venerdì 23 novembre 2018

Aprile

di Nanni Moretti.

con: Nanni Moretti, Silvio Orlando, Renato De Maria, Daniele Luchetti, Silvia Nono, Pietro Moretti, Silvia Bonucci.

Italia 1998



















"La sera 28 Marzo del 1994, quando vinse la destra, per la prima volta in vita mia mi feci una canna". Forse il senso ultimo di "Aprile" è tutto in questa frase di (quasi) apertura e nel relativo contesto; è la sera della vittoria, trionfale e schiacciante, del Cav alle elezioni del '94, il paese si avvia a vivere lo sfacelo della Seconda Repubblica; Moretti, preso atto dell'ennesima debacle della tanto amata/odiata sinistra, decide di distrarsi, di stordirsi, di allontanarsi dalla realtà per cercare conforto in una dimensione interiore, che si fa subito privata.
"Aprile" è sicuramente un film politico, in tutti i sensi, ma è al contempo e sopratutto un film privato, non solo perché porta in scena una porzione della vita privata del suo autore, quanto se non più il precedente "Caro Diario" (sua ideale "prima parte"), ma sopratutto perché mai come ora è Moretti ad essere il centro di tutto, il suo pensiero, la sua megalomania, il narcisismo spinto e, su tutto, la sua intima ed irrefrenabile voglia di fregarsene di tutto e di tutti.



Perché di menefreghismo pur sempre si tratta. Mentre il governo di destra crolla, la "cosa" è sempre più arroccata in posizioni fallimentari e l'Italia intera è in preda ad una trasformazione che la sfigurerà permanentemente, Moretti si astrae, per quattro anni si ritira a vita privata, cercando ossessivamente di creare un qualcosa che non ha forma, in una crisi creativa che ha quasi le forme di quella di "8 e 1/2" e che si sostanzia in un documentario mai portato a termine sulla situazione politica.
Crisi dettata dal rifiuto di voler accettare la realtà che lo circonda, quei cambiamenti roboanti che hanno le forme della campagna elettorale-farsa della Lega, con la dichiarazione d'indipendenza della "padania" filmata con un distacco quasi ironico. A Moretti, la crisi del sistema-paese non interessa più di tanto: al bando quindi i ritagli di giornale così avidamente conservati, al diavolo le dichiarazioni di Berlusconi ed i silenzi imbarazzanti di D'Alema e finanche a quel paese il cinema americano brutto e vuoto (che poi si tratti di film come "Heat" e "Strange Days" poco importa) c'è spazio solo per una parantesi umanitaria per quei migranti che già all'epoca solcavano i mari della speranza; ecco dunque che il buon Nanni si ritira in una dimensione piccola, per affrontare un tema universale, quello della paternità.



Ed è nell'approccio allo status di padre che Moretti ritrova l'unica forma narrativa ancora per lui possibile, quella del reale, dell'esperienza vissuta in privato e rivissuta per la macchina da presa, unica esperienza che vale la pena raccontare, almeno dal suo punto di vista; ed è qui che "Aprile" mostra la sua vera forza, quella di un ritratto gioviale di un momento di passaggio essenziale nella vita di un uomo, con le nevrosi più comuni che rivivono negli "sketch" più riusciti.
La paternità diviene quindi unico punto di interesse in una vita afflitta dal senso di responsabilità; la responsabilità di un autore assillato costantemente dal suo pubblico, amicale ed intellettuale che sia, per la produzione di un nuovo film, che magari testimoni le contraddizioni italiane oramai deflagranti. Ai quali, Moretti risponde come Aldo Palazzeschi con un compiaciuto "E lasciatemi divertire!", preferendo il caffellatte alla politica.



Un atteggiamento, il suo, fieramente qualunquista, un menefreghismo ad oltranza divertito e divertente, riuscito per un solo, unico e tragicomico motivo: è figlio della delusione più pura. D'altro canto, non è stato proprio Moretti, negli anni '80, il cantore più disperato della fine dei valori della sinistra? E non sono forse davvero sue quelle lettere mai spedite nelle quali rimproverava la miopia di una classe politica più interessata ai proclami che alla sostanza?
Moretti, in fondo, può qui ancora permettersi di essere un cantore degli umori del populino; e a sua discolpa va almeno detto che questa volta usa toni più leggeri rispetto a "Caro Diario". La sua sfrenata voglia di nulla, l'irrefrenabile "ballo" del pasticcere trozkista, in fondo, ha un motivo di esistere in quegli anni '90, visto che il peggio lo si sarebbe toccato solo nel decennio successivo, durante il quale dirigerà un film come "Il Caimano" dove, invece, a sostenere il peso della svogliatezza non è più la delusione, quanto la codardia.




La differenza, in fondo, è tutta qui: in "Aprile" il buon Nanni dà forma alla disillusione con il privato e lo fa sicuramente in modo egocentrico ed egoista, ma anche sincero; ne "Il Caimano" a sorreggere il giochino è, forse, la sola codardia. E se entrambi i film possono essere tacciati come delle "sciocchezzuole d'artista", sterili e alla fin fine inutili nella loro pochezza, perlomeno "Aprile" riesce a dare una forma digeribile a questo poco, configurandosi come un'opera genialmente ipocrita.

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