giovedì 8 novembre 2018

Il Mio Godard

Le Redoutable

di Michel Hazanavicius

con: Louis Garrel, Stacy Martin, Béréncie Bejo, Micha Lescot, Grégory Gadebois, Guido Caprino, Félix Kysyl, Arthur Orcier.

Francia, Birmania 2017

















Un'operazione come quella de "Il Mio Godard" porta con sé un interrogativo pesante: quanto un autore può giocare con l'eredità del passato prima di romperla, di ridurla, appunto, ad un mero giocattolo con il quale divertire il suo pubblico e purgarla di ogni effettivo valore?
Michel Hazanavicius non è di certo nuovo ad operazioni del genere: il suo "The Artist", acclamato e oramai quasi dimenticato, in fondo altro non era se non un elegante giochino cinefilo nel quale i miti del muto rivivevano in uno spettacolo moderno; ma se nel suo film premio Oscar c'era una forma di venerazione verso quel modo di fare cinema, che si traduceva in un omaggio vivo e sentito il quale, a sua volta, diveniva bel cinema, quello de "Il Mio Godard" è decisamente un risultato più modesto, che appiattisce tutto ciò che narra sui binari della "dramedy" compiaciuta, con il solo intento di intrattenere il proprio pubblico.




Basato sull'autobiografia di Anne Wiazemsky, "Un Anno Cruciale", il film si apre sul set de "La Cinese": un Godard 37enne (Garrel) incontra una 19nne Anne (Stacy Martin) e se innamora perdutamente, a sua volta ricambiato; ma Anne ama Jean-Luc, non Godard; ma chi è davvero Jean-Luc e chi Godard? Chi è l'artista? Chi il rivoluzionario? Chi l'intellettuale e chi l'intellettualoide?




"Godard non esiste. Io sono un attore che interpreta Godard"; con questa frase Hazanavicius apre la danza degli specchi con cui intesserà il film; la confusione, sempre voluta, tra narrato e narrazione si fa gioco nel quale tornano tutti i topoi del cinema di Godard: i colori sgargianti, i nudi eleganti, le scritte "slogan" portatrici di significato, la divisione del narrato in capitoli e persino la passione cinefile (sullo schermo scorrono le immagini di "La Passione di Giovanna D'Arco" come in "Questa è la mia Vita"). Ma la sfilata di rimandi non si fa mai narrazione: il tutto si riduce a mera estetica, ad una calligrafica sfilata di cliché un tanto al chilo dati in pasto al pubblico per dimostrare di aver metabolizzato quel cinema. Il problema è quel "quel cinema" usava quei "cliché" come forma espressiva, ognuno dei quali aveva un peso specifico nella forma narrativa; peso qui assente, che li trasforma automaticamente in orpelli dall'inutilità compiaciuta.




Vien da ridere se si pensa a questa operazione di collezionismo feticista come ad un omaggio, quando è chiaro come Hazanavicius di quei feticci non ha capito la portata; e sotto sotto sembra quasi che voglia deriderli volontariamente, in una specie di vendetta di quel cinema finto-intellettuale tanto odiato da Godard verso quella sorta di anti-cinema intimamente rivoluzionario che con il grande artista della Nouvelle Vague trovava la sua voce più dirompente ed incontenibile.
Se il cinema di Godard viene così sbeffeggiato, ridotto ad un soprammobile un po' polveroso da guardare con un filo di malizia, la figura di Godard stesso viene totalmente distrutta.




Il Godard-uomo non esiste; il Godard-artista è perso nei meandri del Godard-intellettuale, unica figura davvero "raccontata" da Hazanavicius; il quale porta su schermo uno dei periodi cruciali della sua attività, ossia la fondazione del collettivo "Dziga Vertov" sino al suo (quasi immediato) conseguente fallimento, stretto tra il radicale "La Cinese" e poco prima dell'ancor più radicale "One plus One". Ma questo intellettuale non è che una sagoma di cartone,un personaggetto perso nelle sue stesse elucubrazione che mal cela una scarsissima confidenza in sé stesso. Non c'è traccia della sua effettiva vena politica, né dell'esteta raffinato; il Godard che appare su schermo è un semplice sessantottino compiaciuto della propria nullità (proprio lui, che nella realtà storica tanto sbeffeggiò i veri sessantottini), che si diverte a criticare tutto ed il contrario di tutto propagandando una fantomatica "rivoluzione" che non sembra neanche conoscere; non c'è nulla del sincero maoista deluso dal Maggio, né dell'intellettuale seriamente preoccupato della deriva "borghese" di tanto cinema europeo. Tutte le paure del vero Godard vengono ridotte a mere nevrosi, usate poi per metterlo alla berlina, facendolo somigliare, in modo al quanto sinistro, alla maschera tipo di Woody Allen piuttosto che ad un uomo di cultura alla deriva; ed è qui che il gioco di specchi e rimandi mostra il fianco alla critica più ovvia: quello su schermo non è Jean-Luc Godard, né una sua interpretazione, quanto una parodia, leziosa e faziosa, che con la realtà storica dell'uomo e dei fatti che lo hanno visto protagonista non ha nulla a che fare.




Lo stesso uso dei "cliché" godardiani, di conseguenza, colora il giochino cinefilo in modo simile ad un insulto mal celato; di sicuro, i titolisti italiani questa volta ci hanno azzeccato: questo non è che il Godard di Hazanavicius, che con quello vero ha solo una vaga somiglianza estetica (anzi, da questo punto di vista viene persino da ridere quando ci si accorge che la Martin, con un caschetto bruno alla Anna Karina, non assomiglia neanche per sbaglio alla Wiazemsky); questo, in sostanza, non è un omaggio, ma una parodia compiaciuta.
E quando Hazanavicius decide di andare oltre, di ritrarre anche Marco Ferreri e Bernardo Bertolucci come delle caricature, il suo intento si fa chiaro: creare una pura commedia che prenda in giro il cinema d'autore francese e, in generale, europeo degli anni '60.
Cosa ci sia da prendere in giro, data la caratura dei nomi coinvolti, non è dato saperlo; men che meno il perché bisognerebbe ridere di quel cinema, che, rivisto oggi, talvolta acquista persino un valore maggiore di quanto ne avesse all'epoca.
Una cosa è però certa: di quello straordinario periodo, Hazanavicius dimostra di aver capito poco e nulla. Forse anche per questo, il vero Godard ha definito il suo film come "stupido", dimostrando, ad 87 anni suonati, di avere ancora una visione chiara dello stato dell'Arte.

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