con: Gabriel LaBelle, Michelle Williams, Paul Dano, Judd Hirsch, Seth Rogen, Keeley Karsten, Julia Butters, Chloe East, Sam Rechner, Oakes Fegley, Isabelle Kusman, David Lynch.
Usa 2022
---CONTIENE SPOILER---
Forse per un autore, quando si arriva ad una certa età, diventa obbligatorio confrontarsi con il passato, con gli anni formativi, con la pre e post adolescenza per capire o anche solo illustrare quel momento che ne ha deciso il destino, fare un amarcord di ciò che fu per capire ciò che si è. E Steven Spielberg, a 76 anni, decide di dare forma filmica al ricordo, portare su schermo una rielaborazione del passato per illustrare al pubblico ciò che fu per lui. E ben avrebbe potuto fare una "tornatorata", idealizzarne tutti gli aspetti in modo ruffiano, dando come sempre al pubblico ciò che vuole. Invece, miracolosamente, fa l'esatto opposto e crea un ritratto drammatico e umano di un'esperienza personale forse mai davvero digerita.
Nel cinema di Spielberg, la famiglia è sempre stata un rifugio amorevole, un nido da proteggere e nel quale ritrovare conforto e amore nonostante tutti i mali presenti nel mondo (l'unica eccezione in tal senso è stata data in "Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo", restando per di più una pura parentesi per oltre quarant'anni). In "The Fabelmans" la famiglia è invece un crogiolo di dolore, tenuta in piedi dall'abitudine, il compromesso e la menzogna vera e propria Il tutto a causa delle figure femminili (e in questo Spielberg va in controtendenza rispetto al cinema woke odierno che vuole la donna ferma nella dicotomia vittima/guerriera); la prima figura negativa introdotta è quella della nonna paterna, vera e propria "matrigna ebrea" che si compiace di insultare chiunque le capiti a tiro per sentirsi superiore a tutti.
Il vero perno del dolore, il fulcro sul quale poggia la futura disgregazione, è però la madre, vista come donna passionale e talentuosa, ma al contempo egoista e umorale. Quello di Mitzi Fabelman è il personaggio più antipatico mai apparso nella filmografia spielberghiana e ben potrebbe rientrare in un'ideale top 10 dei personaggi più sgradevoli mai apparsi su schermo. E' una donna che ha a cuore solo il suo benessere, pur volendo ricoprire il ruolo di madre di famiglia, che non si cura di come la sua relazione extraconiugale possa influire sul marito e i figli e che ha un vero e proprio crollo psicologico quando non può più soddisfarla. E a Spielberg non interessa riconciliarsi con questa figura materna immatura e scomoda: persino quando potrebbe perdonarla, si limita ad accettarla, al massimo a sottolineare come il suo carattere egocentrico sia simile a quello del suo alter-ego filmico, il protagonista Sammy. E la scelta di far interpretare questa donna orrenda nella bellezza a Michelle Williams risulta vincente, poiché riesce incarnarne perfettamente l'indole bambinesca e i manierismi ai limiti dello snob.
Questa descrizione disincantata della famiglia come menzogna collettiva accettata per puro quieto vivere, per quanto acida, risulta più sincera di quanto Spielberg abbia fatto in proposito in tutta la sua carriera e "The Fabelmans" diventa di conseguenza il suo film più schietto (anche se il più sentito resterà forse per sempre "Schindler's List").
Dall'altra parte c'è lui, Sammy, il vero centro della narrazione, alter-ego di Spielberg con il quale rievoca la nascita della passione per il cinema, quello shock dopo la visione de "Il più grande spettacolo del mondo", quel treno che deraglia ricostruito ossessivamente con i giocattoli, preludio ai filmini amatoriali con i quali affinerà sia la passione che la tecnica. La quale culmina con le riprese di "Escape to Nowhere", quel piccolo corto più volte citato dall'autore dietro le quinte di "Salvate il Soldato Ryan" del quale potrebbe quasi inteso come una precoce prova generale e le cui riprese vengono qui rievocate in modo simpatico, con la vera macchina da presa che crea un movimento impossibile per i mezzi che aveva all'epoca.
"The Fabelsman" diventa così uno spaccato sito nel mezzo della ardua realtà e della passione escapista, rifuggendo definitivamente da quell'idealizzazione falsa e ricattatoria di tante operazioni simili e già questo da solo ne sancirebbe l'ottimo valore. Ma Spielberg riesce persino ad andare oltre.
Nella terza parte del racconto, porta in scena il trasferimento in California e quando sembra che tutto debba scadere nell'ovvio, con il piccolo ebreo Sammy picchiato dai bulli antisemiti, la sorpresa è dietro l'angolo: la creazione del filmino per le vacanze estive della classe è l'occasione che porta l'autore a riflettere, praticamente per la prima volta nella sua carriera, sulla forza manipolativa del cinema. Quei personaggi così antipatici al di fuori e così fragili all'interno divengono, nell'occhio del protagonista, degli eroi olimpici, con il bullo Logan trasformato in un eroe mitico, mentre il giovane psicopatico Chad viene disvelato per la creatura infelice che è. Il che porta Logan ad una crisi, ad affrontare i suoi limiti in una confessione tanto violenta quanto catartica, forse il vero punto nevralgico del film: proprio come lui, è lo stesso Spielberg ad affrontare i suoi demoni riguardandoli su schermo, con il segreto del tradimento della madre a sua detta portato in silenzio per anni.
E poi c'è ovviamente quel finale già diventato di culto: John Ford appare all'aspirante filmmaker e rievoca il suo famoso discorso sull'importanza dello spazio nell'inquadratura. E far interpretare il regista americano più importante di sempre (secondo forse solo a David Wark Griffith) a David Lynch, ossia uno dei più grandi artisti viventi, è semplicemente un colpo di genio prima ancora che un accorato omaggio alla bellezza del cinema.
"The Fabelmans" trova così il suo valore nell'anticonvenzionalità della storia, nella sua volontà di rievocare il passato senza abbellirlo e anzi volendolo affrontare a viso aperto. Non il film migliore di Spilberg in assoluto, né il capolavoro che molti decantano, ma sicuramente un'opera sincera e forte e per questa tra le migliori della sua lunga carriera.
Io di Spielberg ammiro sempre la tecnica e autorialità di come si mette in cabina di regia, tolto il fatto che per me lo Spielberg ribelle rimane quello di 1941, Jaws e Duel. Posso dire che ultimamente si mette a fare dei polpettoni da Academy, ma ovviamente sono sempre i polpettoni del Nonno Steven.
RispondiEliminaNel corso della sua carriera ha fatto diversi passi falsi e, ti chiedo scusa, ma non è mai stato davvero un ribelle, basti vedere quando ci ha provato con "Sugarland Express" che risultato ha avuto.
EliminaPerò la sua preparazione è impeccabile ;)
Ribelle nel senso che si accostava alla New Hollywood del periodo relativo di quei film.
EliminaIn quel senso si, lo era in pieno. Anche perché faceva parte di quel collettivo di autori neolaureati alla UCLA (con De Palma, Milius, Scorsese, ecc...) che avrebbe rivoluzionato il cinema americano ;)
EliminaPrima o poi lo recupero, mi stuzzica questo Ford interpretato da Lynch...!
RispondiEliminaMerita davvero :)
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