di Abel Ferrara.
con: Harvey Keitel, Paul Calderon, Victor Argo, Frankie Thorn, Paul Hipp, Zoe Lund.
Usa (1992)
---CONTIENE SPOILERS---
Pochi film possono essere definiti come "esperienza", visoni in grado di cambiare per sempre lo stato mentale dello spettatore; pochissimi autori riescono davvero nell'intento di scioccare e far riflettere su temi scottanti o scomodi, ancor meno sono quelli in grado di imporsi come supremi cantori spirituali; "Il Cattivo Tenente" di Ferrara è uno di questi film: un lucidissimo viaggio nei meandri del peccato della società moderna nel quale l'autore fa emergere con forza e chiarezza un' unica, scostante e scandalosa verità, ossia come in un mondo dedito alla perdizione il perdono sia inconcepibile e la redenzione impossibile. Il tutto in appena 90 minuti, cuciti strettamente addosso ad un magnifico Harvey Keitel, girato in semiclandestinità con il budget irrisorio di un milione di dollari. Alla sceneggiatura troviamo Zoe Lund, l'ex Thana di "Ms.45" (1981) che aiuta Ferrara a visualizzare il personaggio traendo spunto dalla sua esperienza con l'eroina; Nicholas St.John, abituale collaboratore dell'epoca, decise di non avvicinarsi al progetto perchè troppo controverso e foriero di interrogativi che non si sentiva di rispondere.
Per la sua parabola moderna, Ferrara trae spunto da uno scioccante caso di cronaca: lo stupro di una suora a Spanish Harlem nel 1981 perpetrato da un paio di ragazzini; caso che scandallizzò l'intera New York e portò addirittura Cosa Nostra a mettere una taglia sulla testa dei due ragazzi. Al centro di questa sconcertante vicenda, l'autore non mette il vero detective che arrestò i colpevoli, ma un personaggio da lui creato in una sua vecchia canzone: il Tenente, coacervo di tutti gli umani peccati, definito "Bad", cattivo nel senso di "corrotto sul piano spirituale".
Il mondo del Tenente, unico appellativo del protagonista, spogliato da ogni caratteristica rilevante per assumere toni universalistici come nel teatro morale dell'Inghilterra medioevale, è marcio sin nel midollo; il valori e i riti cristiani, in particolare del cattolicesimo romano, vengono perpetrati senza vera volontà o trasporto; sono gesti inutili, consunti, privi di senso se non nella formalità più bieca. Al contrario, il peccato assume una forma rituale: il rito della pera, della dedizione all'eroina come nuova linfa vitale, sostituisce la messa e la comunione. La sua dipendenza dalla droga e dall'alcool lo porta ad uno stato di coscienza obnubilata perenne, al rifiuto totale della lucidità nella percezione, al pari del rifiuto di ogni forma di "bene" o di legame affettivo, sia familiare che extrafamiliare.
Il Tenente è un "cattivo" nel senso più basico del termine; personaggio immorale, si abbandona ad ogni tipo di attività in grado di soddisfarne le voglie più primitive e carnali, come nella scena in cui costringe due giovani donne a simulare una fellatio per potersi masturbare. Il Tenente sguazza nel peccato, vi è perso e non vuole uscirne. Il suo è un Male assoluto, che parte da piccoli gesti apparentemente privi di rilevanza per concretizzarsi nella distruzione auto ed etero inflitta.
Lo sguardo di Ferrara su questo personaggio immorale è però diverso dal canone è vicino alla tradizione cattolica; non c'è una condanna del suo stato spirituale e materiale, quanto una forma di compassione, la comprensione intima del male viscerale che lo divora e che porta l'autore ad allontanarsi da un giudizio sul personaggio in sé per soffermarsi sul male stesso; per tutto il film, il Tenente viene descritto come un personaggio patetico, privo di volontà, del tutto preda dei bassi istinti e degli eventi in cui viene coinvolto, una vittima di sé stesso e dell'ambiente in cui si muove.
Ambiente metropolitano mai così squallido e scalcinato; New York è ora una topaia fatta di interni sfatti e strade incrostate di spacciatori e piccoli rapinatori, nel quale il Tenente si confonde alla perfezione con i suoi vizi eccessivi.
In questa Babilonia moderna, esiste un crimine inconcepibile anche per l'anima più nera: lo stupro d una suora, evento che innescherà una reazione volta a cambiare la vita dello scalcinato protagonista, che Ferrara porta in scena come un incubo visionario ed incontrollato.
Il Tenente si avvicina al fatto dapprima in modo sarcastico: esordisce affermando come lo stupro di una suora non sia una gran cosa e che la Chiesa altro non è se non un racket legalizzato. Ma la taglia di 50.000$ gli fa ben presto cambiare idea.
L'ingresso del Tenente nella chiesa profanata, messo in scena come l'entrata in un mondo "altro", rappresenta il primo passo del cambiamento del personaggio, che dinanzi alla profanazione gratuita ha un collasso. Posto davanti alla genuina cattiveria umana nei confronti del più sacro dei luoghi, persino il vizio viene distrutto; ed i sensi di colpa cominciano pian piano ad affiorare.
Ma la semplice realizzazione dell'esistenza del peccato non è sufficiente per la redenzione. Il Tenente continua a vivere nel peccato, nell'autodistruzione dell'eroina, nella sottomissione sessuale e nello sperpero del denaro con le scommesse. La sua vita continua ad affondare e, volente o nolente, quei 50.000 dollari devono essere suoi.
La seconda catarsi viene innescata quando il vizio incontra la grazia: il Tenete vede la sua vittima della stupro nel suo momento più intimo e sofferto, ossia mentre viene curata dai postumi: il suo corpo nudo è bello ed attraente, non una semplice bellezza carnale, quanto la rappresentazione di una bellezza spirituale mediante una bellezza estetica. Bellezza che si fa totale quando il Tenente assiste, muto e quasi incredulo, alla confessione della donna, la quale decide di perdonare i suoi assalitori. Il perdono, il cardine dell'intero credo cristiano, trova applicazione all'Inferno, dimostrazione di come la vera Fede possa davvero salvare le anime anche più nere. E la scorza del Tenente riceve un secondo colpo.
Il pozzo nel quale il peccatore annega si fa sempre più nero. Incalzato dai debiti, il Tenente si avvicina personalmente alla suora e realizza come abbia davvero perdonato i due ragazzi. La catarsi è totale: ogni certezza viene infranta,il mondo del Tenente, fatto solo di cattiveria, deflagra e lo lascia completamente solo, in preda alla visione del Cristo.
Il peccatore realizza totalmente la sua condizione di dannato; ma la redenzione è sempre possibile. La catarsi del Tenente, così come il sentiero che ve lo ha condotto, attraversa tre fasi: l'odio, la disperazione ed il ricongiungimento. Posto dinanzi al Dio in cui afferma di credere, il peccatore non può che denigrarlo, ingiuriarlo ed accusarlo delle sue mancanze, di come lo abbia abbandonato nel peccato più turpe. Perso nella mancanza di ogni consolazione ed ogni certezza, il peccatore si dispera perchè ora pienamente cosciente del male che ha e che si è inferto. Ma dinanzi al silenzio di Dio, il peccatore capisce come questi non giudichi e si avvicina di nuovo al Padre baciandogli le ferite che gli ha inferto. Il cambiamento, doloroso e distruttivo, trova compimento: il Tenente è ora diverso.
Ricevuto il perdono, capisce come questa forza salvifica sia immane e potente, come anche i peggiori crimini possano essere lavati e come per i peccatori possa esserci una via d'uscita dal circolo del peccato. Andando contro i suoi corrotti principi, il Tenente aiuta i due ragazzi a fuggire, regalandoli la speranza di una nuova vita.
Ma un mondo che vive nel peccato non può tollerare la carità cristiana: il Tenente viene ucciso a sangue freddo, senza motivo apparente, forse per le scommesse perse, forse per qualche vecchia storia: la società lo vede come un virus, come un organismo da espellere prima che infesti il resto del corpo. La sua redenzione, però, lo ha salvato, lo ha reso migliore.
Ferrara non costruisce il cammino del Tenente, ma si limita a seguirlo; la macchina da presa tampina Keitel attraverso i luoghi della perdizione sino a farlo diventare oggetto, non più soggetto della narrazione; la messa in scena si raffredda sino all'oggettività più pura, La storia, coperta sempre e solo dal punto di vista del protagonista, cede in passo alla regia, che si avvicina ad un personaggio scomodo senza eccedere in spettacolarizzazioni inutili; il male metropolitano, che negli anni '90 troverà vesti sgargianti grazie a pellicole di culto quali "Quei Bravi Ragazzi" (1990), "Clockers" (1995) e "Trainspotting" (1996), qui viene ritratto senza abbellimenti di sorta, messo su schermo in tutto il suo squallore; e otto anni prima di "Elephant" (2000), Ferrara crea l'inquadratura oggettiva più abusata dal cinema metropolitano recente: la camera a mano che segue la nuca e le spalle del protagonista.
Ma Ferrara sa quando far cedere il passo all'oggettività e regala sequenze finemente visionarie quando mette in scena il peccato dello stupro e la redenzione del Tenente; il suo incontro con il Cristo è una visione lisergica, eppure lucida, dalla messa in scena plastica e controllatissima, pienamente efficace nel ritrarre il punto d'arrivo di un oggetto impazzito.
E proprio nel suo mix di visione e realtà, di sacralità aulica e prosaica realtà giace la grandezza del capolavoro di Ferrara: una parabola moderna nera e distruttiva, nel quale la speranza è però sempre viva e a portata di mano.
EXTRA
La canzone scritta da Ferrara può essere ascoltata sui titoli di coda del film; molti dei temi e dei risvolti della storia erano già presenti, in nuce, nel suo testo.
Quando nel 2009 uscì al cinema "Il Cattivo Tenente- Ultima Chiamata New Orleans" in molti gridarono allo scandalo. Era impossibile fare un remake dell'opera di Ferrara, persino per un regista del calibro di Werner Herzog; privata del suo artefice, la parabola del Tenente avrebbe perso ogni significato. E privato del volto rugoso e del corpo ingombrante di Hervey Keitel, il personaggio non sarebbe stato lo stesso.
Per fortuna, Herzog è riuscito a distanzarsi dal capostipite e a creare un'opera diversa eppure affine. Il Tenente di Nicolas Cage è un erede di quello di Keitel: drogato e sfatto, eppure dotato di un suo senso del dovere. La sua parabola è una discesa laica nella realizzazione del male e sopratutto nell'impossibilità di sfuggirvi, in una sorta di limbo determinista morale. E Cage, con il suo sguardo folle, ben rappresenta un personaggio macchiettistico, ma riuscito.
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