martedì 28 dicembre 2021

Don't Look Up

di Adam McKay.

con: Leonardo DiCaprio, Jennifer Lawrence, Rob Morgan, Meryl Streep, Jonah Hill, Cate Blanchett, Melanie Lynskey, Kid Cudi, Tyler Perry, Mark Rylance, Timothée Chalamet, Ron Perlman, Ariana Grande, Michael Chiklis, Himesh Patel.

Usa 2021












Qual'è l'aspetto peggiore della pandemia? Sarebbe facile puntare il dito sui morti, ma, per quanto cinico sia da dire, la morte è l'aspetto più scontato. No, se c'è una cosa davvero mostruosa che la pandemia ha evidenziato è la frammentazione ideologica e sociale del XXI secolo. Non c'è coesione sociale, nazionale o anche solo familiare che tenga, ognuno pensa, in un modo o nell'altro, a sé stesso, prigioniero di una serie di idee che spesso sono bacate, puri pregiudizi supportati dal nulla.
Adam McKay, con "Don't Look Up" fa il punto della situazione con una metafora che in realtà metafora non è, urlando il suo punto di vista e esacerbando come al suo solito i toni; ma, è il caso di dirlo, riesce perfettamente nel ritrarre una società allo sbando.


Sostituiamo il Covid con una cometa in rotta di collisione con la Terra, il risultato non cambia. Gli scienziati, interpretati da DiCaprio e dalla Lawrence, cercano di avvertire prima le autorità, poi il pubblico, con risultati inconsistenti.
McKay punta il dito praticamente contro tutti. Dapprima la classe politica, incarnata da quel Presidente con il volto di Meryl Streep, un po' Trump, un po' la Clinton, preoccupata solo delle elezioni e di come il suo look influenzi i voti. Poi contro la classe dirigente, quei supermiliardari reminiscenti di Steve Jobs la cui eccentricità non è sinonimo di genio, ma di pura rapacità. I mass media, pronti a trasformare in pura narrativa un evento reale. Ed ovviamente noi, il popolo, inteso come persone, preoccupati solo di scrivere fesserie su Internet, incapaci di somatizzare una notizia senza andare nel panico e pronti a negare l'evidenza per il gusto di farlo.


I social media, ma anche i mass media in genere, in questo caos hanno la responsabilità maggiore. La televisione travisa le notizie per renderle innocue, facilmente digeribili da un pubblico oramai anestetizzato a tutto; mentre i social si fermano alla superficie delle cose, al modo in cui le persone vestono piuttosto a ciò che dicono, alla loro avvenenza piuttosto che al pericolo contro cui ci avvertono. Noi, in quanto utenti e persone, non siamo maturi, non siamo capaci neanche di quello spirito di autoconservazione proprio di ogni specie vivente, sostituito dalla curiosità verso le fesserie, verso le vita amorosa di Ariana Grande e Kid Cudi, doppi di tutte le pop star deficienti e ignoranti perfetti idoli di persone vuote.


Il dito è ovviamente puntato specialmente contro i negazionisti, i no-vax e tutti quei gruppi di persone che, spesso dall'alto di una conoscenza quasi nulla dell'argomento, si permettono di criticare chi ne sa più di loro sulla base del nulla, di concetti trovati per caso su Google e sui forum di complottisti e privi di ogni fondamento scientifico o talvolta anche solo logico, che arrivano a negare l'esistenza della catastrofe solo per darsi un tono.
Da qui la divisione, il caos cavalcato dalla classe dirigente per i propri scopi, l'ignoranza usata come arma per affermare il proprio status-quo, con il trionfo di chi ha già il potere e la sconfitta dell'umanità tutta.


In mezzo al marasma, i due scienziati sono gli unici a salvarsi, anche se in modo relativo. Certo, anche loro hanno i propri difetti e idiosincrasie, ma sono, alla fine della fiera, gli unici ad avere ragione. E McKay, per una volta, depone il cinismo per un finale più sentito, dove ritrova un vero sentimento di empatia verso questi due profeti della sventura e il loro destino avverso, facendo filtrare quella simpatia che molto spesso alla satira manca e lasciando il freddo in parte fuori dalla porta.


Il punto di riferimento sembra in questo caso l' "Idiocracy" di Mike Judge, oramai divenuto un cult, spiace dirlo, per la sua attualità. Ma lo stile di McKay è più asciutto, conduce la catastrofe come un vero dramma e la immerge in un contesto dato da personaggi che potrebbero essere tranquillamente definiti caricaturali se non fossero maschere realistiche di controparti drammaticamente reali.
La satira, di conseguenza, funziona a dovere e la narrazione non è mai davvero fredda. "Dont' Look Up" finisce così per essere un perfetto specchio del nostro tempo. Verrebbe quasi da dire "deformato", se non fosse che l'esagerazione grottesca e quantomai credibile. Purtroppo.

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