venerdì 23 gennaio 2015

The Imitation Game

di Morten Tyldum

con: Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode, Charles Dance, Mark Strong, Rory Kinnear, Allen Leech.

Biografico

Inghilterra, Usa (2014)















Difficile creare un biopic che renda giustizia ad un personaggio storico: ridurre vita privata, opere, ossessioni, vittorie e fallimenti in meno di tre ore di pellicola porta spesso a ridurre figure di primaria importanza nella Storia Umana a semplici personaggi da operetta, i cui drammi vengono sovente ricondotti a regole e topoi drammaturgici scontati e triti, snaturandone l'origine; non fa eccezione, purtroppo, "The Imitation Game", attesissima biografia di Alan Turing, una delle personalità più importanti eppure meno conosciute del XX secolo; e tra una sceneggiatura stereotipata ed una regia piatta, anche questo biopic entra direttamente nel girone delle biografie "spurie", lasciando allo spettatore come unica consolazione la magistrale prova d'attore di Benedict Cumberbatch.


Senza Turing le Forze Alleate non avrebbero mai vinto la II Guerra Mondiale; parole di Winston Churchill, che ne lodava le doti quando la sua ttività nelle operazioni di decrittazione e controspionaggio erano ancora coperte da segreto militare; ma Turing non era semplicemente una spia: matematico geniale, teorizzò per primo la possibilità di creare un'intelligenza artificiale, buttando le basi per la programmazione dei computer, inizialmente chiamati appunto "macchine di Turing"; in pratica: tutta la tecnologia umana dal Secondo Dopoguerra in poi è figlia delle intuizioni di Turing, senza le quali ora non si potrebbero nemmeno leggere queste parole. Ma il grande scienziato viene tristemente ricordato anche per la sua sciagurata fine: omosessuale dichiarato, viene condannato per crimini contro la decenza nel 1951 e castrato chimicamente da quella stessa società inglese, democratica e finto-progressista, che aveva aiutato a difendere dall'oscurantismo; distrutto fisicamente e psicologicamente, si suicida tre anni dopo, a soli 41 anni.


Della complessità della vita di Turing e del mondo in cui si muoveva, lo script di Graham Moore restituisce solo dei frammenti, incastonati qua e là in qualche dialogo ispirazionista o in qualche sparuta citazione; l'impianto, sopratutto nella prima parte, è ordinario e convenzionale, con Turing giovane genio incompreso vessato dai superiori parrucconi e da colleghi sbruffoni, con i personaggi di Charles Dance e Matthew Goode (sprecati in ruoli del genere) a fare da controparte ai bulli che già lo vessavano in gioventù; in una serie infinita di flashback e flashforward, Moore e il regista Morten Tyldum (addirittura candidato all'Oscar) appiattiscono la figura di Turing sugli stereotipi più triti e, come se non fosse abbastanza, arrivano finanche a schiacciare la sua ossessione per la macchina pensante sul rimpianto per il suo primo, perduto, amore.
Non paghi, infilano a forza una love-story con il personaggio di Joan Clarke (Keira Knightley) del tutto fuori luogo, atta solo a dare al pubblico un pretesto in più per affezionarsi alla storia e per condannare in modo tutto sommato innocuo i costumi misogini dell'epoca.


Le idee e le speculazioni matematico-filosofiche vengono costantemente tenute fuori scena, come per paura di annoiare il pubblico; e il dramma umano, a furia di luoghi comuni e personaggi fatti con lo stampino, non coinvolge; per tutta la sua durata, "The Imitation Game" scorre su schermo in modo freddo ed inerte; paradossalmente, lo spettatore potrà essere più colpito dalla semplice lettura del dramma di Turing piuttosto che dalla sua rappresentazione, tanto è sciatta la messa in scena.
Fortunatamente, a rischiarare un'opera monca e malriuscita ci pensa il solito, grande, Benedict Cumberbatch, che si cala totalmente nel personaggio e ne restituisce la forza visionaria e la scompostezza fisica, in una mimesi sorprendente e mai caricaturale, unico vero valore che può portare alla visione dell'intero film.

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