con: Jennifer Jason-Leigh, Jude Law, Willem Dafoe, Ian Holm, Don McKellar, Callum Keith Rennie, Sarah Polley, Christopher Eccleston, Robert A.Silverman, Oscar Hsu, Kirsten Johnson.
Canada, Inghilterra (1999)
"eXistenZ" è il tipico film del periodo in cui è stato prodotto, che riflette sulle tendenze in atto all'epoca. Questa la forma mentis con la quale di solito ci si approccia, la quale è anche corretta, ma solo fino ad un certo punto; perché sicuramente lo zeitgeist di fine millennio è avvertibile, ma molte delle riflessioni effettuate da Cronenberg non solo sono un'evoluzione di quanto visto in "Videodrome" sedici anni prima, ma sono tutt'oggi scottanti, originali e urgenti, prova dell'universalità della loro portata.
Facciamo però un passo indietro. Negli anni '90, il concetto di "realtà virtuale" scavalca la fiction per entrare nella realtà. Sembra un'eafermazione esagerata, data la difficoltà con la quale tutt'oggi si riesce (a stento) a creare mondi virtuali credibili che coinvolgano apertamente almeno la vista e l'udito tramite l'uso di perferiche immersine che vanno al di là del semplice schermo, ma fu in quella decade che per la prima volta la possibilità di vivere una vita parallela all'interno di un universo di finzione cominciava ad essere davvero ponderata.
Il motivo è anche alquanto semplice, ossia il boom del medium videoludico. Dopo l'esplosione della bolla nel 1983 e la graduale riconquista del mercato, è in questo periodo che i videogame divengono una vera e propria industria, entrano nel quotidiano di ragazzi e adulti e cominciano a non essere più visti come una semplice moda, ma come un business vero e proprio. Con la conseguenza che quello dei mondi virtuali immersivi diventa più di un passatempo, ossia un vero e proprio culto, tanto che il passaggio ad una realtà puramente fittizia sembrava imminente. Così ovviamente non è stato, ma è da qui che la riflessione sulla possibile esistenza di una realtà alternativa all'interno del mondo reale comincia ad essere davvero dissezionata nella narrativa con alta frequenza.
I precedenti ovviamente non mancano, basti pensare al cult "Tron" negli anni '80, a "Il Tagliaerbe" o al flop gibsoniano "Johnny Mnemonic" nel 1995. In televisione, i telefilm con tematiche fantascientifiche a base di VR sono all'ordine del giorno e la letteratura cyberpunk muta forma per adattarsi a questo nuovo stato delle cose, ossia l'esistenza di mondi fittizi e di Internet visto come un vero e proprio cyber-spazio, come preconizzato da William Gibson in "Neuromante" nel decennio precedente.
Non è un caso che nello stesso anno di "eXistenZ" escano altri due film che affrontano la tematica di petto, ossia "Matrix" e "Il Tredicesimo Piano". Se il primo non ha bisogno di presentazioni e ha fatto della linea di demarcazione tra realtà effettiva e finzione un punto di trama essenziale, nel secondo la distinzione tra i piani del reale è volatile, come nella narrativa dickiana e nella filmografia dello stesso Cronenberg, in "eXistenZ" come in "Videodrome".
Autore iraniano, Rushdie sale all'onore delle cronache quando nel 1988 scrive il romanzo "Versi Satanici", storia di un due musulmani indiani che scampano miracolosamente ad un incidente aereo. La descrizione che lo scrittore fa della religione musulmana, in particolare del profeta Maometto, lo portano però all'ostilità dei connazionali, tanto che l'ayatollah Khomeyni lo investe con una fatwa per bestemmia, il che lo rende oggetto di continue minacce di morte da parte del mondo islamico.
Il tema principale, quindi, è quello di un creatore perseguitato a causa dell'efferatezza della sua creatura, un qualcosa di talmente alieno e alienante da suscitare le paure e le ire del pubblico.
Il che si unisce ad una seconda fonte di ispirazione, esplicitata nel film grazie ad un easter egg, ossia la seminale letteratura di Philip K. Dick.
Il richiamo, visibile in appena un dettaglio, è a "Le Tre Stimmate di Palmer Eldritch", tra i lavori più caratteristici di Dick che, pubblicato per la prima volta nel 1964, ipotizzava in tempi non sospetti e forse per la prima volta in assoluto l'interazione umana con un mondo di finzione. In una sottotrama, i coloni umani su Marte vivono di stenti e noia e riescono ad evadere dalla realtà in un modo decisamente poco ortodosso, ossia proiettandosi anche fisicamente in un mondo di fantasia.
Ovviamente Dick non poteva immaginare all'epoca l'evoluzione tecnologica che avrebbe portato gli elaboratori elettronici a divenire delle console casalinghe in grado di immergere l'utente in una simulazione totale. Il suo stratagemma visionario è più "analogico" ma non meno efficace: l'utente colleziona il merchandise di "Perky Pat", equivalente letterario di Barbie, della quale i personaggi assemblano una casa al mare, ornandola con tutti gli orpelli e le comodità possibili. Il passaggio verso il piano fittizio non è dato dal medium tecnologico-informatico, ma da una droga, denominata "can-D", la quale permette al consumatore di "incarnarsi" nelle bambole e di vivere nel loro mondo, il quale diventa realtà ulteriore, effettiva e decisamente più piacevole di quella reale. Con la conseguenza di una forma di dipendenza distruttiva verso questo narcotico che rende l'immaginazione reale.La prima e più immediata tematica è la visione di un'azienda che, per il tramite dei suoi prodotti, indica all'essere umano la realtà. Da cui la presentazione in anteprima del gioco che dà il titolo al film in una chiesa, con la video-dipendenza divenuta il culto di una nuova "chiesa catodica", con una game designer e un addetto alle pr come sacerdote e vate della religione.
La console di gioco, chiamata semplicemente "pod", è un nuovo organo, ma a differenza del televisore questo non si limita a percepire e filtrare il reale, andando oltre sino a ridefinire in toto la realtà stessa.
Il pod si contorce e contrae come un essere vivente, viene paragonato ad un bambino in quanto creazione di una donna, si connette al corpo umano mediante una "porta" equivalente di una bocca o di una vagina, ossia gli organi sessuali con cui ci si interfaccia con il partner. Il pod è la nuova carne, non organo sensoriale, quanto nuovo corpo che porta con sé un nuovo piano dell'esistenza. Da cui anche la ripresa della pistola di carne come oggetto-feticcio: il metallo, sin qui, non esiste, la tecnologia è viva quanto l'utente che la usa e forse anche di più.
Con la conseguenza ulteriore che la "bioporta" con la quale connettere la console al sistema nervoso diventa nuovo organo erotico, "penetrato" dalla console, eccitato dalla possibilità di un contatto e usato infine come orifizio di piacere vero e proprio, come le cicatrici di "Crash".
Non c'è differenza, nell'economia della storia e della riflessione, tra il gioco chiamato eXistenZ e quello chiamato TransCendence, ossia il gioco "reale" che si palesa nel finale. Entrambi sono lo stesso gioco e hanno la particolarità di non essere un gioco nel senso convenzionale del termine. Il pod riesce, tramite loro, a creare una nuova realtà la quale non è frutto dell'opera del game designer, bensì il risultato degli impulsi, coscienti e non, dell'utente.
Da una parte, il game designer diventa un dio della virtualità, garantendo una forma di libero arbitrio ai giocatori e riuscendo a generare un mondo in grado di reinventarsi ad ogni nuova partita. Dall'altra le barriere tra ogni realtà vengono dissolte, i mondi si compenetrano fino a confondersi del tutto. Qual è la realtà? Persino l'ultima inquadratura questiona la sussistenza effettiva di una realtà unitaria, sia per i personaggi che per gli spettatori.
Il punto è che non ha più importanza quale sia la realtà, ogni realtà finisce per avere la medesima valenza, ogni mondo è tanto reale nella sua costruzione quanto quello effettivo. Tanto che lo stesso Cronenberg si diverte a giocare con la nostra percezione del reale all'interno del film, non tanto con l'ovvia confusione tra strati del reali, quanto imbastendo una storia di spionaggio industriale e terrorismo che sembra una versione di "Videodrome" o "Scanners" talmente iperbolica da sfociare apertamente nel parossistico.
La distinzione tra piani del reale è comunque presente sin dalle prime battute, quando lo spettatore non è naturalmente portato a chiedersi se quello che vede sia reale o meno. Tant'è che con un passaggio di scena geniale, Allegra afferma di aver bisogno di una "country gas station", solo per ritrovarsi nell'inquadratura immediatamente successiva in una stazione di servizio con tanto di scritta "country gas station".
Una riflessione ulteriore viene poi dedicata al nuovo essere umano, all'utente di queste realtà. Abituati a vivere immersi in un universo di fantasia, i giocatori sono naturalmente alienati dalla realtà. Da cui la riscoperta di questa in tutti i suoi dettagli solitamente omessi nella virtualità: Allegra, in una scena apparentemente innocua, si "gode" le piccolezze del reale, come il contatto con una superficie ruvida o lo sfrigolio della sabbia sotto i piedi, sino ad accarezzare una creatura mutante, un essere vicino alla sua realtà, ma lontano da quella dello spettatore, che diventa così alieno verso quella che per lui dovrebbe essere la realtà durante la visione; da cui una forma di metatestualità con la quale si ribadisce la finzione di qualsiasi realtà, vera o presunta tale, su schermo.
Ma l'utente è anche colui che si rifugia nel mondo virtuale per fuggire dalla realtà. Da cui il personaggio di Gas (Dafoe), umile benzinaio che si eleva a "DiodellArte" nel mondo creato ad hoc da Allegra. Con la conseguenza, ulteriore, che il mondo virtuale diviene più reale del reale e la realtà diventa, come esplicitamente definita, una semplice gabbia che impedisce la piena realizzazione dell'individuo. Tanto che Gas potrebbe quasi essere una "visione lucida" e purgata dalla paranoia di William Lee, un uomo perso nella dipendenza da un elemento che ne altera la percezione del reale, catapultandolo in un mondo del tutto irreale nel quale lui è l'eroe di una storia tanto effettivamente finta quanto per lui veritiera.
"eXistenZ" non è quindi un puro aggiornamento del suo antecedente del 1983, né un semplice saggio sull'uso e abuso della realtà virtuale, quanto un riflessione cocente, lucida e disincantata sulla possibilità di discernere la realtà.
Non che, alla fin fine, una riflessione sull'orrore della tecnologia manchi. Il modo in cui la correlazione tra utente e tecnologia viene preconizzata è oggi ancora più stupefacente che nel 1999: impossibile non vedere smartphone e tablet come organi esterni che ci portano in una realtà fittizia, che non si limitano ad alterare la percezione del vero ma che creano una nuova realtà nel quale ci si perde sino a confonderla con quella effettiva. Impossibile non stupirsi davanti a quelle immagini finali dove i personaggi sono immersi nella contemplazione quasi asettica di uno schermo portatile che in tutto e per tutto era l'antesignano di tali dispositivi. Così come è impossibile non vedere negli sguardi vacui degli stessi personaggi dinanzi alla violenza una previsione della desensbilizzazione verso il reale dato dall'abuso di tecnologia immersiva. Il che rende l'opera di Cronenberg come una delle più importanti (se non la più importante in assoluto) su tali argomenti.
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