di Nanni Moretti.
con: Nanni Moretti, Fabio Traversa, Lina Sastri, Piero Galletti, Susanna Javicoli, Maurizio Romoli, Cristina Manni.
Italia 1978
"Te li meriti i film di Alberto Sordi!". E' questa una delle battute più celebri di "Ecce Bombo", cult di Moretti che ancora oggi non smette di turbare. Perchè se con "Io sono un Autarchico" dipingeva una generazione che cercava di distaccarsi dai padri, ora ritrae non solo lo smarrimento loro proprio, bensì anche la totale incomunicabilità di e tra gli stessi, in un ritratto ancora più impietoso, che prende a calci la narrazione convenzionale, tutti i canoni del cinema italiano e non, per dare forma completa all'alienazione.
Incomunicabilità che fa capo sin dal titolo, quell' "Ecce Bombo" grido privo di senso di un rigattiere ostiense; incomunicabilità che divide Michele Apicella dalla generazione paterna, ancora più distante che in passato, il cui conflitto si risolve in uno schiaffo sordo ed inutile; nonchè dalla generazione, più giovane, della sorella diciottenne, impegnata in un'occupazione il cui momento clou è la partita di pallone.
Incomunicabilità che fa capolino anche nel rapporto di coppia: tutte le donne che Apicella incontra sono respinte da un muro invisibile che l'alter ego morettiano ha eretto intorno a sè. Basta citare una delle battute più celebri del film: "Ti volevo dire se ci possiamo vedere per innamorarci di me", storpiatura del discorso di apertura del personaggio verso l'oggetto del desiderio che perde forma nell'atto dialogico.
Incomunicabilità che diviene fortezza nell'ultima scena, dove Apicella risponde con il silenzio al grido d'aiuto di Olga, donna presunta pazza, in realtà semplicemente cosciente della pochezza dei coetanei.
Incomunicabilità che, nella narrazione, porta quindi ad un isolamento totale e totalizzante: Apicella si ritrova ben presto da solo, abbandonato dai compagni di finte lotte e dagli studenti più piccoli che prepara alla maturità, per un motivo a dir poco agghiacciante: la sua totale incapacità decisoria.
Protagonista e compagni sono stretti tra due poli antitetici; da una parte sono esponenti della medio-borghesia romana, conservatori nel sangue, abituati agli agi propri di chi la fabbrica l'ha vista solo al telegiornale. Dall'altra, le aspirazioni intellettualistiche (di stampo prettamente intellettualoide) dei rivoluzionari del sabato sera, di coloro che vorrebbero rovesciare lo status quo della DC per creare quell'utopia comunista che è puro spettro del passato. Questo perchè le parole, prima ancora che le azioni del gruppo, sono vacue, pure elucubrazioni di menti prive di veri punti di riferimento, che neanche nell'impegno politico dei Rossi contro Neri trova più un punto fermo. Da qui la battuta d'apertura: come in un film di Alberto Sordi, in una commedia populista e talvolta qualunquista, non c'è differenza tra le differenti trincee politiche.
A parole vuote possono solo conseguire azioni prive di senso o fini a sè stesse: sempre nel finale, la comune chiamata ad aiutare Olga si perde in azionucole mondane, come giocare a calcio, mangiare un cocomero o andare a donne. L'alienazione non porta cioè a nulla, se non all'appagamento di false necessità, alla perdita cioè di ogni effettiva velleità rivoluzionaria.
Su di un piano diegetico, l'alienazione diviene distruzione del registro narrativo; laddove in "Io sono un Autarchico" era ancora presente una parvenza di progressione narrativa, in "Ecce Bombo" la narrazione viene frantumata in piccolissimi pezzi, sketch talvolta composti da due battute racchiuse in un'inquadratura, alienanti al punto da restituire perfettamente lo stato mentale dei personaggi. Piccole scene per piccoli personaggi, impegnati in piccoli discorsi e piccole azioni, in una quadratura totale.
Moretti firma così un perfetto manifesto generazionale, scostante e venato di una tristezza viva, lontano persino dalle derive più narcisiste del suo cinema, per questo magnificamente riuscito.
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