di François Truffaut.
con: Bernadette Lafont, Claude Brasseur, Charles Denner, Guy Marchand, André Dussollier, Anne Kreis, Philippe Léotard, Gilberte Géniat.
Commedia
Francia 1972
Cosa definisce davvero un'opera come "minore" nella filmografia di un grande artista?
Sicuramente l'incapacità di raggiungere le vette espressive, sia di carattere narrativo che estetico, a cui questi è solito. E si è già visto come nella filmografia di Truffaut ci sia un "grande escluso" tra i migliori film che solitamente gli si attribuisce, ossia "La mia droga si chiama Julie". Eppure, anche "Mica scema la Ragazza!" (ironica e per una volta riuscita traduzione italiana di un titolo originale che recita "una bella ragazza come me", più calzante ma anche più blando) potrebbe ambire ad essere considerato come un "culto non colto", una perla alla cui riuscita solitamente si soprassiede, forse per il suo essere un film fin troppo leggero e spensierato, pur all'interno dell'opera di un autore che ha fatto della leggerezza il suo marchio di fabbrica.
Francia. Un giovane criminologo, Stanislav Prévine (André Dussolier, all'epoca all'esordio sul Grande Schermo), alle prese con il suo esordio letterario, un saggio sulla criminalità femminile, incontra, per soli fini lavoativi, un'avvenente detenuta, Camille Bliss (Bernadette Lafont), la quale gli racconta la sua roccambolesca storia fatta di amori, sesso spinto, tradimenti e tante parolacce.
Truffaut introduce e chiude il racconto in modo insolito per una commedia; l'incipit è barocco, fatto di plurimi flashback: si parte con una ragazza in una libreria che chiede informazioni sul saggio di Prévine, ancora non pubblicato, per poi retrocedere di un anno, disvelando il perché in un primo flashback che dura tutto il film; la storia di Camille viene poi narrata, a partire dall'infanzia, con una serie di flashback interrotti dalle trascrizioni dei nastri usati dallo scrittore. Nel finale, invece, l'autore usa prima un flashforward per poi ricostruire il climax nuovamente con dei flashback.
Tecnica insolita ed affascinante, che ben si appresta ad una storia che di convenzionale, in fondo ha poco.
L'intento di Truffaut è sacro e dissacrante al tempo stesso: rifare una commedia brillante, "alla Lubitsch" come direbbe l' (ex) amico Godard, in chiave modernissima, con al centro l'archetipo della donna secondo la sua visione, impegnata in una serie di avventure piccanti, condite con un linguaggio sporco, ruvido, pieno di termini offensivi, per questo incredibilmente moderno.
Il linguaggio che è perfetto specchio del carattere della protagonista, Camille, che vive innanzitutto grazie al corpo mozzafiato della compianta Bernadette Lafont, all'epoca bellissima, dalle gambe chilometriche e sensuali e dal seno sodo, che Truffaut ovviamente si diverte a ritrarre in tutto il loro splendore.
Camille è, al pari di Julie, della Catherine di "Jules & Jim", della Julie Kohler di "La Sposa in Nero", una manipolatrice che usa la sua avvenenza per fare fessi gli uomini, interessati solo alle sue grazie, pur quando coscienti del "marciume" che le pulsa all'interno.
Un conflitto, quello con la figura maschile, che inizia dall'infanzia, con l'uccisione tragicomica del padre, etichettata come "una sfida con il destino", che continua con il marito bamboccione affetto da complessi materni, con il primo amante, un cantante tombeur des femmes usato per lo più per arrivare al successo, un avvocato adoperato al pari per motivi economici, un disinfestatore quacchero i cui sentimenti sono puri e puramente spennato di molti averi; sino a lui, quello Stanislas che si illude di comprenderne la psiche grazie ai suoi studi, ma che, al pari degli altri, altro non è se non un allocco ipnotizzato dalla bellezza e dai modi affabulatori di una ragazza, appunto, "mica scema".
Ma Camille, per quanto bella, è una "figlia del popolo", una verace ragazzetta dal cervello fino, ma dai modi grezzi; la sua parlantina veloce è pregna di versacci e parolacce, che nella traduzione italiana si centuplicano grazie alla ricchezza del nostro idioma. E Truffaut si diverte a creare una comicità verbale fatta di doppi sensi e più spesso di veri e propri sensi unici, dove la volgarità si fa strumento comico irresistibile, che riesce davvero a strappare risate senza mai scadere nello scontato, nell'inutilmente volgare, come invece accade tutt'oggi in tanta commedia italiana.
E l'ironia più sferzante viene riversata negli sketch, nell'opposizione tra Camille e le deboli figure maschili, la cui forza viene annichilita dalla sua avvenenza prima, dalla sua intelligenza dopo.
Una declinazione del conflitto tipicamente truffautiana che qui trova una nuova e compiuta dimensione, quella della commedia brillante tinta nei colori del grottesco ed adornata da una volgarità mai fastidiosa. Ed è in tale perfetto equilibrio che sta la forza del film, nel riuscire a divertire senza mai offendere, nel mostrare le ossessioni del suo autore sempre uguali, eppure sotto una luce diversa che ne modifica i contorni sino a renderle nuovamente fresche; oltre a moltiplicarne la portata, grazie allo spirito dissacratorio che solo la commedia grottesca può avere. Un esperimento, in sostanza, perfettamente riuscito.
In dove, alla fine, "Mica scema la Ragazza!" perde se confrontato rispetto ad altre opere di Truffaut? Unicamente nella messa in scena, che questa volta è più semplice, più "di servizio" rispetto ai suoi lavori migliori, anche se mai secca o sciatta. In fin dei conti, davvero poco.
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