giovedì 12 gennaio 2023

BARDO, la cronaca falsa di alcune verità

Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades

di Alejandro Gonzalez Iñàrritu.

con: Daniel Giménez Cacho, Griselda Siciliani, Ximena Lamadrid, Iker Solano, Louis Couturier, Andrés Almeida, Clementina Guadarrama.

Messico 2022

















Iñàrritu è un cineasta dal grande talento e purtroppo ne è pienamente cosciente. Come tutti gli artisti sicuri della propria arte, era solo una questione di tempo prima che commettesse un passo falso. E quando ha cercato di vendere "The Revenant", vero e proprio "spaghetti-western d'autore" come un film "talmente bello che le sue immagini andrebbero proiettate in un tempio", era chiaro che il suo prossimo film sarebbe sicuramente stato un'opera il cui compiacimento sarebbe stato estremo.
In questo, il regista messicano non ha sbagliato e "Bardo" è il suo film più compiaciuto, più innamorato di sé, talmente fiero della sua bellezza da far saltare i nervi ad ogni inquadratura. Peccato che se ne siano accorti tutti, ecco perché le stroncature alla sua presentazione a Venezia. E peccato, soprattutto, che spesso quelle immagini siano pura masturbazione d'autore.



"Bardo" è una confessione, il punto fermo di un autore che cerca di dare un senso alla sua carriera fondendo ricordi, emozioni, sensazioni e pensieri vari. I paragoni con lo zibaldone di "8 1/2" non sono mancati e si potrebbe vedere nel capolavoro di Fellini un ideale punto di riferimento, ma Iñàrritu non ha la grazia del compianto maestro riminese, tantomeno la sua leggerezza, men che meno la sua profondità, neanche quella meramente stilistico-estetica.
Nel portare in scena il caos mentale ed emotivo del suo alter ego Silverio (Daniel Giménez Cacho), si ferma sempre, prepotentemente sulla superficie delle cose, senza mai cercare di dare davvero un significato alle immagini che non sia un puro ludibrio visivo. Il che raggiunge l'apice nella lunga sequenza dedicata al destino dei discendenti degli indigeni del Messico e del confronto con la figura di Cortez da parte di un uomo che è "più bianco dei bianchi" e che deve praticamente tutto al massacro perpetrato secoli addietro dai coloni spagnoli. L'incipit è scioccante e quando si arriva ad un tête à tête tra i personaggi, si sconfina subito in una suggestione meramente estetica che porta la narrazione a vivere verso un'inutile metareferenzialità.




Ma questo è solo uno dei tanti passi falsi commessi nel racconto. Il dualismo ideologico verso gli Stati Uniti, odiati in quanto colonizzatori culturali, adorati in quanto fonte di riconoscimenti artistici, viene  rievocato più volte, ma non si giunge mai ad un giudizio in merito, né questa mancanza di giudizio assurge mai ad elemento intellettuale forte, facendo restare la questione del tutto sospesa. Allo stesso modo, la figura di Slivano, borghese dalle idee rivoluzionarie, resta sempre nel limbo dell'indecisione ideologica, venendo a tratti caricata di attributi negativi (la scena dell'ingresso in spiaggia vietato alla servitù), talvolta ritratto come vittima (la scena ad essa speculare, dell'ingresso negli Stati Uniti, dove non gli viene formalmente riconosciuta la cittadinanza da parte di una guardia di etnia nativo-messicana).
Quando poi si decide di dare una catarsi nel rapporto tra personaggi, questo scivola talvolta verso il ridicolo, come nella scena dell'incontro tra il protagonista e il padre, in teoria commovente, nei fatti ridicola a causa dell'insensata decisione di ritrarlo come uno sgorbio in CGI; talatra, invece, si resta nuovamente sulla superficie, come nel rapporto con i figli, soprattutto con quello mai nato.




Laddove il bardo del titolo è un riferimento alla via di mezzo tra la vita e la morte secondo il buddhismo, "Bardo" più che un compromesso è un urlo a squarciagola, la statuizione di grandezza di un autore la quale risuona vacua e compiaciuta, come nella scena madre in cui Silvano balla su note che solo lui sente. Questo è alla fine il lavoro e la posizione di Iñàrritu, quella di un artista che non accetta compromessi di sorta, tira avanti per la sua strada e finisce per perdere di vista tutto, alienando ogni possibile empatia (sia verso la forma che la sostanza), firmando il suo peggior film.

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