venerdì 2 novembre 2018

Perfetti Sconosciuti

di Paolo Genovese.

con: Giuseppe Battiston, Valerio Mastandrea, Kasia Smutniak, Marco Giallini, Anna Foglietta, Alba Rohrwacher, Edoardo Leo.

Commedia/Drammatico

Italia 2016


















---CONTIENE SPOILER---

"Il problema dei registi italiani è che non vanno al cinema". Così esclamava, una trentina di anni fa, Lucio Fulci, tuonando contro una generazione di neocineasti che appiattiva sempre di più la scena cinematografica italiana, portandola, un po' alla volta, all'estinzione. Un'affermazione ancora oggi veritiera ed urgente, basti vedere i problemi di messa in scena che molti film nostrani hanno. Eppure, negli ultimi anni il trend sembra aver subito una leggera evoluzione: i registi italiani al cinema ci vanno e provano a fare proprie le istanze di tanto buon cinema straniero... fallendo miseramente ogni santa volta.
Esemplare è il caso di "Perfetti Sconosciuti", film campione di incassi del 2016, diretto da quel Paolo Genovese che di commedia e drammoni ne ha masticati parecchi in quindici anni di carriera; un film che vorrebbe essere tante cose: spaccato di una borghesia priva di valori, esercizio di stile drammaturgico, kammerspiel spietato su di un gruppo di personaggi ipocriti chiusi in un interno, ma che alla fine riesce solo ad essere un drammino insipido perché visto e stravisto.



I punti di riferimento per Genovese e gli altri quattro sceneggiatori sembrano essere due; in primis il francese "Cena tra Amici"del 2012, dove un gruppetto di amici si ritrova una sera a cena e non riesce a contenere la proprie verve auto ed etero distruttiva; in secondo luogo, il "Carnage" di Polanski, con l'incontro-scontro tra soggetti appartenenti a stili di vita differenti che si rivelerà un gioco al massacro.
L'escamotage per far partire la zuffa verbale è però originale, anche se talmente flebile da risultare ben presto pretestuoso: un gioco secondo cui, per un paio d'ore, tutti i messaggini e le chiamate di ciascun commensale saranno pubbliche, dove, in pratica, non ci sarà alcuna privacy.



Al di là dei rimandi espliciti, non può non tornare alla mente lo splendido "Roulette Cinese" di Fassbinder, dove il grande autore immaginava un gioco tra amici sfociare in un vero e proprio teatrino degli orrori che ne mettesse a nudo difetti ed ipocrisie. Sfortunatamente, l'unico punto in comune tra Genovese ed il compianto regista di Monaco si ferma allo spunto iniziale: tutto il dramma di "Perfetti Sconosciuti" è talmente basilare e blando da essere impossibile da prendere seriamente. Colpa di una caratterizzazione dei personaggi fatta con lo stampino, oltre che lontana anni luce da qualsivoglia verosomiglianza.
Tre coppie ed un single che dovrebbero rappresentare difetti e paure della piccola borghesia romana, ma che sembrano usciti da un cartone animato. Non si riesce a credere alla Smutniak nei panni di una psicologa bacchettona, impaurita dalla maturità della figlia, non in un mondo dove, spiace dirlo, molti psicologi sono ottimi professionisti, ma talvolta genitori sin troppo aperti alle istanze distruttive della propria prole. Non più credibile è il marito Rocco, interpretato da un Marco Giallini al solito sprecato, padre talmente amorevole da regalare i preservativi alla figlia.
Non va meglio con il personaggio di Battiston, un omosessuale che nasconde la sua natura per paura delle reazioni degli amici; unico personaggio credibile in un marasma di macchiette, ma il cui dramma non viene valorizzato a dovere, complice anche il "giochino" per cui a prendersi "la colpa" è il personaggio di Mastandrea: non c'è vera catarsi nello scontro tra i "normali" ed il "diverso", con la conseguente mancanza di un vero story-arc che sia in grado di generare una vera catarsi.



Se la paura della propria diversità e quella della crescita improvvisa di una figlia, dell'affrontare una separazione ormai prossima ed il dover fare i conti con una primogenita divenuta improvvisamente donna sono un drammi sempre attuali, benché qui condotti con la mano sinistra, del tutto sconfortante è vedere come i drammi degli altri personaggi siano tutti riassumibile nella solita "questione di corna".
Le due coppie interpretate da Edoardo Leo e Alba Rohrwacher e Valerio Mastandrea e Anna Foglietta sono quasi del tutto sovrapponibili tra loro per caratterizzazione, al punto da chiedersi perché siano quattro personaggi al posto di due. I due maschi sono due latin lover impenitenti, che cornificano le partner senza apparente motivo; non ci sono cause, né spiegazioni al tradimento, esso avviene solo perché deve avvenire: perché Cosimo si sente in dovere di andare a letto con qualsiasi donna gli capiti a tiro? E chi è l'amante di Lele, che si diverte ad inviargli foto osé?
Non c'è voglia di capire questi personaggi, né di dar loro una profondità di scrittura che non sia utile ad una sterile ricerca della scena drammatica; che si traduce, come nella miglior tradizione del cinema di Muccino ed imitatori, in grida sguaiate. E il culmine lo si raggiunge quando si decide che anche il personaggio della Foglietta deve avere una storia extraconiugale, senza motivo, giusto per aggiungere pepe. Quando poi si porta in scena la rivelazione della relazione tra Cosimo e la padrona di casa, il ridicolo comincia a farsi vivo e si comprende appieno come questa storiella che vorrebbe essere uno spaccato di vita, altro non è se non un compiaciuto circo in cui far sfilare delle caricature per il ludibrio del pubblico.
Da dimenticare è anche quel finale posticcio, in cui Genovese cita persino Nolan (!!!) ed immagina un universo alternativo (!!!!!) in cui il gioco del cellulare non è mai esistito; un modo codardo e compiaciuto di annullare il dramma, quando, semplicemente eliminando il ridicolo dettaglio della fede nuziale che gira su sé stessa, ben avrebbe potuto avere un significato più profondo, quello di una maschera con cui i personaggi decidono di coprirsi per non vedere le brutture proprie e altrui; ma forse chiedere agli autori un sistema simbolico che vada al di là dell'eclissi lunare e dei due anziani che la guardano è troppo.



Laddove la scrittura è fallata e debole, la messa in scena non aiuta. Le performance degli attori sono altalenanti: si passa da Giallini, Battiston e la Rohrwacher intensi e credibili al solito Mastandrea che non riesce a mutare la sua standard espressione blanda neanche quando arrabbiato, ad Anna Foglietta che sembra una Margherita Buy più giovane e, dulcis in fundo, ad un Edoardo Leo perennemente in stato confusionale, che sembra credere di essere ancora sul set di "Smetto quando voglio".
Paolo Genovese, dal canto suo, non vuole neanche provarci ad avere un polso fermo come quello di Polanski e lascia che tutto il film sia fatto al montaggio: tonnellate di inquadrature montate alla bene e meglio, dove è solo la fotografia a ricordarci che il prodotto in questione è cinema e non televisione.



Vien da chiedersi, allora, il perché il pubblico italiano sia accorso in massa per rifarsi gli occhi dinanzi ad uno spettacolo che, di fatto, offre ben pochi spunti di riflessione, men che meno emozioni. Forse, oramai, il problema del cinema in Italia non risiede più tanto nel fatto che i filmmaker non vadano al cinema, quanto nel fatto che il pubblico si sia disabituato al buon cinema e sia pronto ad abboccare a qualsiasi operetta simil autoriale si decida di propinargli.

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