Empire of the Sun
di Steven Spielberg.
con: Christian Bale, John Malkovich, Miranda Richardson, Joe Pantoliano, Nigel Havers, Leslie Phillips, Masato Ibu, Ben Stiller.
Drammatico/Storico
Usa 1987
La svolta "seriosa" non giovò alla carriera di Spielberg; benché accolto con fervore ai festival americani e con favore dal pubblico, "Il Colore Viola" (1984) è tra gli esiti peggiori del suo cinema e, all'epoca, gli garantì anche forti accuse di razzismo. Sarebbe stato lecito, di conseguenza, aspettarsi un ritorno al cinema di genere, alle atmosfere spensierate de "I Predatori dell'Arca Perduta", il cui secondo sequel aspettava di entrare in produzione. Eppure Spielberg riuscì di nuovo a stupire tutti, avvicinandosi ad un progetto ambizioso e complesso, una storia sull'infanzia decisamente più vicina alle sue corde, ma lontana anni luce dalla leggerezza di "E.T." (1982): "L'Impero del Sole".
Pellicola oggi (vergognosamente) quasi dimenticata, mai citata tra i suoi film migliori, né ricordata con particolare entusiasmo dai fans; oblio forse dovuto al mezzo flop che rappresentò all'epoca: poco più di 66 milioni di dollari di incasso globale a fronte di un budget di oltre 35, oltre che sei nomination agli Oscar e nessuna statuetta, battuto in ogni categoria dal coevo "L'Ultimo Imperatore" di Bertolucci. Oblio che non rende giustizia ad un film tra i migliori e più scostanti dell'autore.
Perché "L'Impero del Sole" è sicuramente un film sull'infanzia e la pre-adolescenza diretto ad altezza di bambino come d'abitudine nel cinema spielberghiano; è una pellicola di guerra vista dagli occhi di un pre-adolescente che non può contare sulla bellezza visionaria de "L'Infanzia di Ivan" (1962), né sulla crudezza ammaliante di "Và e Vedi" (1985), ma che riesce lo stesso a creare un perfetto arco decostruttivo in grado di rappresentare con efficacia l'orrore della guerra.
Basato sul romanzo omonimo ed autobiografico di J.G.Ballard, racconta la vicenda reale (ma in parte romanzata) della sua sopravvivenza nella Cina occupata dalle truppe giapponesi dal 1941 al 1945. Quattro anni di guerra che coincidono con il passaggio dall'infanzia all'età adolescenziale, la fine di un età e l'inizio di una nuova, in un'odissea sinistra, apocalittica, ma filtrata sempre dall'immaginazione del suo giovane protagonista. Personaggio che ha il volto e le movenze di un Christian Bale dodicenne al suo esordio sul Grande Schermo; e mai esordio potè essere più folgorante: il suo Jamie urla, piange, grida, ride sguaiatamente, in una performance incredibilmente espressiva, perfetta avvisaglia della sua futura carriera.
Attorno a lui, un mondo allo sfacelo, un inferno che non ha tanto il volto orientale dell'invasore nipponico, quanto quello più astratto ed inquietante della guerra in sé, del conflitto inteso come violenza spicciola e fine di ogni certezza. Il cammino di Jamie è quello di un ragazzo dell'alta borghesia, un pò viziato, che si ritrova di punto in bianco in una giungla umana costellata di loschi individui. Ma i concetti di "bene" e "male" sono ora fluidi, di difficile interpretazione. Venuta meno la figura genitoriale, Jamie si ritrova dipendente da un truffatore, il Basie di John Malkovich, personaggio solo in apparenza a-morale, ma nei fatti del tutto immorale: ladro che diviene bandito, che cerca di vendere il ragazzo già dopo il loro primo incontro. Basie è un personaggio ambivalente: unico appiglio del giovane in un mondo adulto e violento e al contempo minaccia per la sua stessa incolumità, sempre pronto ad utilizzarlo per i propri comodi, eppure unico vero punto di riferimento durante gli anni di prigionia, unico adulto sul quale un bambino può riporre sentimenti di affetto o orgoglio.
L'orrore della guerra filtrato dagli occhi dell'infanzia trasforma la Cina dell'occupazione nipponica in una sorta di favola sinistra. La violenza, anche quella subita dal piccolo protagonista, non viene mai celata né addolcita, ma il suo viaggio è sempre immerso nello stupore di chi si trova davanti ad un sogno che ha preso vita. La fascinazione di Jamie per la strumentazione bellica (il suo sogno è quello di divenire aviatore) lo aiuta a sopportare le parti più cupe della prigionia, come il bombardamento del campo, in un inno alla forza e alla resistenza degli infanti. Ma questo solo sul piano più esterno.
In profondità, l'orrore quotidiano lacera poco a poco la sua mente, sfalda la sua psiche che comincia a perdere pezzi un pò alla volta.
La follia è distruzione dell'innocenza, che attraversa almeno due tappe essenziali. La prima, più orrenda dal punto di vista di un adulto, è la morte della signora Victor (Miranda Richardson), che avviene contemporaneamente al bombardamento nucleare; la fine della guerra coincide con la presa di coscienza della fine dell'innocenza: l'Era Atomica, l'orrore per una distruzione mai vista prima, è il primo passo in un nuovo mondo ed in una nuova fase della vita individuale. La seconda è la catarsi definitiva: la morte del giovane pilota giapponese, in parte doppleganger di Jamie, ucciso da quella figura paragenitoriale che lo aveva abbandonato. E' da questo momento che il bambino diviene giovane uomo: il punto di non ritorno è passato, l'infanzia è finita, l'orrore si è consumato definitivamente e non può più essere filtrato o rielaborato da uno sguardo innocente.
Ma "L'Impero del Sole" è anomalo anche sul piano della messa in scena, almeno per gli standard spielberghiani. La sua visione qui si fa più ampia, sempre ad altezza di bambino, ma attenta anche e costantemente al contesto; le scene di massa divengono parte integrante della narrazione: è la calca a far da protagonista delle sequenze narrative più importanti, come la fuga da Shangai o la marcia verso l'entroterra. La mano di Spielberg è salda, le sequenze di massa divengono puro spettacolo, quasi un omaggio al cinema di David Lean, che avrebbe dovuto inizialmente dirigere il film.
Uno spettacolo che questa volta riesce sempre ad andare di pari passo con il contenuto, per creare un equilibrio perfetto, allora inedito per l'autore e che raramente si ripeterà a questi livelli.
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