di Steven Spielberg.
con: Dennis Weaver, Jacqueline Scott, Lucille Benson, Carey Loftin.
Azione/Thriller
Usa 1971
Caso più unico che raro nel panorama della New Wave americana, Steven Spielberg fa il suo esordio dietro la macchina da presa dirigendo un film per la televisione. Caso raro poichè in quegli anni, sull'onda del "movimento degli autori" mutuato dalla Francia, era facile per un cineasta imberbe ma di talento dirigere una pellicola destinata al Grande Schermo piuttosto che fare la gavetta alle dipendenze di uno dei tre network americani. Ma Spielberg, già all'epoca, dimostrava un talento ed una carica intuitiva davvero fuori dalla norma, tant'è che questo suo primo lungometraggio risente della natura televisiva solo in minima parte, ossia nella durata breve (appena 85 minuti) e nel formato video, fermo ai 4:3.
Tanto che all'epoca, visto l'enorme successo ottenuto dopo la sua prima messa in onda, "Duel" venne distribuito al cinema e fu esportato in Europa direttamente nel circuito cinematografico; operazione che permise a Spielberg di imporsi subito all'attenzione del grande pubblico. Ma anche e sopratutto degli altri filmakers, che si innamorano subito della pellicola e lo osannarono come enfant prodige; tra tutti, fu Federico Fellini a sponsorizzarne gli sforzi, prendendolo sotto la sua ala protettrice durante il tour promozionale e permettendogli di farsi un nome che, sin da subito, divenne sinonimo di qualità.
Paradosso puro se si tiene conto di come questo suo primo film, tratto da un racconto di Richard Matheson e girato su commissione, venne visto come una metafora sul capitalismo, quando è a tutti gli effetti un semplice, ma perfetto exploit di genere.
Sarebbe facile dare un'interpretazione metaforica ad una vicenda minimalista, che vede come protagonista un'auto inseguita da un mostruoso autotreno su di una freeway della California, sopratutto se messa nel contesto della situazione personale del protagonista David Mann (Weaver). Questi deve necessariamente raggiungere il sito di un incontro di lavoro, essenziale per la sua carriera, mentre sullo sfondo il suo menage familiare sembra sul punto del collasso, caso raro nel cinema di Spielberg, ove altrimenti la famiglia è il valore supremo nonchè santuario per i personaggi. Il camion potrebbe così rappresentare la paura del fallimento, la distruzione di quanto pazientemente costruito con il sacrificio personale ed il duro lavoro, nonché lo sfaldamento, fisico e ideale, del sogno americano rappresentato dalla Plymouth Valiant rossa.
Interpretazione che tuttavia suona forzata se si tiene conto di come tutto il background del personaggio sia poco più che pretestuoso, utile a dare una tridimensionalità piuttosto che una lettura della vicenda: non c'è una catarsi emblematica vera e propria che vada al di là della semplice "sconfitta" del nemico, così come la presenza scenica dell'autocarro non viene mai sottolineata come metaforica e non semplicemente spaventosa. Senza contare come il finale mal si concili con la presunta metafore: per salvarsi David distrugge il Sogno Americano, ma l'intero film non dovrebbe basarsi sulla sua difesa dal fallimento?
Tanto che lo stesso Spielberg ha più volte scoraggiato ogni forma di visione metaforica del suo film, definendolo semplicemente una sorta di western su quattro ruote.
Ma la mancanza di un significato più profondo non è certo un difetto, anzi. La costruzione certosina della tensione, sia tramite la semplice grammatica filmica che nella messa in scena, rende "Duel" un affascinante gioiello, una pellicola in grado di iniettare una suspanse inusitata, che si ferma solo per riprendere fiato e foga e non abbandona mai spettatore e personaggi se non nell'ultimissima scena, con la distruzione del colosso.
Spielberg è riuscito a creare un'icona facilmente riconoscibile: un camion sudicio, mosso quasi da una volontà propria e per questo perfetta maschera di una delle paure più ancestrali dell'uomo, quella della violenza cieca, che non ha motivi ma che non lascia scampo.
Sopratutto, ha avuto l'intuizione geniale di girare il tutto in location, nel deserto della Mystery Mesa, rendendo ancora più febbrile la vicenda grazie al sole torrido e al paesaggio desolato, dove l'auto rossa di Mann si staglia su schermo come a distaccarsi dal terreno grazie al suo colore accesso, unico tocco di vita in un contesto di morte.
La forma televisiva cede così il passo alla narrazione cinematografica. Da manuale l'opening shot creata alternando diverse sequenze in soggettiva dell'auto del protagonista, ideale ripresa totale del suo punto di vista; così come il piano sequenza con camera a mano nella scena in cui entra nella stazione di servizio, veri e proprio pezzi di cinema iscritti nel mezzo televisivo.
"Duel" è in fondo ciò a cui il titolo allude: un lungo, complesso ed incredibile duello tra due macchine, tesissimo e spettacolare, che trova un perfetto climax nella sua esplosiva conclusione. Un film semplice, immediato, quasi crudo e per questo infinitamente efficace.
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