lunedì 28 aprile 2025

I Peccatori

Sinners

di Ryan Coogler.

con: Michael B.Jordan, Miles Caton, Hailee Steinfield, Delroy Lindo, Tenaj Jackson, Omar Benson Miller, Jack O'Connell, Yao, Li Jun Li, Lola Kirke, Saul Williams.

Horror

Usa, Australia, Canada 2025










---CONTIENE SPOILER---

Nell'ottica de I Peccatori, cos'è davvero il peccato e chi sono i veri peccatori?
E' da tale quesito che bisogna partire per comprendere davvero il lavoro di Ryan Coogler, nuovamente portato avanti dal corpo statuario di Michael B.Jordan.
Un lavoro che nasce da un'esigenza sentita, quella di emanciparsi dal cinema mainstream per ritrovare un dimensione più personale, in questo caso quella della contaminazione tra generi e registri, usati, ribaltati e fusi per portare in scena una metafora sicuramente abusata, ma non per questo disprezzabile. Un cinema a là Jordan Peele, per intenderci, che contamina horror metaforico con inserti grotteschi, nel quale si cimenta dimostrando però tutti i limiti possibili.













1932. I gemelli Smoke e Stack (Michael B.Jordan) tornano nel natio Mississippi dopo aver fatto fortuna nella malavita di Chicago. Dollari alla mano, aprono un juke joint per soli neri e arruolano come musicista il cugino Sammie (Miles Caton), vero e proprio talento della chitarra blues. Ma nei dintorni si aggira un vampiro (Jack O'Connell) stranamente attratto dalla musica afroamericana.




















La musica è il perno essenziale del racconto di Coogler. La musica come fil rouge universale in grado di unire le culture e di trascenderle, la musica come strumento sciamanico per raggiungere vette di coscienza più alta. Non per nulla, il film si apre direttamente con un rimando alla figura del cantore, statuendo come alcune melodie siano in grado di trascendere il confine tra il mondo immanente e quello sovrannaturale.
La musica è in grado di unire, la musica è in grado di abbattere ogni barriera. E' per questo che è stato facile per i bianchi assimilare il blues, è stato facile, storicamente parlando, appropriarsene e rimodellarlo alle proprie esigenze. I peccatori sono dunque in primis coloro i quali hanno spogliato un popolo di una loro identità per omologarlo a sé, coloro che ne hanno "vampirizzato" lo spirito originario.



















Nell'ottica del film, i peccatori sono così tanto i bianchi del Ku Klux Klan che perseguitano gli stessi neri dei quali ballano le note, quanto i Cristiani che sottomisero mezzo mondo in passato: il vampiro è irlandese e nel finale ricorda come il suo popolo venne sottomesso e culturalmente colonizzato; i più attenti sapranno poi come fossero stati proprio gli Irlandesi i primi "schiavi" in America, prima dell'inizio della tratta umana dall'Africa.
I peccatori sono poi ovviamente coloro che cedono al male. In ogni cultura esiste un discrimine tra bene e male in senso assoluto e tutti i personaggi del film sono, a loro modo, peccatori. I gemelli sono due gangster figli di un padre violento, l'innocente Sammie è un fedifrago irredento, il vecchio musicista Delta Slim è un alcolizzato perso. Senza contare come praticamente tutti i bianchi siano membri del Klan. Forse l'unico personaggio privo di vere macchie è la Mary di Hailee Stainfield, la quale è però anch'ella moglie infedele. Ed è proprio quando Coogler trasla il concetto di peccato nel campo strettamente personale che il discorso comincia a sfaldarsi.



















Perché suonare la musica blues è atto di ribellione contro il conformismo imposto da una cultura alla quale non si appartiene anche in un contesto che riesuma le radici "diaboliche" del genere. Ma la chitarra usata da Sammie apparteneva al padre del gemelli, un uomo la cui malvagità ha plasmato gli aspetti peggiori dei figli. L'abbraccio di quel simbolo, in un contesto dove si dice chiaramente che il male può essere trasmesso in linea diretta, non è solo ribellione, non è solo assimilazione di un peccato inteso nel modo romantico del termine, quanto anche accettazione di un male oggettivo e non strettamente correlato né all'arte, né alla cultura.
Per essere artisti bisogna abbracciare la propria parte peggiore? Coogler non sembra voler dire davvero questo, nonostante i dialoghi vertano spesso sull'infelicità causata da una vita dedita all'arte. Perché se così fosse, il vampiro non avrebbe valenza totalmente negativa.
Nel mondo descritto, invece, esistono un bene e un male assoluti, ma solo quando ciò porta convenienza. Tanto che persino la comunità dei vampiri, la quale abbraccia ogni colore e ogni cultura, viene sempre e comunque descritta come negativa, quasi un insulto al multiculturalismo moderno. E se per l'affermazione individuale di un afroamericano è necessario abbracciare il peccato e superare quella dicotomia tra bene e male che un religione estranea hanno imposto, non si capisce perché i protagonisti non abbraccino la proposta del vampiro e la sua idea di società. Una società, questa, che nasce proprio in opposizione a convenzioni che hanno distrutto culture e individui. La risposta è in realtà semplice: perché nella visione di Coogler, il vampiro è il bianco e il bianco ha sempre torto, ma ciò crea inevitabilmente una contraddizione interna al sistema di metafore.
Si potrebbe così etichettare tale sistema come malriuscito, ma l'impressione che si ha guardando il film è più semplicemente quella di una mancanza di corretta articolazione. Come in Black Panther, anche qui Coogler dimostra di non saper maneggiare a dovere le metafore e finisce per creare un film che potrebbe persino essere scambiato per conservatore (non per nulla, è sempre bene ricordare come il primo Black Panther fosse praticamente un film reazionario).


















Quanto ai punti di riferimento cinematografici, inutile negarlo, I Peccatori altro non è se non un Dal Tramonto all'Alba rimaneggiato a dovere: inizia come un mix tra dramma e gangster movie, scivola di punto in bianco nell'horror con vampiri che prendono d'assedio un locale notturno, con un paio di criminali che divengono di punto in bianco eroi chiamati a salvare la situazione, anche loro fratelli e anche qui uno dei due viene vampirizzato. Ma se il cultissimo del duo Tarantino/Rodriguez maneggiava a dovere ogni singolo aspetto di tale commistione, Coogler si dimostra più avvezzo a portare in scena il dramma umano che il film d'assedio con i mostri. La prima parte, la lunga preparazione alla serata, nella sua impostazione drammaturgica da romanzo d'appendice riesce a convincere, nonostante Michael B.Jordan abbia dalla sua praticamente solo il fisico da macho.
Quando poi le cose dovrebbero destabilizzarsi e azione e la suspense dovrebbero entrare in scena, Coogler non regge il lavoro e finisce con il dirigere il tutto senza guizzi, senza dare la giusta enfasi all'orrore, senza riuscire a comunicare davvero il senso di disperazione e ineluttabilità del tutto.

















I Peccatori resta così un'opera più interessante che riuscita. Un tassello nel nuovo cinema afroamericano che ha le idee chiare, ma che non sa come svilupparle a dovere, finendo per intrattenere in modo fin troppo convenzionale.

lunedì 7 aprile 2025

The Shrouds- Segreti Sepolti

The Shrouds

di David Cronenberg.

con: Vincent Cassel, Diane Kruger, Guy Pearce, Sandrine Holt, Elizabeth Saunders, Jennifer Dale, Vieslav Krystyan, Eric Weinthal, Jeff Yung.

Drammatico/Cyberpunk

Canada, Francia 2024














---CONTIENE SPOILER---


The Shrouds è l'ultimo Croneneberg?
Una domanda essenziale. Perché se Crimes of the Future rappresentava il punto d'arrivo di larga parte della poetica dell'autore canadese, questa sua ultima fatica è (anche) un punto di non ritorno.
Un'opera che nasce da un'urgenza, ossia l'elaborazione del lutto dell'amata moglie Carolyn, deceduta nel 2017 e che aveva già influito pesantemente sulla sua produzione, ma che qui diventa il pilastro sul quale tutto il viene costruito. E se, come si diceva, Crimes of the Future rappresentava il punto d'arrivo di gran parte della poetica cronenberghiana, The Shrouds è il suo esatto opposto, quasi uno sberleffo a molte delle sue ossessioni.



Alla base di tutto c'è Karsh (Cassell), vero e proprio doppio di Cronenberg; non un artista, anche se ha un passato da produttore di video, bensì un imprenditore che ha contribuito allo sviluppo di una macabra tecnologia: un sudario che diventa telecamera tridimensionale la quale permette ai vivi di guardare il corpo in decomposizione dei cari defunti.
La putrefazione come definitivo oggetto voyeuristico? The Shrouds parte da questo presupposto: come per il Truffaut de La Camera Verde, anche per Cronenberg un distacco definitivo dall'oggetto del desiderio, amoroso e sessuale, è impossibile. Impossibilità che prende le forme di una duplice visione: da un lato quella della shroudcam, del corpo attuale, dall'altro del ricordo, la visione nella mente di un passato che si fonde con il presente, di un accaduto che si confonde con il desiderato.




Karsh non riesce a distaccarsi dalla moglie Becca, sia a causa della tecnologia, sia a causa della relazione, inizialmente platonica, che ha con la di lei sorella gemella Terry, ma anche con l'IA Hunny, il cui avatar è letteralmente una parodia in bassa risoluzione della stessa persona. Tre entità che hanno lo stesso volto, quello di una sempre bellissima Diane Kruger, ma che rappresentano tre aspetti della donna di cui è innamorato: l'amica, la collega, l'amante.
La tecnologia diventa così nuovamente uno strumento per dare sfogo ad un'ossessione. Da cui la crisi quando questa tecnologia viene messa in discussione. L'attacco al cimitero diventa l'inizio dell'aggravarsi dello stato di paranoia di Karsh: chi vuole privarlo di questo strumento per lui essenziale? E cosa sono davvero quelle escrescenze che si formano sui cadaveri inumati?




Come in Videodrome, anche in The Shrouds esistono entità pronte ad usare la tecnologia per manipolare l'essere umano, qui prone persino ad usurparne il corpo esanime e usarlo come strumento di sorveglianza. Ma man mano che la narrazione procede, Cronenberg svela poco alla volta le carte e ci fa comprendere in modo più o meno chiaro come questa volta a lui non interessi trattare dei rischi connessi all'evoluzione tecnologica e su come questa vada a modificare l'essere umano, il suo corpo o la sua percezione del reale.
Le cospirazioni di The Shrouds sono oltremodo complesse, artificiose sino all'artificiale, tanto che lo stesso autore le mette da parte, lascia letteralmente il segreto più importante per la risoluzione del mistero sepolto sotto terra. A Cronenberg in realtà qui interessano i personaggi e i loro stati d'animo, non le sovrastrutture tecnocratiche.




Noi essere umani, forse, non siamo che degli animali il cui bisogno primario è dato dalla presenza di un partner. Tutti i personaggi di The Shrouds sono letteralmente a pezzi a causa del distacco dall'oggetto del desiderio: oltre Karsh, anche il cognato hacker Maury vive uno stato depressivo per la fine del rapporto con Terry; quest'ultima sublima con la toelettatura degli animali l'impossibilità di connettersi con Karsh; la nuova amante Soo-Min è a sua volta una moglie il cui marito è una presenza virtuale e Karsh riesce ad allacciare un rapporto fisico con lei forse proprio a causa della sua cecità, ossia per l'impossibilità di ricambiare il suo sguardo di desiderio, rivolto solo alla defunta moglie.
Tutti vivono in uno stato di abbandono, tutti sono divorati da un vuoto interiore, da cui lo stato di paranoia (Terry è una complottista compulsiva), di spaesamento (Karsh si perde nei meandri del mistero), di autodistruzione (Maury afferma di volersi suicidare e di aver cominciato a mutilarsi). La paranoia, l'impossibilità di comprendere quali forze stiano cercando di manipolare chi e perché e la difficoltà nel discernere il reale dall'immaginario sono solo conseguenze di uno stato disaffettivo. Tanto che mai come ora, neanche in eXistenZ, Cronenberg era arrivato letteralmente a parodizzare parti del suo cinema, con i complotti che si compenetrano sino a confondersi e la scena, teoricamente iconica, in cui Karsh indossa un sudario costruita in realtà in modo volontariamente ironico.



Ma The Shrouds non è semplicemente il racconto di come questo gruppo di esseri umani infelici si ritrovi a combattere la propria necessità di connessioni, prigionieri di corpi che se privati di una controparte finiscono per impazzire. Con quel colpo di scena verso il finale e le visioni che aprono e chiudono il film, Cronenberg sembra suggerire qualcosa di persino più radicale: se privato di quelle relazioni, è l'essere vivente stesso a divenire il vero cadavere.
La putrefazione non è quella di chi viene inumato e osservato marcire, ma di chi continua a camminare sul terreno, di coloro i quali necessitano un contatto fisico per sopravvivere. Le escrescenze tumorali sui cadaveri, vere o finte che siano, sono segni di vita; Karsh è il vero morto, un uomo isolato nel suo stesso corpo, chiuso in una bara di solitudine dalla quale forse può uscire, forse no, forse può risorgere in quella Budapest che è contemporaneamente sede del suo nuovo cimitero e culla di una nuova relazione, forse è condannato a continuare a marcire al fianco di colei dalla quale non riesce a distaccarsi, forse solo metaforicamente, forse anche fisicamente.



I limiti di The Shrouds sono anche i più ovvi, ossia un budget striminzito come impone di costruire tutto il film praticamente solo sui dialoghi, oltre che la decisione di abbandonare la storia per dedicarsi alla descrizione dei personaggi, scelta che non farà piacere ad alcuni spettatori, ma che risulta del tutto coerente.
Perché il risultato è un'opera quantomai dolorosa, quantomai sentita, con cui il grande autore riesce davvero a dare forma al lutto e a straziare cuore e mente nonostante il suo canonico distacco, prova di una maturità umana prima ancora che artistica pressocché definitiva.

mercoledì 2 aprile 2025

Mickey 17

di Bong Joon-Ho.

con: Robert Pattinson, Naomi Ackie, Steven Yeun, Patsy Ferran, Mark Ruffalo, Toni Collette, Annamaria Vartolomei.

Fantascienza/Satirico/Grottesco

Usa, Corea del Sud 2025














Poco più di 111 milioni di dollari di incasso a fronte di un budget di circa 119. Mickey 17 è (purtroppo) un flop certificato, che di certo non gioverà alla carriera internazionale di Bong Joon-Ho (anche se fa ben sperare l'ufficializzazione della notizia della sua prossima collaborazione con John Carpenter).
Il perché di questo tonfo, poi, è un mistero, perché sulla carta i numeri c'erano tutti: un regista appena reduce dal suo più grande successo, una star, Robert Pattinson, tra le più genuinamente amate degli ultimi tempi e uno spunto sci-fi che, benché non originale, è comunque intrigante. Senza contare come l'ultima volta che Bong si è confrontato con la narrativa fantascientifica, il risultato è stato il cult Snowpiercer, il quale, pur non avendo fatto numeri da blockbuster, ha saputo conquistare una considerevole fetta di pubblico.


Tonfo la cui causa risiede nella natura stessa nel film. Perché Mickey 17 è forse un'opera persino meno accomodante di Snowpiercer, dove la metafora sullo sfruttamento capitalistico del corpo umano e sugli orrori del colonialismo è totalizzante e dove persino i personaggi positivi hanno una tridimensionalità che può renderli antipatici.
Lo spunto, poi, era già stato declinato da Duncan Jones nello splendido Moon, dove bene o male ritornavano tutti i temi che Bong qui presenta, solo con un pizzico di empatia in più. Ma questo ovviamente non rende Mickey 17 inferiore, solo diverso.
Nel mondo del film, il capitalismo non è più un semplice sistema economico, né una filosofia di vita, è praticamente parte integrante della natura umana: ogni vita serve ad uno scopo, una vita che non può perseguire uno scopo non ha valore. Di conseguenza, una persona può essere tranquillamente annichilita e sostituita con un'altra, a prescindere dalla sua individualità. L'idea di una tecnologia che permetta di ricreare un corpo e di clonare all'infinito una persona affinché questa possa essere sfruttata in modo perpetuo è così una pura concretizzazione di tale tematica.
Ma non è il solo Mickey Barnes ad essere de-individualizzato in questo mondo. Al suo pari, anche il personaggio di Kai alla fine, per la classe dirigente, non è che un corpo da sfruttare per creare la perfetta colonia formata da "individui geneticamente perfetti", a prescindere dalla sua sessualità effettiva e persino dal fatto che possa effettivamente provare un qualche sentimento (il fatto poi che sia interpretata dalla Annamaria Vartolomei di L'événemenet rende il tutto sottilmente ironico).


Laddove il corpo non è che un involucro che diventa strumento di produzione, l'identità diventa concetto flebile. Se già in Moon il carattere del protagonista Sam finiva per essere plasmato e riplasmato dagli eventi (lì i giorni di permanenza/vita sulla colonia) e a prescindere dai suoi ricordi, in Mickey 17 Bong va un passo oltre e inizia a riflettere su come l'identità umana forse sia una questione del tutto circostanziale. 
Il numero 17 è presentato come un sensibile inetto, il numero 18 come uno psicopatico, ma tale differenza caratteriale non è causata da nulla in particolare, se non dagli eventi che li hanno visti protagonisti, con il primo arrivato ad un passo dalla morte laddove il secondo è letteralmente un neonato che ha conosciuto solo l'amore fisico della bella Nasha e la tossicodipendenza.
L'identità (sia essa intesa come coscienza o anima) non può essere copiata poiché non dipende strettamente dai ricordi (18 interpreta in modo differente la morte della madre biologica rispetto a quanto fatto da 17, anche questo elemento che ne sostanzia i caratteri).  Il fatto poi che Pattinson riesca a differenziare questi due opposti in modo tutto sommato sottile, è l'ennesima prova del suo talento.
Persino i personaggi femminili finiscono per adattare i loro caratteri alle singole situazioni: Nasha è forte quando serve, ma dimostra dei lati possessivi che sfoggia solo in determinati contesti, mentre Kai, pur apertamente lesbica, si ritrova naturalmente attratta dalla sensibilità e dalla fragilità di 17.


Sul piano strettamente sociologico, Bong rivolge la colpa della degenerazione ad una classe dirigente che vuole semplicemente cannibalizzare il prossimo, distruggere qualsiasi cosa abbia innanzi pur di saziare un appetito innato. La metafora del cibo diventa così anch'essa mezzo di messa di scena del possesso fisico, con il personaggio dello strozzino seduto a cena mentre osserva una delle sue vittime fatte a pezzi; ma ciò avviene soprattutto tramite i personaggi del senatore Marshall e di sua moglie Ylfa, una coppia che potrebbe davvero vincere il premio di duo di villain più grotteschi e spaventosi degli ultimi anni; laddove lui non è che un Donald Trump ancora più idiota, lei è una moglie il cui filo di intelligenza in più le permette di comandare su tutto e tutti e con l'ossessione di trasformare in cibo ogni singola forma di vita. E se l'accostamento tra un leader politico conservatore para-nazista colonialista e il presidente Usa più imbarazzante di sempre può sembrare facile, la cronaca recente lo rende invece davvero disturbante. Un plauso va poi ovviamente fatto a Toni Collette e Mark Ruffalo, in particolare a quest'ultimo, che dimostra la sua versatilità caratterizzando questo stupido narcisista affamato di possesso in modo differente da quanto fatto in Povere Creature!



Su tali metafore, Bong innesta poi una riflessione sul colonialismo, vera punta di originalità in tutta la narrazione.
Se l'esplorazione spaziale è da sempre vista come un passo importante per l'umano progresso, essa altro non è se non la riproposizione di quei modelli di sottomissione che in passato hanno portato alle tragedie dei genocidi nel continente Americano. Il colonialismo è un ramo del capitalismo, dunque è anch'esso sottomissione e possesso di creature che si ritengono inferiori. La coesistenza con il prossimo necessita dunque la soppressione del meccanismo di sfruttamento reciproco, il quale non può che passare attraverso la rivolta dei sottomessi. Come in Snowpiercer, anche in Mickey 17 la ribellione è un meccanismo necessario alla sopravvivenza, ma qui essa è un fenomeno del tutto naturale, non pilotato ad arte dalla classe dirigente per placare le folle.



Pur in mancanza di veri spunti originali, Mickey 17 funziona sia come semplice racconto fantascientifico che come metafora sociologica. Anzi, forse funziona fin troppo: le analogie sono sempre cristalline, i simboli usati sono sempre perfettamente intelligibili, le svolte della storia, anche quando inaspettate, sono fin troppo coerenti e non spiazzano davvero.
Forse il difetto di Mickey 17 è quello di essere un racconto talmente chiaro da scadere nel pretenzioso, talmente facile da essere didascalico. Un difetto certamente scusabile, tanto che anche il grande pubblico ben farebbe a riscoprirlo.

R.I.P. Val Kilmer

 


1959 - 2025

Nel corso della sua carriera, Val Kilmer si era costruito una delle nomee peggiori di Hollywood, arrivando persino a distruggere qualche carriera a causa del suo egoismo.
Eppure, scorrendo la sua filmografia, non mancano ruoli che ne hanno dimostrato il talento. Facile è prendere ad esempio il suo Jim Morrison nel controverso biopic di Oliver Stone, il quale gli ha permesso di imporsi come interprete completo. Ma nel corso di tutta la sua carriera, non ha mai mancato di dar prova di versatilità e talento. Persino in quel Top Secret!, suo esordio assoluto, dove dimostra una padronanza assoluta dei tempi comici. E' bene dunque ricordarlo per quello che in primis è stato, ossia un attore dalle ottime capacità, purtroppo sottomesse ad un temperamento distruttivo e ad una storia personale tragica.