di Peter Jackson
con: Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage, Benedict Cumberbatch, Luke Evans, Evangeline Lily, Aidan Turner, Sylvester McCoy, Christopher Lee, Cate Blanchett, Lee Pace, Hugo Weaving.
Fantastico/Avventura
Nuova Zelanda/Usa (2014)
---SPOILERS INSIDE---
Le leggi del commercio sono spietate: se da una medesima quantità di materiale si possono ottenere più prodotti da vendere, bisogna farlo a prescindere dalla qualità effettiva degli stessi. Legge che ha consentito a Jackson e soci di trasformare un libro di appena 300 pagine dapprima in due pellicole da tre ore ciascuna, poi in tre film, ossia una nuova trilogia che si va ad aggiungere alla collezione di sciagurate operazioni commerciali che Hollywood propina al pubblico da una quindicina anni a questa parte; è toccato a "Matrix" (1999), film che si chiudeva perfettamente con il suo finale, ma che è stato gonfiato a trilogia per mere ragioni commerciali; è successo con la saga di Harry Potter, il cui ultimo, squallido capitolo è stato diluito in due pellicole da due ore e mezza ciascuna, durante le quali accade ben poco; è toccato anche a "Lo Hobbit", che si ritrova con un terzo capitolo che di fatto non è nulla se non un gigantesco epilogo, finanche visibilmente monco nella sua versione cinematografica, la cui durata è la più breve di tutti i film tratti dall'opera di Tolkien: appena 2 ore e 45 minuti a fronte della media di 3 ore delle pellicole precedenti.
L'aver gonfiato e scisso quello che doveva essere il secondo atto de "Lo Hobbit" in due film non paga dal punto di vista narrativo; il precedente "La Desolazione di Smaug" (2013) si concludeva in modo sciatto e frettoloso, con il drago lanciato verso la distruzione di Pontelagolungo, lasciando lo spettatore interdetto perchè privato di una conclusione adeguata, o anche e più semplicemente decente e rispettosa nei suoi confronti; fa ancora più senso notare come il prologo de "La Battaglia delle Cinque Armate" altro non sia se non quell'epilogo, che separato dal secondo capitolo viene incorporato nel terzo giusto per allungare la sua durata di una decina di minuti: tanto valeva lasciarlo in coda al secondo e non tagliare le parti necessarie per la continuità di quest'ultimo film.
Perchè di falle nelle continuità, "La Battaglia delle Cinque Armate" ne è pieno: Gandalf ritrova magicamente il bastone che gli era stato spezzato, Legolas, lanciatosi all'inseguimento di Bolg alla fine de "La Desolazione di Smaug", riappare all'improvviso alle spalle di Tauriel, Saruman e Elrond appaiono e scompaiono quasi senza soluzione di continuità, re Thranduil muove guerra ai Nani per reclamare il suo tesoro, ma alla fine torna a casa dimenticandosene, l'Archengemma, motore narrativo di tutto il film, sparisce da una scena all'altra, Bilbo parte da Erebor a mani vuote ma arriva alla Contea ricoperto di tesori e l'epilogo è visibilimente frettoloso. Il montaggio cinematografico a tratti non ha significato e sembra che per apprezzare davvero l'ultimo viaggio nella Terra di Mezzo bisognerà necessariamente attendere un anno e comprare la versione estesa per il mercato Home-Video.
Il che è un vero peccato se si tiene conto del fatto che, pur con tutti i suoi difetti, "La Battaglia delle Cinque Armate" è il capitolo più riuscito dell'intera Saga dell'Anello da un punto di vista strettamente narrativo. Il tema della ricchezza che corrompe l'animo umano, già al centro de "Il Signore degli Anelli", qui trova una rappresentazione più fulgida e convincente con l'ascesa e caduta di re Thorin, che da guerriero impavido e leale si trasforma in un monarca paranoico capace solo di ammassare oro; la sua catarsi, con la visione del lago d'oro che lo inghiotte, è al contempo kitsch e poco visionaria, ma rende tutto sommato giustizia al personaggio. Ricchezza che diviene necessità dal punto di vista degli Uomini, privati di casa ed averi, i quali si trovano a combattere per la loro stessa sopravvivenza; mentre gli Elfi, da creature nobili e elevati, mostrano per la prima volta il loro lato più materiale attaccando i Nani per il solo gusto di reclamare un vecchio tesoro.
La conseguente battaglia viene scatenata e combattuta non più per "salvare il mondo" o sconfiggere una non meglio identificata personificazione del Male, bensì per una semplice contrapposizione di vedute; una battaglia più terrena e per questo più credibile e coinvolgente, che Jackson riesce a portare in scena senza gli eccessi superomositici e ridicoli che affliggevano i conflitti de "Il Signore degli Anelli"; ne "La Battaglia delle Cinque Armate" a farla da padrone è l'estrema fisicità di ogni colpo, con decapitazioni e personaggi principali che muoiono come persone comuni; al bando re invincibili ed elfi in grado di sbaragliare intere armate da soli, ora ogni personaggio sanguina, cade, si rialza e viene trafitto come se la guerra per la conquista del tesoro fosse combattuta in un vero campo di battaglia piuttosto che in un reame di pura fantasia. E nella costruzione delle scene, Jackson dimostra un gusto più fine per la coreografia che rende finalmente giustizia agli alti valori produttivi dislocati, facendo dimenticare, per fortuna, gli orrori di messa in scena de "Il Ritorno del Re" (2003).
Tuttavia, una volta calato il sipario, non si può glissare sulla fallacia dell'intera operazione de "Lo Hobbit": a fronte di quanto visto su schermo, tanto valeva condensare la narrazione in soli due film, lasciare la sottotrama sul ritorno di Sauron alla sola versione estesa e garantire, così, uno spettacolo più completo e compatto.
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