con: Michael B. Jordan, Sylvester Stallone, Dolph Lundgren, Florian Munteneu, Tessa Thompson, Phylicia Rashad, Milo Ventimiglia, Brigitte Nielsen.
Drammatico
Usa 2018
Il successo, in verità a sorpresa, del primo "Creed" ha dimostrato come il pubblico (americano e non) abbia ancora voglia di storie degne di questo nome. Benché imperfetto e derivativo, quel film tutto sommato piccolo, venuto alla luce grazie alla passione di un autore all'epoca sconosciuto, riusciva davvero a raccontare una storia con al centro due personaggi (Adonis e Rocky) vivi e verosimili, in un racconto volutamente modesto e intimo, lontano anni luce sia dalla spettacolarizzazione propria di molti degli "episodi" della saga di Rocky, sia di tanto cinema mainstream americano, dove storia e personaggi vengono schiacciati sempre più dall'abuso di effetti speciali e umorismo spicciolo. La calorosa accoglienza riservata al figlio di Apollo Creed nella sua prima avventura su grande schermo era quindi segnale di come quel cinema solitamente riservato al mero circuito indie potesse in realtà essere tranquillamente fruito anche dal pubblico generalista.
Un seguito, al solito, era d'obbligo. Ma "Creed II" non è semplicemente la continuazione di un successo, quanto una sua ideale evoluzione, che espande le tematiche del primo film toccando nuovi territori e, con essi, anche nuove corde emotive.
Differenza con le solite continuazioni made in Hollywood dovuta anche alla sua genesi produttiva: a Ryan Coogler non interessava più di tanto rimettere mano al personaggio di Adonis o a quello di Rocky; viceversa, è stato Sylvester Stallone a volerne continuare le gesta: il suo coinvolgimento nel primo film gli ha permesso di innamorarsi di questo nuovo personaggio, oltre che a riprendere fede in quello di Rocky; da qui la voglia di espanderne caratterizzazioni e storia riallacciandosi direttamente a quel "Rocky IV" che era punto nodale per la caratterizzazione di entrambi; era in quella pellicola che Apollo trovava la sua fine per mano dell'energumeno Ivan Drago, forgiando indirettamente in carattere di Adonis e il suo conflittuale rapporto con la figura paterna. Da qui l'idea di uno scontro generazionale tra i discendenti di quei due personaggi, con il figlio di Apollo faccia a faccia con quello di Drago. Idea bislacca e ridicola per fortuna solo su carta.
Adonis e Viktor Drago sono due figli chiamati a confrontarsi con un'eredità ingombrante, ossia la sconfitta dei padri. Adonis è l'orfano, reso tale per mano di Ivan, che lo ha privato di quella figura paterna che, da assente, si fa adesso ingombrante, con le sue effigi che compaiono in scena come a schiacciarlo sotto il peso del rimorso. Viktor è nato nella rabbia e nel dolore, scaturiti dalla sconfitta del padre per mano di Rocky prima, dall'abbandono della madre dopo; un ragazzo nel corpo di un mostro, il cui fisico imponente cela le ferite interne, quelle di un figlio che è puro strumento nelle mani di un padre in cerca di un riscatto velenoso. Lo scontro tra i due è quindi quello di due figure genitoriali opprimenti, in un modo o nell'altro.
Ma Adonis è anche il ragazzo che si fa uomo, chiamato a confrontarsi con la paternità, a divenire, cioè, quella figura paterna che a lui è sempre mancata. Ed è proprio questo status che gli dà, in ultimo, la forza di vincere la sfida del suo rivale: dalla rabbia pura e semplice, dallo spirito di rivalsa più bieco, Adonis viene distrutto, letteralmente fatto a pezzi, solo per poi rinascere come uomo fatto e finito una volta trovata una vera ragione per la vittoria.
Laddove l'amore verso la caratterizzazione dei personaggi è avvertibile, lo script di Stallone mostra il fianco quando si tratta di creare uno story-arc originale; il cammino di Adonis, di Rocky e di Viktor, inutile dirlo, è intuibile sin dal primo minuto, ricalcando, né più, né meno quello di "Rocky IV", nella più classica delle riproposizioni di una formula fin troppo collaudata.
Fortunatamente, ad arginare in parte il senso di deja-vù ci pensa la regia del semi-esordiente Steven Caple Jr., che adotta uno stile a dir poco peculiare, alternando atmosfere oniriche (il doppio incipit) ad una ricerca spasmodica del realismo negli incontri; per la prima volta nella saga, vediamo così il pugile dal cuore d'oro di turno sputare sangue, accasciarsi a terra in preda al dolore, piangere ed emozionarsi, in quella che è la definitiva distruzione dello stereotipo supereroistico spesso associato alla figura di Rocky Balboa e dei suoi epigoni.
E' quindi facile appassionarsi a questa seconda avventura del pupillo dello Stallone Italiano, nonostante la forte prevedibilità del tutto, in un racconto sicuramente semplice, ma anche incredibilmente umano.
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