giovedì 8 gennaio 2015

Maps to the Stars

di David Cronenberg

con: Julianne Moore, Mia Wasikowska, Evan Bird, John Cusack, Olivia Williams, Robert Pattnison, Sarah Gadon.

Canada, Usa, Germania, Francia (2014)


















---SPOILERS INSIDE---

Quel "mondo nel mondo" che è Hollywood è stato più volte raccontato in modo acido e corrosivo nell'arco degli ultimi quarant'anni da un sacco di registi che, pur nati o transitati attraverso i suoi canali più mainstream, sono poi finiti, volontariamente o meno, ai margini della stessa, relegati al circuito indipendente o transnazionale per poter continuare ad operare in completa libertà. Si pensi, su tutti, a quel capolavoro di cattiveria ed elegante villaneria che era "I Protagonisti" (1992), nel quale il compianto Robert Altman ritraeva in modo vivido tutta l'ipocrisia e la mancanza di idee che affligge la Mecca del Cinema; o al più recente e controverso "The Canyons" (2013), dove l'ex gallina dalle uova d'oro della New Hollywood Paul Schrader dipinge lo squallore morale e materiale che affligge tutto lo star-system.
Con "Maps to the Stars", Cronenberg si spinge ancora oltre: arriva a dissezionare letteralmente quella porzione di mondo e a ritrarne gli abitanti in modo quasi scientifico, creano il suo film più astratto, freddo e criptico.



Non c'è racconto in "Maps to the Stars": sebbene nel precedente e più sperimentale "Cosmopolis" (2012) la narrazione canonica sopravviveva nella forma del pretesto, qui ogni forma di racconto vero e proprio viene sostituito dalla pura descrizione; ogni situazione, ogni scena ed ogni episodio mostrato altro non sono se non una discesa nella psiche distorta dei personaggi, un ritratto vivo e pulsante delle loro paure, dei loro vizi e, più in generale, della loro natura distorta e disumana.
Le star di Cronenberg sono, idealmente, un'umanità a parte, una specie che l'autore analizza con un distacco scientifico freddo e calcolatore che avvicina la sua visione a quella di un Haneke leggermente più partecipe dei drammi mostrati. Una specie che si è allontanata dalle normali qualità umane ed animali in virtù di un'unica e totalizzante istanza:l'affermazione di sé medesimi, l'ascensione della propria personalità ad una vera e propria mitologia moderna. Di fatto, i personaggi di "Maps" sono biologicamente diversi da un normale essere umano: sembrano nutrirsi esclusivamente di farmaci, usati per la regolazione di ogni singola attività corporale, come se il loro organismo si fosse adattato ad un nuovo ambiente, artificiale e fasullo al pari delle loro vite; ogni personaggio presenta una sessualità deviata, ai limiti del deforme: si accoppiano solo con gente della medesima specie, ossia altri attori e produttori o aspiranti tali; e come nei miti antichi o nelle famiglie rinascimentali, l'incesto e l'abuso genitore-figlio è una pratica normale: da un lato abbiamo il personaggio di Havana (una sublime Julianne Moore), perseguitata dal fantasma delle violenze subite (o forse solo immaginate) dalla madre, dall'altra i fratelli Weiss (Mia Wasikowska ed Evan Bird), frutti di un incesto e a loro volta coinvolti in una relazione incestuosa dagli esiti distruttivi. 
La realtà percepita da queste creature, in ultimo, è anch'essa difforme da quella del resto dell'umanità: costantemente filtrata mediante un occhio distorto, che porta a rielaborare ogni singolo episodio nel quale sono coinvolti in materiale per un racconto, per una sceneggiatura, ossia per una finzione; una realtà, la loro, perennemente fusa con la rappresentazione della realtà stessa e per questo indistinguibile dalla menzogna; menzogna, o fantasia, nella quale affogano i personaggi di Havana e dei frateli Weiss con le loro visioni spettrali: non è dato sapere se si tratti davvero di apparizioni mistiche o di semplici esternazioni della loro psiche deviata, appunto perchè dal loro punto di vista la realtà oggettiva e la visione sono unite e l'una è la rappresentazione speculare e parodistica dell'altra, in un gioco di specchi infinito.


La dissezione dello star-system permette a Cronenberg  di portare in scena senza filtri né edulcorazioni di sorta tutti i vizi e lo squallore, morale e materile, che affliggono l'odierna generazione di attori e attrici, tramite la belle sceneggiatura di Bruce Wagner, che sembra uscita pari pari dalle pagine di Bret Easton Ellis. Laddove il mondo di "Cosmopolis" è una metropoli nella quale gli essere umani hanno perso le loro qualità identificative, la Hollywood di "Maps" è una vera e propria palude popolata da mostri.
Con i personaggi di Havana e Benjie, vengono rapportate due delle fasi essenziali della carriera artistica, ossia gli esordi ed il crepuscolo. Benjie è l'incarnazione della perfetta "baby-star" americana: belloccio, indefesso, totalmente dipendente da ogni forma di eccesso, è una mostruosità colma di vizio e odio etero ed auto-distruttivo, che trova soddisfazione solo ed unicamente nell'umiliazione altrui, la perfetta maschera nel quale far confluire l'odiosa supponenza di Justin Bieber (e, più in là nel tempo, di Macaluly Culkin) e la distruttiva irriverenza delle lolitas Disney, quali Demy Lovato e socie, citate esplicitamente in un dialogo. La sfrontatezza della nuova generazione viene letteralmente sbattuta in faccia allo spettatore: i giovani attori, veri e propri bambocci immaturi, criticano i colleghi adulti affermando come gli ultraventenni siano dei "vecchi" e usando la loro sessualità come estensione del loro carattere, che li trasforma, così, in mostriciattoli riveriti come dei: da brividi, su tutti, il dialogo sulla ragazza collezionista di "feci famose".
Benjie viene perseguitato da due fantasmi: la bambina morta di linfoma di non Hodgkin, una malattia che lui non conosce e per questo denigra, ed un bimbo che ha aggredito con la scusa di rubarli la scena; entrambi sono la personificazione di quella umanità che lo venera e che egli non comprende in quanto da essa totalmente avulso.


Dall'altro della medaglia, Havana, star dalla carriera ormai appassita, ultracinquantenne in cerca del rilancio; lo spettro che la perseguita è quello della madre, che riveste una triplice funzione: gli abusi che ha subito durante l'infanzia, o che forse ha immaginato di subire, creandosi una storia da portare ai tabloid pur di (ri)ottenere il fatidico quarto d'ora di fama; il fantasma della fama stessa, ormai svanita e che tenta in ogni modo di riguadagnare interpretando lo stesso personaggio che la perseguita; in ultimo, il fantasma della giovinezza, ormai sfiorita, che le impedisce di ottenere ruoli di primo piano in produzioni importanti. Ma Havana è al contempo vittima e carnefice: vittima di un sistema alla ricerca perenne di nuova carne di cui cibarsi, carnefice di ogni suo rivale, dapprima l'attrice scelta al suo posto per il ruolo, della quale gioisce la morte prematura del figlio, in secondo la sua assistente, Aghata Weiss, sorella di Benjie, più giovane ed affascinante.

 

Agatha Weiss è l'elemento distruttivo, l'essere vivente cosciente della propria mostruosità che tenta di porre fine alla specie della quale è parte. Al corrente della propria natura incestuosa, perseguitata come Benjie e Havana da visioni spettrali, spezza infine la "maldezione" di sé stessa mediante un cerimoniale mitologico, che porta all'abbatimento della stirpe stessa tramite l'omicidio ed il suicidio, in un finale dagli echi edipici. Distruzione che sembra essere l'unico modo per cancellare la stirpe del vizio e dell'incesto; coscienza che il personaggio porta sulla sua pelle, su quelle sue cicatrici che la deturpano rendendola più simile ad un comune essere umano, privo della bellezza urlata e sbeffeggiante delle star.


Meno radicale di "Cosmopolis", ma al contempo ancora più astratto e spiazzante, "Maps to the Stars" non ha di certo la forza visionaria di molte altre pellicole del grande autore; ma la ferocia e la cattiveria di fondo, oltre che allo stile chirurgico della narrazione rednono quest'ultima fatica del grande regista canadese riuscita ed interessante.

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