sabato 4 gennaio 2025

Nosferatu

di Robert Eggers.

con: Bill Skarsgaard, Lily Rose-Depp, Nicholas Hoult, Willem Dafoe, Aaron Taylor-Johnson, Emma Corrin, Ralph Ineson, Simon McBurney.

Horror

Usa, Regno Unito, Ungheria 2024















---CONTIENE SPOILER---

Confrontarsi con il lascito del passato non è mai cosa semplice. Confrontarsi con una delle vere e proprie opere fondative della Settima Arte quale il Nosferatu di Murnau, inutile dirlo, lo è anche di meno. In passato, l'unico che abbia osato farlo è stato Werner Herzog con il suo Nosferatu- Il Principe della Notte, memorabile remake-omaggio che riusciva con efficacia ad aggiornare il mito del conte Orlok ad una sensibilità moderna.
Centodue anni dopo l'originale e quarantacinque dopo l'exploit di Herzog tocca a Robert Eggers, un cineasta che di certo ha saputo assimilare fin nel profondo l'influenza del passato. Il suo stile, dopotutto, non è semplice postmodernismo, quanto una sorta di rievocazione delle basi più intime del cinema dell'orrore delle origini in chiave comunque moderna o, quantomeno, moderna quel tanto che basta da renderle appetibile ad un pubblico moderno.
Il confronto diretto con Murnau era quindi (quasi) d'obbligo e il buon Eggers decide di farlo a modo suo, ossia rendendo omaggio al mito tramite la sua più totale assimilazione, per ricrearlo a nuova forma e nuovo significato, pur restando fedelmente ancorato al suo spirito, sia quello filmico che quello letterario. Operazione azzardata, ma alla fin fine decisamente riuscita.



A sua detta, il motto dietro questo nuovo Nosferatu era semplicemente quello di rendere i vampiri nuovamente spaventosi. Il suo Orlok è così un nobiluomo enorme e putrescente, un essere che non ha la grazia del vampiro moderno, né la bellezza esangue e a-sessualizzata di quello post-Twlight; Orlok è un mostro fatto e finito, un rigurgito dell'Inferno la cui fisicità è spaventosa e ripugnante, per quanto altamente sessualizzata. Il che è totalmente coerente con la lettura che Eggers dà del Dracula di Stoker.
Nella sua visone, la storia di Dracula/Orlok, del suo amore per Mina Harker/Ellen Hutter e la lotta di Van Helsing/von Franz, diventano un paradigma della paura; una paura primordiale, non solo la canonica paura dell'ignoto, con una creatura mitologica che invade un mondo moderno pronto a lasciarsi alle spalle le suggestioni sovrannaturali, quanto soprattutto la paura della morte, intesa come fine ineluttabile e rivoltante di ogni bene; l'ambientazione dei primi anni del XIX secolo è così essenziale, con la scienza ancora vicina alle barbarie para-medioevali e la malattia vista come prima avvisaglia della dipartita.
Il vampiro, morto resuscitato latore di pestilenza, è così una morte inarrestabile pronta a fagocitare la vita senza motivo alcuno. Ma è anche la metafora del suo esatto opposto, ossia della pulsione sessuale, in un connubio totale di Eros e Thanatos.



Se già nella tradizione narrativa tutta il vampiro è sempre stato associato ad una sessualità vorace e incontrollabile, Eggers ne riporta la figura a quel mito che la ispirò, ossia il demone succubus/incubus, il demone della sessualità notturna, del sogno erotico, che si insinua nei letti per assorbire le energie erotiche delle vittime. 
Qui Orlok è così anche la forza sessuale, come rappresentato nel suo rapporto con Ellen. Questi altri non è che una donna la cui sessualità necessita una valvola di sfogo in un mondo che vede l'afflato sessuale ancora come qualcosa di osceno, una pulsione da reprimere perché peccaminosa e indecorosa per una donna il cui ruolo è ancora fortemente legato alla semplice e pura riproduzione; il vampiro è il desiderio sessuale che necessita appagamento, il quale si manifesta in giovane età e sparisce dopo l'unione coniugale, solo per poi tornare a manifestarsi in assenza del partner. Ha una forma mostruosa e pestilenziale proprio perché si palesa in un mondo che vede la sessualità come una passione demoniaca, come l'ingerenza di una forza diabolica del tutto contraria ai buoni costumi: per una donna del XIX secolo, il desiderio sessuale poteva solo essere fonte di vergogna e sinonimo di follia (isterismo), oltre che foriero di malattia; e la follia, il male che consuma l'uomo da dentro, come in tutti i film di Eggers (eccezion fatta praticamente per il solo The Northman) discende dal mancato appagamento sessuale e può essere distrutto solo quando tale appagamento viene totalmente raggiunto. E' anche per questo che il conte appare come una figura torreggiante, ma foriera di malattia, una infezione venerea pronta tanto a soddisfare le voglie quanto a massacrare il corpo.



Nel rapporto con Jonathan Harker/Thomas Hutter, Orlok assume invece le forme di una subordinazione materiale piuttosto che sessuale (benché la lettura sull'omosessualità non sarebbe poi tanto forzata). Orlok è il nobile, il ricco, il vertice della società capitalistica moderna perché latore di una ricchezza atavica, innata, la quale gli consente di sottomettere chiunque: obbliga Hutter a usare un titolo nobiliare per rivolgersi a lui e lo soggioga tramite un contratto, strumento tanto luciferino quanto terreno. La lotta di Hutter è quindi una battaglia per affermare la sua individualità anche solo sensuale contro il materialismo disumanizzante della modernità, la distruzione di quell'ideale del profitto ad ogni costo che lo ha portato ad allontanarsi dal talamo nuziale, a venir meno ai suoi obblighi romantici, ingenerando l'orrore.
Allo stesso modo, la vicenda assume connotati diversi se filtrata attraverso lo sguardo dell'armatore Harding e del medico Sievers: incarnano entrambi lo spirito del razionalismo post-illuminista, ma per il primo il dramma di Ellen è una semplice discesa nella pazzia poiché non è in grado di concepire una realtà ulteriore alla propria (fosse anche semplicemente quella della sessualità femminile), mentre per il secondo rappresenta la scoperta di un mondo occulto che va al di là del puro raziocinio, che si scontra con le basi della conoscenza scientifica e che lo porta a questionare i suoi metodi; i quali, agli occhi dello spettatore moderno, risultano inevitabilmente barbarici, ingenerando una sottile dose di umorismo.




Il look del conte (abilmente celato nella campagna marketing) è la dimostrazione del lavoro a metà tra tradizione e innovazione dei Eggers. Orlok sfoggia un paio di baffoni e un costume da cosacco che al cinema non si erano praticamente mai visti in produzioni serie, ma che erano parte integrante della sua persona nel romanzo di Stoker (anche se quel profilo aquilino, ripreso dal libro, appaiato all'attaccatura dei capelli sulla sola calotta posteriore finisce per ricordare il Casanova di Fellini, non si sa quanto volontariamente); ha una testa enorme e deforme come l'Orlok di Murnau ed è dolorante come quello di Herzog, ma le sue movenze non riprendono davvero nessuno dei due modelli. Tanto che neanche le inquadrature più celebri vengono rifatte: non si ha la sua famosa silhouette che si staglia sulla parete delle scale, né il suo emergere dalla poppa della nave di appestati. Anzi, se nell'impostazione dei personaggi c'è un rimando diretto che Eggers fa alla tradizione filmica di Dracula, è solo verso quello di Coppola, con quel Van Helsing pazzoide, incarnato da un Willem Dafoe magnificamente sopra le righe, che comunque viene ri-caratterizzato come un alchimista semi-ciarlatano.




A fronte di una scrittura del tutto classica, Eggers adopera uno stile di messa in scena del tutto moderno, il quale anch'esso non rinuncia ad omaggiare il passato. Omaggio che si palesa non tanto nella ovvia scelta di una palette cromatica quasi sempre smorta, ad imitare il bianco e nero della tradizione, quanto nella scelta di costruire alcune inquadrature in modo teatrale, rimando al Dracula di Todd Browning, che impostava il set come un proscenio sul quale far muovere gli attori.  A tale visione, Eggers accosta altre inquadrature decisamente dinamiche, che talvolta culminano in piccoli piani-sequenza, in una giustapposizione talmente ben eseguita da non stridere mai.
La ricostruzione scenografica vive anch'essa di giustapposizioni estreme, passando da location vere e proprie (tra cui lo stesso castello nel quale Herzog già il suo Nosferatu) e scenografie di esterni che mimano i tagli netti dell'espressionismo, dove più che quella di Murnau, è avvertibile l'influenza di Robert Weine.
Il risultato è semplicemente magnifico e restituisce un senso di eleganza certamente vecchio stile, ma sempre affascinante.



Tanto che l'unico vero rimprovero che può essere mosso al lavoro di Eggers è quello di essersi adagiato troppo sull'abuso dei jump-scare, che, pur tutto sommato ben condotti, finiscono lo stesso per appiattire in parte una visione che avrebbe retto meglio se costruita semplicemente sull'atmosfera e sulla semplice tensione.
Per il resto, questo suo Nosferatu è un'opera semplicemente magnifica.

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