The Revenant
di Alejandro Gonzalez Iñàrritu.
con: Leonardo Di Caprio,Tom Hardy, Domhnall Gleeson, Will Poulter, Forrest Goodluck, Paul Anderson, Kristoffer Joner.
Usa 2015
Il cinema di Alejandro Gonzalez Inarritu si fa sempre più variegato con il passare del tempo. Quello che un tempo era conosciuto esclusivamente come il fautore di una "filmografia del dolore" ha saputo volgere il suo sguardo, curioso ed estetizzante, verso nuovi e sempre più inediti orizzonti. "The Revenant" segna un ulteriore distacco verso il passato: laddove già il precedente "Birdman" (2014) comportava un distacco dal tema della perdita e del fato, questa nuova fatica permette all'autore di dissezione un tema del tutto nuovo, quello della sopravvivenza.
Un film che sembra uscito da un'altra epoca. Non tanto per ciò che racconta e per come lo fa, ma per l'incredibile storia produttiva: circa 9 mesi di riprese, avviate dapprima in Canada e proseguite in Argentina a causa del mutamento climatico dovuto alla lunghezza dei tempi di lavorazione; il tutto per permettere all'autore di creare una piccola epica barbara illuminata dalla sola luce naturale ed immersa in paesaggi totalmente selvaggi, talmente remoti ed inospitali da causare innumerevoli liti e defezioni.
Durante gli ultimi anni della frontiera americana, verso il confine nordoccidentale, Hugh Glass (Di Caprio) è una guida al servizio di un gruppo di cacciatori di pelli. A seguito di una sortita in territorio indiano in cerca di pellame, dopo aver combattuto strenuamente contro i nativi, Glass viene attaccato da un grizzly e ridotto in fin di vita. Lasciato indietro dai compagni, viene affidato alle cure del giovane Bridger (Will Poulter), del proprio figlio Hawk (Forrest Goodluck), meticcio avuto anni prima e fortemente mal sopportato dal resto del gruppo, nonchè del ruvido ed intollerante FItzgerald (Tom Hardy), il quale deciderà di uccidere il ragazzo e abbandonare l'ex compagno al suo destino per proseguire verso il forte. Ma Glass non muore: per miracolo sopravvive alle ferite e al freddo e decide di inseguire Fitzgerald per vendicarsi.
"Revenant" non è un film su Hugh Glass, nè tantomeno uno spaccato della frontiera. Non vuole essere un puro divertissement avventuroso, men che meno un film "morale" o "a tema". Lo sguardo di Inarritu, qui, si fa più semplice, diretto, crudo: scontornare personaggi e luoghi di ogni possibile retorica e valore simbolico per creare un'esperienza viscerale, basica quasi primordiale nel quale far calare lo spettatore per 135 minuti e dar vita ad un mondo ancestrale, nel quale si dimenano i sentimenti più bestiali dell'essere umano.
La storia di Hugh Glass si prestava perfettamente al suo intento: tra il 1822 e il 1823, Glass faceva da tracker e guida per l'esercito ed i cacciatori di pelli che si avventuravano nei meandri dei territori delle riserve. La sua storia del "ritorno" dal mondo dei morti per perseguitare chi lo aveva abbandonato divenne subito leggenda ed attecchì con facilità presso l'immaginario collettivo, tanto che già nel 1971 venne portata su schermo con "Uomo bianco va' col tuo Dio".
Ma della storia originaria, nonchè del romanzo omonimo pubblicato da Michael Punke e alla base dello script, Inarritu e lo sceneggiatore Mark L. Smith riarrangiano e ricreano elementi, passaggi e personaggi, arrivando sinanche a creare appositamente il personaggio di Hawk per fortificare la volontà del protagonista. Il tutto per dar vita ad una storia che, inutile negarlo, appare talvolta raffanzonata, con personaggi dalle caratterizzazioni basiche, azioni puramente pretestuose e con una sottotrama puramente di servizio.
Fortunatamente, il vero valore dell'opera risiede nella messa in scena.
Inarritu e il grande direttore della fotografia Emanuel Luzbeki immergono il peregrinare di Glass e compagni nella pura luce naturale. Niente fonti luminose artificiali, nessuna color correction in post (fatta salva la sola scena del bivacco notturno tra Ftizgerald e Bridger, impossibile da girare al naturale a causa delle condizioni climatiche), con esiti stupefacenti. Le immagini raggiungono vette di bellezza e perfezione estetica inusitate, veri e propri scorci su di un mondo altro, su luoghi immersi in un'atmosfera onirica ai limiti del metafisico, dove le vicende terrene, le allucinazioni e i pensieri del protagonista si fondono in un unico maelstorm di coscienza e veglia, magnificamente sottolineato dalla colonna sonora minimale, quasi inesistente, composta tra gli altri da Ryuichi Sakamoto, che dopo quasi vent'anni torna a prestare le sue note ad una produzione hollywoodiana.
Spettacolo visivo reso ancora più ammaliante dallo stile di Inarritu, che costruisce la maggior parte delle scene come una serie di piani sequenza interconnessi, aumentando la spettacolarità e il grado di imemrsione. L'uso di obiettivi grandangloari per tutto il film permette di avvicinarsi al personaggio di Glass in modo totale, di sfiorargli il volto, contemplare i lineamenti sfatti e sanguinanti, avvertire il suo respiro, ma, al contempo, di perdersi nell'immensità nella natura che lo circonda.
Natura austera, che ricorda l'opera di Herzog nella sua descrizione ferina ed immensa. Una natura indomabile, che piega le persone, le cinge e le riduce a corpi in balia del freddo e del vento, in un mondo dove non esistono valori, se non quello della sopravvivenza.
La differenza tra selvaggio e civile viene a scomparire ("siamo tuti selvaggi"): tutti i personaggi non sono che belve che tentano in tutti i modi di tirare avanti, abbandonandosi spesso agli istinti più bassi (la compagnia francese, che non si fa scrupoli a schiavizzare e seviziare la giovane nativa). Non è il solo Glass a lottare disperatamente per la sua vita: anche l'antagonista Fitzgerald, per quanto imbelle, abbandona il suo compagno non tanto e non solo per inseguire il profitto, ma per salvarsi dalle sciagure impellenti.
I personaggi divengono così puri archetipi dell'essere umano, ridotti all'osso, privati di dialoghi significativi o catartici, aggirandosi per i boschi in silenzio come animali feroci. Di Caprio e Hardy riescono perfettamente a convogliare la disperazione delle loro controparti, sparendo letteralmente nei loro panni, recitando quasi esclusivamente con gli occhi e con il corpo in quella che, per il primo, è davvero la performance di una carriera.
Duro, crudele, disperato ed incredibilmente vivo, "The Revenant" è un racconto ammaliante, pur nella sua immensa semplicità, una prova riuscita ed affascinante.
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