuscito di un presente che, forse, calzava in realtà fin troppo stretto ad una mente euforica e geniale come quella del grande Federico.



Il peggior Fellini? Non proprio: le posizioni oltranziste e reazionarie prese ne "La Città delle Donne" sono decisamente più fastidiose di quanto qui visto e, allo stesso modo, il successivo e terminale "La Voce della Luna" presenterà una vera e propria crisi creativa d'autore. "Intervista" è, più che altro, una ripetizione scialba del passato, che nulla aggiunge a quanto visto, né raggiunge i vertici già toccati in una filmografia altrimenti geniale

Nessun commento:

Posta un commento