di Sergio Leone.
con: Clint Eastwood, Lee Van Cleef, Gian Maria Volontè, Mario Brega, Klaus Kinski, Luigi Pistilli, Aldo Sambrell.
Spaghetti Western
Italia, Spagna, Germania Ovest 1965
Nessuno si aspettava il successo ottenuto da "Per un pugno di Dollari", primo fra tutti Sergio Leone, che lo ha diretto si con grande passione, ma senza aspettarsi chissà quali riconoscimenti. Ed invece quello strano, sporco e cattivo western era riuscito nell'impresa di imprimersi nell'immaginario collettivo scalzando via i luoghi comuni del western americano classico per forgiarne di nuovi e più moderni, compreso quello di una sensibilità maggiore verso una messa in scena virtuosistica, ricercata in ogni inquadratura.
Un seguito era d'obbligo, cosicchè Leone, ad appena un anno di distanza, dirige "Per qualche dollaro in più", secondo capitolo di quella che diverrà la trilogia del dollaro. Un film che il grande regista romano non ha mai apprezzato più di tanto, affermando come sia nient'altro che "robaccia per stupratori e tagliagole", ma che rappresenta la perfetta evoluzione del suo stile in ogni suo aspetto.
L'iconicità fa capolino sin dalla trama: in un west al solito arido e lurido, il cacciatore di taglie Douglas Mortimer (Lee Van Cleef), ex colonello dell'esercito, si allea con il Pistolero senza Nome (Eastwood), qui chiamato "il monco" perchè usa la destra solo per sparare, al fine di catturare El Indio (Volontè), bandido psicopatico che sembra aver già incrociato la strada di Mortimer.
Al di là della storia in sè, Leone continua il suo discorso decostruttivo e ricostruttivo del genere. I personaggi sono ancora più cattivi: El Indio è un folle dallo sguardo allucinato, pronto a tradire tutto e tutti per il proprio tornaconto personale, mentre il Monco è ad un passo dal sadismo nel modo in cui amministra il suo lavoro da bounty killer; il personaggio di Van Cleef, d'altro canto, è l'unico a serbare un pizzico di umanità, ma la sua presenza è a dir poco inquietante: sguardo di ghiaccio e spolverino nero pece (look che poi sarà ripreso per il personaggio di Sartana, perfetta icona di Van Cleef), è un'incarnazione della morte su due gambe che si muove silenzioso ed implacabile.
Ma Leone guarda a questo trio di cattivi con gli occhi di un bambino affascinato: sono loro gli eroi dell'ultimo west ed i loro gesti vengono così caricati di enfasi spettacolare, sottolineata dai dialoghi taglienti di Luciano Vincenzoni, quanto mai calzanti; su tutte, è la scena dell'incontro tra i due "buoni" a rendere tale visione: un duello sopra le righe, dove i due giocano a sparare ai relativi cappelli sotto gli occhi di un trio di bambini che, come lo spettatore al cinema, assiste ammaliato alla scena.
Inutile lodare il cast, dal laconico Eastwood ad un Gian Maria Volontè squisitamente sopra le righe, passando per un redivivo Lee Van Cleef un pò sornione. Piccolo ruolo anche per il grande Klaus Kinski, che come al solito si diverte un mondo nei panni del cattivo.
Leone trova una misura più salda nella messa in scena: le sue inquadrature sono ora più plastiche ed ancora più ricercate; continua poi a manipolare il ritmo narrativo; si parte con quello generale del film, dove il primo atto dura quasi 60 minuti, riservati ad introdurre i tre protagonisti ed il colpo alla banca di El Paso. Ma ancora più seminale è il lavoro svolto su quello delle singole scene; grazie ad un uso narrativo della musica (il suono del carillon), i duelli divengono quasi dei freeze frame, dove la dilatazione temporale ed il rimando dell'azione sono gli imperativi, costruiti grazie ad inquadrature statiche ed un montaggio calcolato sul ritmo musicale, fino a scoppiare in un lampo di piombo.
Il budget più sostanzioso si traduce in migliori valori produttivi: semplicemente spettacolari le sequenze della rapina in banca o della liberazione del compagno dell'Indio.
In generale, per i 126 minuti di durata si avverte sempre la sensazione di un film comunque piccolo ma con ambizioni da kolossal, le quali per una volta vengono ripagate in pieno.
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