martedì 17 maggio 2016

Inferno

 di Dario Argento e Mario Bava.

con: Eleonora Giorgi, Daria Nicolodi, Leigh McClusky, Alida Valli, Sacha Pitoeff, Gabriele Lavia, Ania Pieroni.

Horror

Italia 1980
















---CONTIENE SPOILER---

A dieci anni esatti dal suo esordio con "L'Uccello dalle Piume di Cristallo" (1970), Argento è giustamente riverito come un indiscusso maestro del brivido sia in patria che, forse sopratutto all'estero. I paragoni con i più grandi autori del genere, da Hitchcock a Clouzot, si sprecano, mentre sono, all'epoca, in pochi a fare un paragone con il vero antesignano della sua poetica orrorifica, quel Mario Bava che, vergognosamente, ancora stentava a trovare un effettivo riconoscimento nei salotti buoni della critica.
Tuttavia, il successo planetario di "Suspiria" (1977) permette al maestro romano di ottenere ben 3 milioni di dollari di budget per il suo seguente progetto, in larga parte raccimolati dall'americana 20th Century Fox; budget che gli consente di collaborare proprio con quel Mario Bava al quale tanto deve. "Inferno" diviene così importante per più di un motivo: al di là del fatto di rappresentare un'ulteriore e ancora più marcata escursione nei territori del sovrannaturale, è anche il punto di incontro delle carriere dei due grandi autori, nonché l'ultimo (purtroppo) exploit di Bava, che si spegnerà poco dopo la fine delle riprese.




Bava giunge sul set dell'allievo (accompagnato dal figlio Lamberto, il cui esordio "Demoni" tanto dovrà poi proprio ad Argento) per ricoprire ben quattro ruoli: regista della seconda unità, operatore di macchina, assistente alla fotografia e consulente per gli effetti speciali; in sostanza, i ruoli più importanti per la riuscita del film sono già in mano sua; ma per puro caso, finirà per occuparsi persino della direzione generale: a causa di una malattia che colpisce Argento, si ritrova a dirigere molte delle sequenze principali, con la conseguenza che la paternità dell'opera è da attribuire ad entrambi anche sul piano artistico, non più solo strettamente tecnico.
In pratica: Argento concepisce il progetto alla base del film, Bava finisce per eseguirlo. Malauguratamente, ogni forma di riconoscimento gli verrà negata nel momento in cui  il suo nome non comparirà sui credits, nemmeno per una dedica sui titoli di coda.
Polemiche a parte, "Inferno" rappresenta, in fin dei conti, un'operazione curiosa, ma malriuscita: un horror puro nel quale i due artisti abbandonano tutti riferimenti al loro passato nel "giallo" (fatto salvo il dettaglio "d'autore" dato dai guanti neri dell'assassino) per imbastire una narrazione anomala, volutamente frammentaria quasi sino ai limiti dello schizofrenico, per portare in scena una storia bizzarra e affascinante.




Da "Suspiria" torna il presupposto di base ed elevato a vera e propria mitologia horror: nel mondo esistono tre entità, definite "Tre Madri", che allungano un'ombra nefasta sull'umanità dalle loro tre dimore, site a Friburgo, Roma e New York. Tre streghe dai poteri inenarrabili: Mater Lacrimarum, Mater Suspiriorum e Mater Tenebrarum, le quali altro non sono che le tre facce della Morte, ritratta come un'entità demoniaca.
Se "Suspiria" si caratterizzava come una favola dark costruita in parte come un vero e proprio mystery, che culminava nella scoperta dell'esistenza della prima delle tre sorelle, "Inferno" non segue un percorso lineare nella costruzione narrativa; non c'è un unico personaggio chiamato ad indagare sul mistero, né una serie di rivelazioni che di volta in volta fanno luce sui suoi aspetti. Questo viene in realtà svelato allo spettatore già nella primissima scena, creando una dicotomia tra il suo punto di vista e quello dei personaggi che entreranno in scena.




La sperimentazione in sede di script (opera di Argento e Daria Nicolodi, anch'ella priva di riconoscimento nei titoli) non si ferma alla sola costruzione narrativa; ogni costrizione viene eliminata per tentare di giungere all'orrore più basico; non ci sono veri personaggi, né una storia articolata nel senso convenzionale; tutta la narrazione viene di fatto azzerata in favore della ricerca costante della tensione. Niente più orpelli o pretesti, ciò che conta è lo spavento; e da questo punto di vista, il risultato è pienamente raggiunto: la tensione è costante, data dall'atmosfera opprimente e visionaria che sfocia sovente in jump scare cronometrati al millisecondo o nei climax degli omicidi, sempre più violenti man mano che si procede. La capacità dell'autore di sorprendere è sempre avvertibile: le morti sono al solito ben congegnate ed eseguite alla perfezione, sinergia perfetta tra gli sforzi dei due registi; la creatività viene sempre rilanciata dalla ricerca di nuove situazioni e archetipi orrorifici, come l'inclusione del gatto come forza sinistra e distruttiva, reminiscenza del grande Edgar Alla Poe o, sempre in tema zoofilo, la sequenza dei ratti, perfetto pugno allo stomaco.
A far da collante tra le scene è in fin dei conti unicamente il mistero, in parte ben congegnato, del libro "Le Tre Madri", che perseguita chiunque lo abbia letto. Il punto di riferimento è palese e anche qui di origine letteraria: il mito di Chtulu di Lovecraft, dal quale Argento riprende non tanto le basi mitologiche, quanto appunto la narrazione frammentata, fatta da più personaggi coinvolti in un'unica trama; oltre che i riferimenti all'Abisso, che viene citato con i "buchi" che i protagonisti, di volta in volta attraversano per procedere nella loro indagine.





Il risultato finale è sicuramente originale e di sicuro fascino (al punto che sarà ripreso persino da Lucio Fulci per il suo cult "E tu vivrai nel Terrore- L'Aldilà"), al netto di qualche incongruenza un pò ridicola (se le madri e le loro aiutanti uccidono chiunque venga in possesso del libro che ne rivela i segreti, allora perché decidono di lasciarlo in bella mostra in una biblioteca di Roma che sorge, guarda caso, sopra uno dei loro nascondigli?), ma mostra inevitabilmente il fianco quando si tiene conto del coinvolgimento; i personaggi non hanno spessore, sono solo comparse in un gioco ad incastro che si dipana per poco più di 100 minuti; impossibile, di conseguenza, provare empatia per la loro terribile sorte, al punto che quando la violenza fa capolino si è solo inorriditi, mai davvero scioccati.




Molto più interessante e riuscito è invece il lavoro svolto sul piano estetico. Affidata la messa in scena totalmente a Bava, tornano le sperimentazioni con l'uso dei colori, che, nella sua migliore tradizione, sono irreali, basati sulla giustapposizione tra rossi espressivi a blu pienissimi, per creare un'atmosfera ancora più gotica e opprimente, sebbene lontana dai fasti cromatici visti in "Suspiria".
Atmosfera che viene in parte sciupata dalle musiche di Keith Emerson, scelte direttamente da Argento al posto dei fidi Goblin, che risultano troppo kitsch nelle sonorità e troppo bislacche negli accostamenti tra classica e rock, con un "va pensiero" al sintetizzatore che fa venire voglia di bucarsi i timpani,
Il colpo definitivo allo stile viene però inferto da un finale troppo forzoso, che culmina nella visione della Mater Tenebrarum: una Morte semplicemente ridicola, creata con un costume di qualità talmente scadente che sfigurerebbe persino in un film per ragazzi, figuriamoci in una pellicola di terrore.





Al punto che la visione si fa definitivamente schizofrenica: si passa da momenti di orrore puro magnificamente riusciti a sequenze ridicole, si resta affascinati dal dipanarsi dei bizzarri eventi salvo poi essere delusi dalle incongruenze, si è scioccati dalla perfetta atmosfera ma spiazzati dalle cadute di stile. Colpa, forse, di una voglia di sperimentare troppo sfrenata, che rilancia costantemente sino a sforare nel malriuscito.
A rivederlo oggi, pur questi suoi grossi e inescusabili difetti, "Inferno" acquista tuttavia una forma di valore: è la testimonianza di un altro modo di intendere il cinema, di un'epoca nella quale si riusciva davvero a ricercare nuove forme e registri nel cinema di genere; ed è per questo che resta un film interessante a prescindere dal suo effettivo valore. Oltre che importante a causa dei nomi coinvolti: la testimonianza perfetta della fine di un'epoca e del culmine di un'altra.

Nessun commento:

Posta un commento