domenica 12 maggio 2013

Crying Freeman

di Christophe Gans

con: Mark Dacascos, Julie Condra, Kevan Ohtsji, Rae Dawn Chong, Tchéky Karyo, Mako.

Azione/Fantastico

Canada, Francia, Giappone, Usa (1995)


















Il nome di Kazuo Koike non dirà granché ai più, ma si tratta di uno dei mangaka più importanti mai esistiti; nume tutelare, tra gli altri, di Tetsuo Hara, Rumiko Takahashi e Yuji Horii, ha fama imperitura per aver creato il manga gekida più celebre di sempre, ossia Lone Wolf & Cub (1970-1976), storia dei vagabondaggi di un ronin tradito dal suo daimyo, che girovaga per il Giappone feudale riaddrizzando torti ed in cerca di vendetta.



Successo globale, che ha portato alla creazione di una serie televisiva e di sei film per il cinema, tutti giunti anche in Italia con i titoli più stravaganti, riscuotendo anche un buon successo.
Successo replicato in parte da un'altra sua opera estremamente celebre, anche se più di nicchia, quel "Lady Snowblood" che precede cronologicamente "Lone Wolf & Cub", ma che arriva in Occidente solo dopo l'uscita dei due film tratti da esso, che finiranno per ispirare persino Tarantino (ovviamente) per il personaggio di Oh-Ren Ishii in "Kill Bill vol.I" (2003).
Un'eredità, quella di Koike, immane. tant'è che risulta a dir poco spiazzante constatare come negli anni '80 i suoi lavori subiscano un'involuzione, forse dovuta alle influenze di troppo cinema di genere americano.
Basti vedere quel piccolo capolavoro trash (in tutti i sensi) di "Mad Bull 34", indigesto cocktail di action macho, horror, violenza splatter, umorismo d'accatto ed erotismo, per un risultato ai limiti del parodistico, ma privo di intelligenza alcuna. O, ancora di più, il più celebre "Crying Freeman".



Serializzato in patria tra il 1986 ed il 1988, "Crying Freeman" giunge con successo anche in Occidente nel giro di qualche anno; successo che si spiega a causa dei suoi contenuti, ossia sesso esplicito e violenza estrema, ancora più marcati rispetto a "Mad Bull 34".
Un manga che parte con una storia abbastanza interessante, quella di Yò, killer spietato il cui corpo è coperto dall'enorme tatuaggio di un dragone, coartato a forza in una sorta di società segreta di assassini prezzolati, il quale uccide suo malgrado e lascia che siano solo le sue lacrime ad esprimerne il rimorso.
Spunto poetico di sicuro fascino che viene magistralmente gettato fuori dalla finestra dopo il primo tankobon. Dal secondo, la serie diviene una sequela meccanica di nudi ed uccisioni, incastrate in uno schema fisso che si ripete ciclicamente con pochissime variabili: Yò e la sua organizzazione entrano in contatto con il bersaglio, il killer insegue i sottoposti di questo per scoprire dove si nasconda, lo incontra, fa sesso con una o più donne, risoluzione gore ed eventuale ingaggio della bella di turno tra le file degli alleati.





Definire vuota un'opera del genere è superfluo. Stupisce più che altro la sua paternità: cosa abbia spinto Koike a ridursi per davvero a tali livelli di pigrizia non è dato sapere.
Fatto sta che la cosa migliore generata da "Crying Freeman" è, per paradosso puro, l'adattamento cinematografico del 1995; cosa strana se si pensa a come i manga vengano spesso malamente adattati in pellicole occidentali, soprattutto a causa delle differenze culturali. Fatto sta che il film di Christophe Gans (poi autore di un altro piccolo miracolo, ossia il film tratto da "Silent Hill"), benchè compiaciuto in ogni scena e perennemente alla ricerca di un tono melò troppo marcato, riesce ad incantare.





Riprendendo a piene mani stile e stilemi del soggetto di base ed adattandone solo il primo volume, ossia l'unico dotato di una trama degna di questo nome, Gans mischia yakuza movie, film di arti marziali, noir e love story in maniera convincente; la sua regia è lenta, meditativa, totalmente basata sull'atmosfera e sulla fisicità dei due protagonisti: Mark Dacascos, atleta marziale formidabile e sosia del compianto Brandon Lee, nonchè la bellissima Julie Condra, americana ma dai lineamenti vagamente orientali.
La messa in scena di Gans è elegantemente autocompiaciuta e smaccatamente barocca: ogni coreografia, ogni passo degli attori ed ogni movimento di macchina è studiato fin nei minimi dettagli; il punto di riferimento è il John Woo dei primissimi anni '90, dal quale viene ripreso anche il gusto per il ralenty.
La voglia di stupire ed ammaliare di Gans è però un'arma a doppio taglio: la lentezza e l'eleganza ingessano fin troppo il ritmo, che diviene troppo inutilmente lento nella parte centrale e non valorizza l'azione, relegata totalmente al finale, in cui deflagra totalmente; il risultato è, dunque, una pellicola stramba: ammaliante, ma claudicante, che vuole affascinare lo spettatore con la violenza e la sensualità, riuscendoci, ma al contempo disperdendo parte dell'attenzione con i virtuosismi della messa in scena.




"Crying Freeman" resta comunque un'operazione interessante: un manga la cui atmosfera e i relativi temi sono perfettamente trasposti su pellicola, un action elegante, autocompiaciuto e barocco, ma anche affascinante; un caso raro nel panorama esangue del genere degli anni '90, in cui a farla da padrone erano Van Damme e soci.




EXTRA

Quello di Gans è però solo il terzo adattamento del manga di Kazuo Kaike. Nel 1990 furono prodotti ad Hong Kong due film basati sullo stesso: "Crying Freeman: Killer's Romance" e "Crying Freeman: Dragon from Russia".


  



Tra il 1988 ed il 1995 è stata poi serializzata in patria una serie di OAV che adattano pressocchè integralmente il manga.





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