di Ken Russell.
con: Peter Capaldi, Hugh Grant, Amanda Donohoe, Catherine Oxenberg, Sammi Davis, Stratford Johns, Paul Brooke, Imogen Claire, Chris Pitt, Gina McKee, Christopher Gable, Lloyd Peters.
Regno Unito 1988
Anche i registi più talentuosi possono sbagliare un film, persino quando le premesse per creare qualcosa di memorabile ci sono tutte. A Ken Russell è successo con "La Tana del Serpente Bianco", nel 1988, sorta di horror con forti venature grottesche che il grande regista trae da un romanzo di Bram Stoker del 1911. I nomi coinvolti sono altisonanti e la storia è di indubbio fascino, ma qualcosa va irrimediabilmente storto e questo adattamento, per quanto apprezzabile sotto diversi aspetti, finisce per lasciare davvero basiti.
Inghilterra. Il laureando in archeologia Angus (un giovane Peter Capaldi) rinviene, su di un terreno di proprietà delle belle sorelle Eve e Mary Trent (Catherine Oxenberg e Sammi Davis) il teschio di un antico serpente preistorico. Fatto che attira subito l'attenzione del nobile locale, il giovane James D'Ampton (Hugh Grant), oltre quella della misteriosa lady Marsh (Amanda Donohoe).
Un film strano, bizzarro, spiazzante. Aggettivi che calzano a pennello e che sono tipici di tanta produzione russelliana, ma che qui possono solo essere usati con un'accezione negativa.
La regia sperimenta ogni tipo di soluzione visiva e narrativa con sommo sprezzo del ridicolo, cercando sempre nuove forme espressive solo per cadere, fatalmente, nel ridicolo.
Lo spunto è ovviamente orrorifico, con una trama che affonda le proprie radici nel folklore britannico, tra la leggenda di San Giorgio e il drago e la fine del paganesimo con l'avvento del Cristianesimo; ma il racconto viene sviluppato in modo talmente libero che non c'è mai vera tensione, persino quando i protagonisti sono chiamati ad entrare nella tana del titolo e a combattere con dei mostri.
Allo stesso modo, il registro grottesco si affaccia solo con delle punte occasionali senza mai diventare parte integrante dello stile di messa in scena. Con la conseguenza immediata che su tutto vige un' ulteriore aura di ridicolo involontario, accentuata dal ricorso ad effetti speciali volutamente datati e trovate di messa in scena dubbie. Laddove il chroma key usato per dar vita alle immagini oniriche risulta troppo posticcio e il pupazzone adoperato per dar vita al dio serpente Dionin fa rimpiangere quelli delle peggiori produzioni Toho su Godizlla e company, fa davvero specie il modo in cui Russell pretende che si prenda seriamente la visione di Amanda Donohoe, donna-serpente, che si muove ancheggiando incantata da una musica medio-orientale. O quando inserisce una sequenza onirica dove Hugh Grant si ritrova su di un aereo con la dark lady Sylvia Marsh e la vestale Eve come assistenti di volo intente in un sensuale cat fight. O, ancora, quando decide di risolvere tutta la storia con una granata uscita fuori dal nulla.
Cosa vuole essere davvero "La Tana del Serpente Bianco"? Difficile dirlo con certezza. Di sicuro un racconto "di genere" che porta in scena lo scontro tra le origini pagane nordeuropee con il lascito del Cristianesimo in epoca moderna. Lady Marsh, sorta di ibrido donna serpente immortale, di origine e poteri ignoti, è quasi una Lilith che venera il serpente dell'Eden, incarnazione del male supremo, deprecando e oltraggiando la figura del Cristo (Amanda Donahoe dirà persino di essersi sentita liberata dopo aver potuto sputare su di un crocefisso durante le riprese, contenta lei), ma questa sua contrapposizione è meccanica, quasi forzata, persino quando viene introdotta la tematica dell'eterna lotta tra Bene e Male con Eve come reincarnazione di una suora del Medioevo, oltre che ovvia metafora della Prima Donna.
Il serpente (in originale "worm", usato però nel suo significato latino e nordico di "rettile oblungo") come simbolo fallico, pene che toglie l'innocenza, in un rituale carnale che tuttavia trova come dimensione filmica solo l'ovvio ricorso a simboli fallici. E quando dovrebbe provocare per davvero, Russell decide di trattenersi, evitando nudità inutili (dovute, pare, alla ritrosia sul set di Catherine Oxenberg), sottraendo quel poco mordente effettivo alla vicenda e instillando una forma di schizofrenia in un racconto che invece altrove non ha ritegno alcuno nella messa in scena.
Nel suo sprezzo per il risibile, "La Tana del Serpente Bianco" finisce proprio per essere risibile, oltre che indicibilmente insipido. Un'occasione sprecata per Russell, che qui firma quello che è forse il suo peggior film.
Nessun commento:
Posta un commento