lunedì 21 maggio 2018

JoJo's Bizarre Adventures- Diamond is Unbreakable Chapter 1

JoJo no kimyô na bôken: Daiyamondo wa kudakenai - dai-isshô

di Takashi Miike.

con: Kento Yamazaki, Ryinosuke Kamiki, Nana Komatsu, Yusuke Iseya, Jun Kunimura, Masaki Okada, Mackenyu Nitta, Takayuki Yamada.

Fantastico/Azione

Giappone 2017













Nel panorama del fumetto mondiale, non esiste davvero un' altra opera come "Le Bizzarre Avventure di JoJo", lo stralunato manga di Hirohiko Araki cominciato nel 1987 e tutt'oggi in corso di pubblicazione, che negli anni è stato anche il manga più venduto di sempre.
Un'opera definibile solo come "bizzarra", appunto, situata com'è tra la parodia, la commedia demenziale, horror e thriller, infarcita da un singolare senso dell'avventura e di combattimenti al fulmicotone, "JoJo" può rientrare tranquillamente nella categoria del "battle shonen", risultando come uno dei più belli, di sicuro il più originale di sempre. Merito del suo autore e della sua immensa capacità di ricreare, di serie in serie, la sua opera in modo sempre fresco e sgargiante.




"JoJo" nasce però come un semplice fumetto d'azione; la prima serie, "Phantom Blood", introduce il protagonista Jonathan Joestar, rampollo dell'omonima famiglia nobile inglese, che verso la fine del XIX secolo deve confrontarsi con il fratellastro Dio Brando, ambizioso popolano adottato dai Joestar, cattivo fin nel midollo ed intenzionato ad impadronirsi della fortuna della famiglia; questo finchè non fa irruzione il fantastico: a causa della maledizione di un'arcana maschera di pietra, Dio diventa un vampiro e JoJo, assieme al barone Zeppeli, all'ex tagliagole Speedwagon e ad un pugno di combattenti, inizia una crociata per distruggerlo.




In questa sua prima incarnazione, "JoJo" è poco più di un battle shonen caratterizzato da un tratto ipermuscoloso (simile a quello di Tetsuo Hara), colori innaturali (ispirati alle opere di Gauguin), una vagonata di citazioni dal mondo della musica ("Zeppeli" da Led Zeppelin, ma anche JoJo come nella canzone dei Beatles, Tom Petty e Dio Brando come Marlon Brando e Ronnie James Dio) e da combattimenti di buon livello: l'uso delle "onde concentriche" permette ai personaggi di compiere azioni spettacolari, garantendo una buona dose di intrattenimento. Ma il meglio arriva alla fine: con un colpo di scena spettacolare, Dio riesce in extremis a sconfiggere Jonathan, il quale muore a fine serie. A continuare le bizzarre avventure ci penserà così suo nipote Jospeh, la cui storia è ambientata durante la II Guerra Mondiale. Ed è qui che sta un'altra trovata geniale di Araki.




Ogni serie ha un protagonista ed un'ambientazione diversa. Rifacendosi alla saga de "Il Padrino", l'autore decide di mettere al centro della narrazione la famiglia Joestar, con un protagonista nuovo di volta in volta ed il protagonista della serie precedente nei panni di comprimario. La seconda serie, "Battle Tendency", inaugura anche un altro tratto essenziale del manga: i poteri limitati dei protagonisti. Contrariamente a quelli di "Dragon Ball" e "Naruto", i personaggi di "JoJo" hanno un move set limitato quasi fino all'essenziale, il che forza Araki a concepire soluzioni sempre fresche per i combattimenti; da antologia, in tal caso, in questa seconda serie è il confronto finale, che inizia con una sfida di corsa alle bighe.




Con la terza serie, "Stardust Crusaders", arriva anche il successo globale; protagonista è Jotaro Kujo, nipote di Joseph Joestar, che ritorna come comprimario, il quale scopre di avere un potere speciale: uno spirito combattivo che lo protegge, detto "stand"; ed è quest'ultima trovata che dona ulteriore originalità al manga, oltre ad essere stata plagiata ed omaggiata in centinaia di altri fumetti; ogni personaggio ha ora un suo stand, il quale ha massimo due attacchi, cosicchè la strategia del combattimento diviene essenziale e le battaglie divengono di conseguenza ancora più spettacolari. "Stardust Crusaders" è anche la serie più lunga, oltre a quella in cui il senso di esotismo si fa più marcato, essendo strutturato come un lungo viaggio verso Il Cairo, dove un redivivo Dio Brando attende i protagonisti. Ed è sempre qui che l'umorismo si fa più marcato, trasformando a tratti il tutto in una sorniona parodia di "Hokuto no Ken".




Trasposto in animazione per la prima volta negli anni '90, "JoJo" è un franchise che non conosce il tramonto, tanto che la nuova serie anime, prodotta a partire dal 2012 dallo studio David, ha dato ancora più esposizione ad una saga già amatissima. Da qui l'idea di trasporre al cinema le avventure della famiglia Joestar. 
Curiosamente, per l'adattamento, si è scelto di non trasporre "Phantom Blood", nè la più celebre "Stardust Crusaders" o una delle serie più recenti, bensì "Diamond is Unbrakable", quarta serie, con protagonisti Josuke Higashikata, figlio naturale di Joseph Joestar, e Jotaro Kujo. Il perchè è in realtà facilmente intuibile: è ad oggi una delle poche ad essere ambientata totalmente in Giappone, nella immaginaria cittadina di Morioh, rendendo le riprese più semplici.
E per trasporre un manga folle e ameno come "JoJo", forse non esiste miglior regista di Takashi Miike, il quale, fedele al suo stile, traspone in modo letterale lo stile di Araki su schermo.



Miike come sempre opta per un approccio del tutto fedele alla controparte cartacea: il design di tutti i personaggi è pressocchè identico a quello che hanno nel manga; il tono, tuttavia, è più serio, privo di quell'umorismo demenziale che rendeva davvero riuscita l'opera di Araki.
La rilettura di fatti e personaggi, ad ogni modo, non manca: largo spazio viene dato al rapporto tra Josuke ed il nonno poliziotto (interpretato dal grande Jun Kunimura) e la crescita del protagonista risiede proprio nella sua ammirazione per il genitore surrogato.


Per il resto si ha una trasposizione del tutto fedele delle pagine del manga: torna il serial killer Angelo, così come il comprimario Koichi e l'inquietante Yukako. Peccato che la storia si fermi esattamente a metà degli eventi: non c'è praticamente nessuna traccia di Kira Yoshikage, l'assassino seriale ispirato al Duca Bianco di David Bowie che tanto filo da torcere dà ai Joestar; tutta la trama è così spezzata in due, prima dal confronto con Angelo, poi con i fratelli Nijimura, con il mcguffin dell'arco che crea gli stand user a fare da collante.


E la natura episodica del film non permette allo spettatore occasionale di goderne a pieno: troppi gli interrogativi lasciati in sospeso, primo fra tutti quello sul mcguffin stesso, del quale non viene data la benchè minima spiegazione; così come sono spariti tutti i riferimenti a Dio e alle battaglie precedenti.
Su tutto è però la regia di Miike a lasciare perplessi: come spesso accade in quest'ultima fase della sua carriera, si limita a dirigere tutto con il pilota automatico, senza guizzi né virtuosismi di sorta, appiattendo il tutto.


Non stupisce, di conseguenza, la pessima accoglienza che la pellicola ha avuto in patria, rappresentando ad oggi l'unico vero flop del brand di "JoJo". Il che è, in fondo, anche un peccato: un secondo capitolo delle avventure live action di Josuke ben avrebbe potuto rimediare agli errori di questa prima incarnazione. E Miike aveva davvero tutte le carte in regola per rendere l'adattamento delle follie di Araki davvero memorabile.

1 commento:

  1. Io non sono ancora riuscito a vederlo. Comunque è un vero peccato che Takashi Miike non sia riuscito a rendere la meglio la follia di JoJo (anche se la trasposizione di Yattaman dimostra che l'abilità c'è).

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