di Adam Wingard.
con: Nat Wolff, Willem Dafoe, Lakeith Stanfield, Margaret Qualley, Shea Wigham, Masi Oka, Paul Nakauchi, Micahel Shemus Wiles.
Thriller/Fantastico
Usa 2017
---CONTIENE SPOILER---
Che piaccia o meno, bisogna ammettere come "Death Note" sia stato un fenomeno mediatico globale, in grado di rinverdire i fasti del fumetto nipponico in Occidente, il quale non vedeva un tale livello di apprezzamento dai tempi del primo "Ghost in the Shell". Un manga, scritto da Tsugumi Oba e disegnato da Takeshi Obata , basato su di un'idea semplice: un quaderno in grado di uccidere il soggetto il cui nome viene scritto sulle sue pagine e che, finendo nelle mani sbagliate, diviene il mezzo per riplasmare il mondo.
Strutturato come un thriller dapprima, poi come uno scontro ideale tra i personaggi, combattuto a colpi di intelligenza, il manga originale poneva al centro della vicenda Light Yagami, studente modello delle superiori che trova per caso il "Death Note" del dio della morte Ryuk, il quale, annoiandosi nel suo mondo, ha deciso di gettarlo sulla Terra per vedere che effetti avrebbe provocato; carpitone il potere ed affiancato dallo stesso Ryuk, Light decide di adoperarlo per sradicare il male dal pianeta, per creare un mondo nel quale non esistano malvagi; la sua azione diviene presto di pubblico dominio ed il mondo comincia a venerare questa "forza oscura" che castiga i malvagi chiamandola "Kira" (traslitterazione della pronuncia giapponese di "Killer") e venerandola come un vero e proprio dio. Light, dall'intelligenza fuori dal comune e dotato di un ego che si ingrandirà sempre di più, sarà ben presto chiamato a confrontarsi con le forze dell'ordine, le quali, spiazzate, si rivolgeranno ad un altro genio adolescente che si fa chiamare semplicemente"L", per evitare di cadere vittima del misterioso potere.
Tralasciando l'aspetto morale della vicenda, ovvero se sia giusto uccidere per creare un'utopia dove il male non esiste e se un uomo possa davvero divenire supremo giudice della Razza Umana solo perché ne ha i mezzi ed una capacità intellettiva fuori dal comune, il fumetto riusciva ad avvincere per il ritmo serrato, per la narrazione densa e fluida dove lo scontro tra Light ed L era combattuto a colpi di sagacia ed intelligenza, una vera e propria partita a scacchi con un dio della morte in grado di tenere incollato il lettore al tankobon.
E questo nonostante il fatto che gli autori, ebbri del forte successo, abbiano deciso di allungare il brodo con una sottotrama inutile (la parte dove il Death Note finisce nelle mani di una grossa zaibatsu) e modificare il finale originale per creare una sorta di seconda parte alla storia; la trama, infatti, si sarebbe dovuta concludere nel momento in cui, invece, L viene sconfitto: in origine avrebbe solo fatto finta di morire, adoperando uno stratagemma in realtà scontato, ossia scrivere da solo il proprio nome sul quaderno per evitare di essere manipolato dal nemico, che gli avrebbe garantito di smascherare Light, divenuto nel frattempo suo collaboratore. Finale semplicemente perfetto, ma che purtroppo è stato modificato per esigenze prettamente commerciali.
Il successo del brand "Death Note" è però dovuto sopratutto alla bella serie anime prodotta da Shueisha, che ben traspone in animazione lo scontro tra Light e L, aggiungendo quella dose di spettacolarità che solo l'animazione può garantire.
Successo che ha portato da subito alla produzione di tre film, due per la televisione ed uno per il cinema, in patria.
"Death Note" e "Death Note 2: The Last Name" sono due deboli riassunti della prima parte della storia originale, che vale la pena guardare solo perché riprendono il finale originariamente concepito dagli autori; più interessante lo spin-off "L- Change the World", diretto da Hideo Nakata, che si configura come una storia originale con protagonista L, ben interpretato da Ken'Ichi Matsuyama.
Anche a distanza di anni, la storia del quaderno assassino non sembra aver perso la sua presa sul grande pubblico, tanto che nel 2015 viene prodotta, sempre in Giappone, una serie live-action basata sul manga; e nel 2016 esce nei cinema giapponesi un lungometraggio che ne fa da sequel: "Death Note: Light up the new world".
Successo che ovviamente non passa inosservato ad Hollywood; i progetti per un adattamento occidentale del manga si susseguono forsennati nel corso degli anni, ma a differenza di quanto accade in Giappone, un film dal vivo non vede la luce se non dopo 14 anni dopo l'uscita del manga originale; a spuntarla è Netflix, che chiama a dirigere il progetto Adam Wingard, scelta tutto sommato spiazzante se si tiene conto della poca notorietà del suo nome presso il grande pubblico, ma che si spiega in ragione dei suoi lavori passati, dove la cattiveria anche grafica non mancava di certo.
Un adattamento, questo diretto da Wingard, dove molte dei punti di forza dell'opera originale vanno perduti, un pò a causa della differente cultura che l'ha generato, un pò a causa di alcune inescusabili sciatterie di scrittura.
Era normale attendersi una diversa caratterizzazione per Light: un adolescente da Q.I. stratosferico e dotato di un deviato senso di giustizia del tutto innato è un archetipo che mal si adatta alla cultura americana, essendo nato e rifinito in quella società nipponica ossessionata dalla perfezione sociale e lavorativa; non deve quindi meravigliare il fatto il fatto che, nel film, Light Turner (anche il cambiamento anagrafico è d'obbligo) sia un adolescente del tutto normale, intelligente ma non geniale, dotato anche di forti difetti e debolezze caratteriali e il cui senso di giustizia è dovuto ai traumi subiti. Così come non deve meravigliare il fatto che il personaggio di Misa Amane sia divenuto Mia Sutton, cheerleader e non più popstar, il cui ruolo nella narrazione non è più quello di mero strumento usa e getta. Diverso è anche il peso che ha lo shinigami Ryuk, magistralmente interpretato da Willem Dafoe, più attivo (almeno inizialmente) rispetto alla sua controparte cartacea, oltre che estremamente inquietante: il simpatico dio della morte con gli atteggiamenti da sbevazzone divertito è su schermo un mostro dal ghigno satanico perennemente avvolto nelle ombre.
Pur tuttavia, resta dubbia la scelta del cast; tolti Dafoe e la bella Margaret Qualley, perfetti nei loro ruoli, ci si chiede perché Wingard e Netflix abbiano deciso di affidare il ruolo di protagonista ad un attore come Nat Wolff, vistosamente incapace di reggere la scena, di donare una vera tridimensionalità al personaggio, privo del carisma necessario e finanche ridicolo quando fa gridare il suo Light come una donnicciola isterica.
I dubbi, invece, sulla scelta di Lakeith Stanflield come "L" si sciolgono come neve al sole una volta che questi appare su schermo: pur passando la maggior parte del film bardato dietro un cappuccio, la sua performance, anche quando strettamente vocale, è del tutto convincente; e perfino il suo fisico emaciato ricorda quello del personaggio del manga.
L'adattamento della storia cerca di essere il più fedele possibile alla prima parte del manga; dove per "possibile" si intende "cercare di comprimerlo in poco più di 100 minuti"; la restrizione degli eventi, la riscrittura dei personaggi ed il cambio dell'ambientazione bene o male funzionano, anche se a tratti la storia risulta sin troppo scontata e tirata via; ben più enfasi avrebbero meritato, su tutti, il concetto del culto di Kira ed il modo in cui l'opinione pubblica è manipolata dalla sua azione.
Ma il vero difetto di scrittura risiede nella mancanza di quell'intelligenza che invece accompagnava lo sviluppo della storia nel manga e nella serie televisiva: lo scontro tra Light ed "L" è molto più diretto e scontato, mancano i colpi di scena e le inversioni di marcia, gli ostacoli e le sottotrame; tutto è bene o male lineare, almeno sino all'ultimo atto (curioso come la divisioni in atti ne conti 4 e non 3, come solitamente avviene nel cinema orientale), ove vengono relegati tutti i colpi di scena possibili e la cattiveria vera e propria. Manca quel gusto per la strategia e la tattica di raziocinio che invece traspariva in ogni capitolo del manga ed in ogni episodio dell'anime, cosicché la storia diviene irrimediabilmente piatta.
A rendere interessante la visione resta così il solo stile di Wingard, qui ancora più affinato e spettacolare, forse a causa dell'ottimo budget; le monocromie blu e rosse, l'uso dei neon come e meglio che in "The Guest" e della musica synth curata da niente meno che Atticus Ross, contribuiscono alla creazione di un'atmosfera plumbea ed opprimente, che purtroppo non sempre trova riscontro nello script; così come l'uso di uno splatter esagerato, solitamente sopra le righe, qui si fa a tratti squisitamente disturbante, anche se fine a sé stesso.
Il "Death Note" yankee è così puro cinema escapista privo di vero mordente, che intrattiene per i 100 minuti di durata, ma che non riesce davvero a coinvolgere. Un filmino un pò freddo e lontano anni luce dai punti di forza del fumetto al quale si ispira, che ha dalla sua un cast in parte buono e le visioni del suo autore; alla fine dei conti, davvero troppo poco.
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