Alita: Battle Angel
di Robert Rodriguez & James Cameron.
con: Rosa Salazar, Christoph Waltz, Mahershala Alì, Eiza Gonzalez, Jennifer Connelly, Jackie Earl Haley Ed Skrein, Casper Van Dien, Jeff Fahey, Derek Mears.
Fantascienza/Cyberpunk/Azione
Usa, Canada, Argentina 2019
Il rapporto tra l'industria cinematografica americana ed il mondo dei manga è a dir poco conflittuale. Sebbene non sia riuscito a generare un vero e proprio filone come quello dei comic-movie, esso è lo stesso la testimonianza di come ci sia un forte interesse a tradurre in pellicole anche quelle pubblicazioni nipponiche che, da almeno tre decenni a questa parte, hanno invaso le fumetterie statunitensi, arrivando nell'ultimo anno persino a surclassare le vendite dei fumetti di supereroi. Processo i cui esiti sono stati a dir poco altalenanti: se nei primi anni novanta il massimo a cui si poteva aspirare erano dei semplici b-movie come le due pellicole dedicate da Brian Yuzna al "Guyver" di Yoshiki Takaya, che si distanziavano enormemente dalla matrice cartacea anche nei contenuti, negli anni '00 un budget più elevato è stato riservato per il fallimentare adattamento del "Dragon Ball" di Toryama, il quale, oltre ad essersi rivelato come un cocente flop, si è anche imposto come una delle pellicole più brutte degli ultimi anni.
Decisamente migliore è stata l'opera di "americanizzazione" del "Ghost in the Shell" di Oshii diretta da Rupert Sanders: con un forte budget a disposizione e la presenza di vere star internazionali nel cast, quel film, pur malriuscito e ignorato dal pubblico di massa, dimostrava come fosse comunque possibile creare un blockbuster con tutti i crismi riprendendo un'opera generata e portata al successo da una cultura lontana anni luce da quella americana.
La curiosità per l' "Alita" dell'inedito duo James Cameron/Robert Rodriguez era quindi alta: con 200 milioni di dollari di budget, due delle menti creative di maggior successo di Hollywood a dirigere l'operazione, un cast di prim'ordine ed un soggetto tratto da uno dei manga più amati degli ultimi 30 anni, gli elementi per creare una pellicola spettacolare, ma al contempo dotata di una storia interessante c'erano davvero tutti.
"Battle Angel Alita" appare per la prima volta su Businness Jump nel lontano 1990 ed è l'opera più lunga di Yukito Kishino, mangaka poco prolifico che deve il successo proprio alla piccola guerriera cyborg; personaggio che inizialmente ha persino un nome diverso: il titolo originale dell'opera è infatti "Gunm", acronimo di "Gun's Dream", mentre la sua giovane protagonista viene chiamata "Gully"; ma quando Viz Magazine decide di portare il manga in Usa, opta per una ridenominazione, dovuta al suono fin troppo "gutturale" del titolo: testata e personaggio vengono ribattezzati "Alita" (citazione del pilastro della fantascienza "Aelita" di Yakov Protazanov), con il beneplacito, caso più unico che raro, dello stesso Kishiro, il quale deciderà di usare il titolo americano quando si tratterà di distribuire la sua opera nel resto del mondo. Ed è in questa sua veste, riveduta e corretta, che la sua piccola cyborg riuscirà a far breccia nei cuori non solo dei lettori di manga, ma, in generale, dei patiti di fantascienza di tutto il mondo.
Il racconto intessuto da Kishiro, infatti, è quello proprio dei seinnen (manga per adulti), piuttosto che degli shonen (manga per ragazzi), solitamente afflitti da una rigida struttura narrativa basata sugli "scontri" del protagonista con l'antagonista di turno. In "Alita", benchè le sequenze action non manchino praticamente mai, il centro focale è però dato dalla caratterizzazione dei personaggi e dal cammino formativo della protagonista, in quello che è una sorta di remake cyberpunk della favola di Pinocchio.
Il setting è un'ideale fusione tra il mondo iper-tecnologico di "Ghost in the Shell" e quello post-apocalittico di un possibile epigono di "Mad Max". Luogo centrale è la "Città-Discarica", enorme baraccopoli che sorge sotto l'avvenieristica Salem, inespugnabile città-eden che si libra nel cielo, ospitando (in teoria) i ricchi e potenti. Tra i rifiuti della Città-Discarica, lo scienziato e cacciatore di taglie Ido rinviene i resti di un cyborg dall'aspetto femminile, il cui corpo è distrutto ma il cui cervello e volto sono ancora integri. Ido decide così di ricostruire la creatura a cui darà il nome di Alita, in onore alla sua defunta gatta; ma una volta risvegliatasi, la giovane si renderà conto di soffrire di una grave amnesia, non ricordando nulla del suo passato, ma, al contempo, padroneggiando perfettamente una potente arte marziale per cyborg, il "panzer kunst"; suo unico collegamento con il passato è dato da degli strani flashback che le riaffiorano alla mente ogni volta che combatte. Alita decide così di unirsi al suo novello padre come cacciatrice di taglie nella Città-Discarica, ma le sue azioni presto la porteranno a confrontarsi con un mondo privo di morale e ad interrogarsi sulla sua vera natura.
Da una parte c'è la tematica identitaria: Alita, ragazza senza passato, scopre la sua personalità con il confronto, talvolta violento, con i personaggi della Città-Discarica; personaggi privi di morale, di valori fondamentali e talvolta persino di idee, veri e propri mostri dal corpo cibernetico ma dal volto fin troppo umano, pronti a tutto pur di sopravvivere in un ambiente ostile. L'identità viene così ricostruita grazie alla certezza del corpo: la forza di Alita, ereditata grazie al suo misterioso passato, è l'unico punto fermo sul quale può basare il proprio io.
Dall'altro lato c'è la descrizione di un mondo allo sfacelo, una società in cui l'incredibile progresso tecnologico ha generato solo mostruosità, prima fra tutte la perdita di quell'umanità intesa come senso di appartenenza ad un valore comune, riportando il mondo ad uno "stato di natura" dove è solo il più forte a vincere. Da qui la duplice anima del manga, visionario come pochi e pregno al contempo di un'azione sfrenata, che talvolta culmina in sequenze splatter vere e proprie.
Ed è proprio questa sua duplice natura, quella di racconto introspettivo e melodrammatico inframezzato da combattimenti al fulmicotone, ma sempre attento a non dare troppo spazio all'azione piuttosto che alla narrazione, che ha permesso ad "Alita" di divenire un cult in tutto il mondo; status garantito anche dalla celebre trasposizione anime datata 1993.
Realizzata da Animate e Madhouse, "Hyper Future Vision Gunm"è una serie OAV di sole due puntate, interrotta a causa dello scarso successo ottenuto in patria, che adatta in modo piuttosto libero i primi due volumi del manga, introducendo due personaggi nuovi, come la scienziata Cherin, ex di Ido, e l'enorme cyborg Grewishka.
Nonostante lo scarso riscontro ottenuto in Giappone, questa riduzione trovò ottima fortuna in Occidente: sia in America che in Italia, il neonato mercato del home-video dedicato agli anime garantiva una domanda sempre alta di storie mature e cupe; "Alita", in tal senso, era il prodotto perfetto, tanto da divenire un cult. Ed è proprio questa sua incarnazione a fare da base del film.
Il progetto di un adattamento hollywoodiano non nasce però con il mero intento di lucrare su di un marchio. E' infatti James Cameron in prima persona a voler trasporre su grande schermo la storia della cyborg guerriera di Kishiro, già a metà degli anni '90: fallito il progetto "Spider-Man" e prima di imbarcarsi sul "Titanic", Cameron crea un adattamento di circa 200 pagine nel quale fa confluire i due OAV e i primi tre volumi del manga, ossia le origini del personaggio e la sua esperienza nel circuito del Motor Ball, sorta di "Rollerball" per cyborg che costituisce una saga a sé all'interno del racconto. Ma pur con il beneplacito dei fan e l'appoggio delle major, Cameron si rende conto che la tecnologia dell'epoca non è adatta a trasporre le spettacolari immagini di Kishiro in modo credibile su pellicola. Decide così di mettere in stand-by il progetto fino a quando non ci saranno i presupposti necessari per produrlo. Il che, ironicamente, non avverrà mai: preso dapprima dal successo di "Titanic", poi da quello di "Avatar" e intenzionato a lavorare unicamente ai seguiti di quest'ultimo, Cameron "dimentica" il sui progetto di adattamento, finché non è lo stesso Robert Rodriguez a stimolarlo affinché ci si dedichi. Il che porta i due cineasti ad una collaborazione insperata.
Pur tuttavia, il cinema di Rodriguez e quello di Cameron hanno più cose in comune di quanto si possa credere, prima fra tutte la fascinazione verso l'uso degli effetti speciali per creare mondi inimmaginabili: la città di "Sin City", in fondo, è figlia della medesima vena visionaria che ha portato alla creazione delle montagne erranti di Pandora. Una comune fascinazione verso l'inusuale che trova nelle pagine di "Alita" un terreno comune: anche Rodriguez è sempre rimasto affascinato da quel racconto crudele eppure incredibilmente umano, feroce ma anche delicato, ipercinetico e al contempo introspettivo.
Ma questa trasposizione arriva forse troppo tardi su schermo. Due decadi sul groppone sono davvero troppe e lo script di Cameron, che all'epoca poteva forse davvero essere considerato come innovativo, di fatto sa di già visto. Tutte le tematiche del manga vengono bene o male riproposte nelle due ore di durata: c'è la crisi identitaria risolta con la certezza del corpo, l'incubo cyberpunk con i cyborg che hanno inghiottito l'umanità, la manipolazione sociale data dalla città celeste che schiaccia la discarica (ribattezzata "Città di Ferro"), così come la fascinazione per un futuro post-apocalittico. Persino il lavoro svolto sui personaggi originali è encomiabile: Alita è ora una vera e propria figlia surrogata di Ido e Cherin, che ne veste letteralmente il corpo, tanto che i personaggi emanano davvero quell'aura di calore necessaria per rendere la trama coinvolgente.
Eppure, nulla salta davvero all'attenzione, ogni colpo di scena ed ogni risvolto della storia, persino quelli più drammatici, non riescono davvero a catturare l'attenzione dello spettatore. Se, in teoria, il mix di fantascienza introspettiva e azione ipercinetica avrebbe dovuto trovare nel mezzo filmico un medium più efficace, nella pratica la storia e i personaggi divengono poco interessanti, quasi piatti per chi non ha letto il manga. Colpa non solo dell'effetto deja-vù, ma anche della natura "episodica" di questo film, in teoria il primo di una serie, dotato persino di un finale aperto verso una continuazione che, purtroppo, forse non vedrà mai la luce.
Il tocco di Rodriguez, dal canto suo, risulta per ovvi motivi più trattenuto: l'ironia folle è assente, facendo un timido capolino giusto in qualche linea dialogica; ed è, d'altro canto, giusto così, in una storia dove la componente drammatica è bene o male sempre alta. La regia da però il meglio di sé nelle sequenze d'azione, dove il gusto per la coreografia è sempre ottimo, con inquadrature e montaggio sempre precisi, mai caotici.
Mentre un plauso va davvero fatto agli artisti della CGI, impegnati nella non facile impresa di rendere credibile un intero mondo totalmente ricreato in digitale per poter essere fotorealistico. Se gli scorci della città trovano una loro piena identità in uno stile architettonico che si discosta dalla controparte cartacea, presentando edifici della tradizione coloniale ispano-americana distrutti dal tempo, piuttosto che la canonica baraccopoli solitamente associata ad un universo post-apocalittico, è l'arte della computer graphic che permette ad essi di unirsi in modo perfetto con immagini virtuali, in cui la cura per il dettaglio è sbalorditiva.
Altrettanto credibile è il lavoro fatto sul volto della protagonista. Curiosa resta la trovata, totalmente attribuibile a Rodriguez, di ridisegnare i lineamenti di Rosa Salazar per renderli identici al tratto di Kishiro: con quegli occhi enormi e l'ovale del viso perfetto, Alita sembra a tratti un alieno piuttosto che un cyborg umanoide. Eppure, l'opera di rendering delle texture della pelle, così come la ricostruzione delle espressioni in mo-cap è tale da rendere sempre credibile questo strano "cartone animato vivente", la cui natura fittizia è riconoscibile solo a causa di animazioni talvolta poco naturali, in un risultato non perfetto eppure incredibilmente reale.
"Alita- Angelo della Battaglia" resta così un film ben congegnato e diretto, ma vagamente insipido; un ottimo adattamento del manga, preciso nella messa in scena così come nell'opera di sintesi della storia originale, eppure a tratti inerte. Se fosse davvero apparso nei cinema come da programma, con una quindicina d'anni d'anticipo, sarebbe probabilmente stato accolto anche meglio di "Avatar", grazie ad una storia degna di questo nome che non riduce il tutto ad una mera parata di effetti speciali; ma purtroppo così non è stato e, a causa dello scarso interesse verso le masse per questa bizzarra ma calorosa avventura cyberpunk, è purtroppo possibile che le avventure della cyber-eroina di Kishiro su Grande Schermo si concludano qui. Ed è un peccato, sopratutto se si tiene conto di come Cameron e Rodriguez siano riusciti a dimostrare che sia possibile creare un ottimo blockbuster partendo da un manga.
EXTRA
Una ragazza dal volto angelico, ma dotata di una forza fuori dal comune, lotta per scoprire la propria identità in un mondo ostile, figlio della catastrofe umana. A ben pensarci, James Cameron aveva già creato una versione live-action di "Alita":
Prodotta e trasmessa da Fox dal 2000 al 2002, "Dark Angel" è un piccolo gioiello di cyberpunk televisivo che deve davvero tanto al manga di Kishiro, dove persino il look della giovane Jessica Alba sembra riprendere quello di Alita.
Un buon film d'azione, nonostante la banalizzazione di molti passaggi (il Nova già supercattivo che tutto decide smorza un po' la naturale crescita della protagonista e la scena finale con Yugo) e qualche dialogo stonato, che non sono mai stati il punto forte del Camerone sceneggiatore, ad appiattire le interazioni.
RispondiElimina27 in USA e 120 worldwide, il trend estero sembra scongiurare il flop e la Cina potrebbe fare la sua parte anche se arrivare all'utile è alquanto arduo.
Una sempre affamata di idee Hollywood tuttavia non smetterà certo dopo un paio di tentativi di provarci ad attingere dai manga, così come imperterrita continua a farsi attrarre da (deboli) soggetti videoludici con evidenti disastri che ci accompagnano dal Super Mario del 1993. Akira (fra i 3 grandi manga del cyborpunk rimane lui) aleggia sempre nelle menti degli americani e ogni anno che viene accantonato è una benedizione data la abnorme difficoltà di una sua trasposizione.. sì meglio che si dedichino ad un teendrama come Your Name.
L' Akira americano è un incubo che viene minacciato a più riprese, spero che la tiepida accoglienza riservata ad Alita dissuada gli studios dal farlo.
EliminaQuanto a "Your Name": sono davvero curioso, Marc Webb sembra una scelta azzeccata come regista. Speriamo non appiattisca la storia.