martedì 23 aprile 2024

Late Night with the Devil

di Cameron & Colin Cairnes.

con: David Dastmalchian, Laura Gordon, Ian Bliss, Fayssal Bazzi, Ingrid Torelli, Rhys Autieri, Georgina Haig, Josh Quong Tart, Tamala Shelton.

Usa, Australia, Emirati Arabi 2023


















C'è qualcosa di sottilmente inquietante nelle dirette televisive. In quanto telespettatori, sappiamo che quanto avviene sul piccolo schermo è reale, per questo quando succede qualcosa di imprevisto, tutto diviene imprescindibilmente coinvolgente e infinitamente sconvolgente. 
I giovani filmmaker australiani Cameron e Colin Cairnes sono coscienti di tale forma di percezione e decidono di porla alla base del loro terzo lungometraggio. "Late Night with the Devil" è una sorta di omaggio alla forza sconvolgente del tubo catodico, una reminiscenza televisiva che del mezzo riprende gli stilemi per metterli al servizio di un racconto orrorifico raccapricciante, ma anche goffo.




31 Ottobre 1977. Il celebre conduttore Jack Delroy (Dastmalchian), autore e front man del talk show "Night Owls", da sempre coinvolto in una lotta di ascolti con il rivale Johnny Carson, si gioca il tutto per tutto con uno special di Halloween nel quale ospita, tra gli altri, anche la giovane sopravvissuta ad una setta satanica. Cosa che, ovviamente, porterà a conseguenze disastrose.




Come avvenne qualche anno fa con "Antrum", anche i Cairnes optano per il registro del mockumentario: il film altro non è se non un montaggio della registrazione della trasmissione con aggiunte dal dietro le quinte e con un'introduzione para-documentaristica volta ad introdurre il protagonista e il suo show.
L'uso di tale stile è anche di buona fattura, con la maggior parte del film costruita proprio come una puntata del talk. Ma i due registi decidono di restare attaccati allo stilema il giusto: gli intermezzi in bianco e nero che colmano gli spazi pubblicitari, benché girati con camera a mano e in teoria parte del dietro le quinte, sono fin troppo fasulli per risultare davvero parte del finto documentario.  E la disattenzione verso la grammatica è il punto debole che fa crollare tutta l'operazione.




Purtroppo, tutto il sistema del mockumentario si regge totalmente su di un'unica premessa, ossia che quello che si guarda è finto, ma potrebbe essere vero, ingenerando una particolare sospensione dell'incredulità. La cui particolarità, tra le altre cose, consiste proprio nella facilità con cui può crollare.
Vendendo gli inserti in bianco e nero come parte del dietro le quinte, "Late Night" vuole farci credere che ciò che sta accadendo sia vero all'interno del racconto e di come la macchina da presa sia elemento diegetico ad esso. Ma quei controcampi perfetti nei dialoghi rompono l'effettiva credibilità dell'assunto, tirando lo spettatore fuori dal narrato. Tanto che sarebbe stato meglio eliminare quel prologo che svela la natura di quelle immagini, lasciando invece credere a chi osserva la loro natura di fiction, rendendole, paradossalmente, più credibili. Senza contare come nel finale l'intero registro mockumentaristico venga totalmente abbandonato in favore della fiction vera e propria, cosa che avrebbe reso tutto il racconto decisamente più compatto.
Finché il duo di registi decide di tenere il gioco, "Late Night with the Devil" bene o male incanta, restituendo quella sensazione di freschezza che solo la coscienza di una finzione ben orchestrata può restituire. Ma quando si decide di mollare la presa, l'indole convenzionale di tutto l'assunto appiattisce ogni forma di coinvolgimento e divertimento, rendendo questo exploit del tutto privo di mordente.



La storia, in fin dei conti, è risaputa: Jack Delroy ha letteralmente venduto la sua anima per lo showbussiness. Il vero demonio non è quello che appare in scena a gettare scompiglio, ma la fama, l'ambizione di successo che trasforma le persone in mostri poiché ad essa sacrificano quanto di buono hanno. E questa "rivelazione" arriva in realtà già nel prologo, rendendo la rivelazione finale del tutto inefficace.
Nulla di nuovo, nulla di originale, quindi. Tanto che persino la forma mockumentaristica risulta pleonastica, utilizzata solo al fine di dare una personalità ad un horror che, altrimenti, si sarebbe confuso nella folla. E c'è da dire che il ricorso a tale stilema estetico e linguistico, unito alla passione dei due registi per il periodo storico di riferimento, costituiscono la parte migliore di tutta l'opera, nonché la sua vera (parziale) salvezza.




L'influenza maggiore, al di là di quelle dichiarate, è quella dello special inglese "Ghostwatch", vero e proprio scherzo televisivo che nel 1992 causò attacchi di panico in tutta la Gran Bretagna. Da tale episodio, i Cairnes creano un bello spaccato dell'America degli anni '70, del "panico satanista", di quella sensazione di paura che serpeggiava tra le famiglie, impaurite da un male assoluto che per la prima volta poteva celarsi nella villetta affianco.
Le parole del narratore iniziale sembrano descrivere la visione che si cela dietro la creazione di "Cannibal Holocaust", ossia la capacità della televisione di portare nelle case tutta la violenza del mondo, ma anche quelle facce amichevoli pronte a confortare lo spettatore. "Night Owls" diventa così il coacervo di due forze opposte, una trasmissione con la quale rilassarsi e perdere al contempo ogni forma di pace interiore o esteriore, la portavoce di una tranquillità totale e di un orrore indicibile.




Il lavoro dei Cairnes è così sublime quando cerca di mimare il passato per riproporre uno stile televisivo e una ricostruzione storica ricreati con passione, ma si dimostra sin troppo indeciso sulla direzione da far prendere al racconto, creando un ibrido indigesto che nel finale vanifica quanto di buono fatto in precedenza.

lunedì 22 aprile 2024

Civil War

 di Alex Garland.

con: Kirsten Dunst, Wagner Moura, Caileey Spaeny, Stephen McKinley Henderson, Jesse Plemons, Nick Hofferman, Jefferson White, Nelson Lee, Evan Lai.

Fantastico/Drammatico

Usa, Regno Unito 2024
















---CONTIENE SPOILER---

6 Gennaio 2021: la destra extraparlamentare americana compie un assalto a Capitol Hill, Washington D.C. in supporto all'ex presidente Donald Trump, sconcertato per la mancata rielezione. Per la prima volta dai tempi della Guerra di Secessione, una frangia della popolazione americana si ribella violentemente contro il governo democraticamente eletto e cerca di rovesciarlo. Per la popolazione è uno shock: scene di protesta del genere sembravano essere appannaggio di stati esteri, non della prima e più vecchia democrazia moderna.
Un episodio che altro non è stato se non il culmine di quella "guerra culturale" che da una decina d'anni impazza non tanto per le strade e le piazze, quanto sui social e su Internet in generale, combattuta a suon di tweet e reel su TikTok, dove ciascuno risponde in modo sempre più violento e radicale alle prese di posizione socio-ideologiche di turno. Il tutto esasperato dalla figura politica di Donald Trump, vero e proprio burattinaio che ha manipolato ad hoc la frangia più intollerante del suo elettorato per contestare ed eventualmente detronizzare il neo-eletto presidente Joe Biden.
E' l'inizio di una nuova forma di coscienza, in realtà per l'intero Occidente: i dissapori tornano a manifestarsi in modo violento dopo quasi cinquant'anni dalla fine delle proteste controculturali.
Alex Garland, dal canto suo, è un inglese che in Usa ha trovato il successo e che grazie al beneplacito di Hollywood è riuscito ad imporsi come un autore a livello mondiale. Un autore al quale gli stilemi del cinema woke e le derive più estreme della relativa filosofia sono sempre andate a genio, tanto che giusto qualche tempo aveva firmato l'intransigente "Men". La visione di Capitol Hill è uno shock anche per lui e inizia a riflettere sugli effetti che un episodio del genere può comportare.
"Civil War" è il risultato di tale riflessione, una piccola distopia fantapolitica, forse profetica, che immagina un'escalation verso una guerra interna al territorio americano. Non certo il primo film ad immaginare una nuova guerra civile americana, visto che arriva quasi trent'anni dopo "La Seconda Guerra Civile Americana" di Joe Dante; ma laddove questi immaginava un episodio del genere nelle forme della commedia nera, in tempi decisamente più civili, Garland opta per un dramma di guerra realistico e crea una pellicola interessante, anche se ingiustificatamente monca.



"Civil War" è soprattutto un film dalle due anime complementari. Da un lato c'è la visione fantapolitica e distopica, dall'altra c'è la disanima del ruolo dei reporter di guerra e della moralità sottesa (o meno) alle loro azioni.
Quest'ultima traccia è in realtà predominante e rappresenta anche l'aspetto più riuscito del film, il quale è tutto basato su di una premessa presto detta: durante gli ultimi giorni della guerra civile che ha dilaniato l'America, la fotoreporter veterana Lee (Kirsten Dunst), assieme al collega giornalista Joel (Wagner Moura) e all'anziano reporter Sammy (Stephen McKinley Handerson) parte da New York verso la blindatissima Washington D.C. per cercare di intervistare il Presidente (Nick Hofferman). A loro si unisce, all'ultimo, la fotografa novizia Jessie (Cailee Spaeny), in cerca di gloria personale e professionale.



Quale deve essere il limite del fotografo in una zona di guerra? E, di fatto, questo limite esiste davvero? Esiste, poi, una sua possibile complicità negli eventi?
Domande scottanti che esistono fin da quando esiste lo strumento fotografico stesso. Se il compito di un giornalista è narrare gli eventi, allora non devono esserci limiti, non si può distogliere lo sguardo verso l'orrore della guerra con la scusa di un ritrovato senso morale. Ma, al contempo, è impossibile non trasformare le immagini di vera morte in un esercizio voyeuristico, riprendere un corpo martoriato al fine di instillare una data sensazione allo spettatore, fosse anche il semplicemente sgomento. E, di conseguenza, è impossibile non trasformare quella morte in un trofeo personale attraverso il quale ottenere una forma di riconoscimento di prestigio.
Garland pone tali quesiti allo spettatore per il tramite dei propri personaggi, di quelle due donne agli antipodi; Lee è l'esperta, una donna che ha girato il globo documentato ogni tipo di nefandezza e che ora si ritrova in un fronte interno che la dilania nel profondo: lo stress della morte e del pericolo costante si fa insopportabile poiché non ci si può mai davvero abituare alla violenza. Jessie, d'altro canto, non ha il pelo sullo stomaco e deve imparare a mediare la propria coscienza con la realtà, ad usare il filtro della macchina fotografica per schermarsi da ciò che la circonda.
Due facce della stessa medaglia, due donne che sono un'unica persona ripresa in due fasi diverse della sua esistenza. E che nel finale divengono un tutt'uno, con un sacrificio della più matura che esce così dal suo ruolo passivo per divenire non più mero occhio degli eventi, non più organo sensoriale dotato di coscienza, mentre la più giovane eredita tale ruolo, diventa un nuovo testimone silenzioso. E Garland ha l'intelligenza di non cercare risposte a quesiti dalla pesantezza schiacciante, lasciando che sia sempre lo spettatore a decidere quanto ci sia di effettivamente immorale nelle azioni di un gruppo di testimoni dell'orrore, proprio come un giornalista dovrebbe fare.




La narrazione fantapolitica, d'altro canto, mostra tutti i limiti di scrittura, di inventiva e persino di caratura morale che il cinema di Garland ha sempre avuto. Questo perché, in primo luogo, è la stessa premessa alla guerra a non trovare mai nessuna spiegazione, neanche in modo indiretto.
Il mondo di "Civil War" non è il nostro mondo e contrariamente a quanto si potrebbe pensare entrando in sala, la guerra non è scoppiata a causa del semplice inasprirsi delle opposizioni tra destra e sinistra estreme. 
Si parla delle responsabilità del Presidente, un uomo definito "la belva", ma tali responsabilità non vengono mai chiarite, solo accennate quando si dice che abbia avuto tre mandati e sciolto l'FBI; i motivi di questi due eventi, in teoria catastrofici, non vengono mai chiariti. Di conseguenza, la secessione non trova vera giustificazione agli occhi dello spettatore e le tre fazioni in lotta risultano persino nebulose. Laddove è facile capire gli interessi delle truppe governative, decisamente ambigui sono quelli della WF, la confederazione nata dall'unione tra Texas e California, mentre del tutto evanescente è il ruolo dei miliziani Steelers di Pittsburgh, che di fatto appaiono solo in una sequenza, nella quale, tra l'atro, non è dato capire se siano in lotta contro la WF o contro il governo.




L'idea di creare un fronte unito tra due Stati agli antipodi come California e Texas è spiazzante e, non ricevendo contestualizzazione alcuna, finisce per confondere. Garland, intervistato in proposito, ha affermato come tale scelta narrativa sia volta a testimoniare la necessità di superare le differenze ideologiche quando ci si oppone ad un leader corrotto, ma, per l'appunto, non chiarifica mai cosa il suo leader abbia fatto di talmente bestiale da far cessare la rivalità tra uno Stato in cui l'ideologia dominate è ai limiti dell'anarchia e uno dove, invece, l'ideologia dominante è quasi di stampo fascista.
Ne consegue la totale impossibilità di discernere gli eventi, di capire a cosa si sta davvero assistendo e perché. Il ruolo dello spettatore, di conseguenza, diviene simile a quello del giornalista di guerra, il quale non deve avere ideologie o bandiere ma solo registrare gli eventi. Con la differenza che assistendo ad uno spettacolo di fiction, si arriva allo spaesamento totale e si finisce davvero per non capire l'effettiva drammaticità di quanto a cui si assiste.



Drammaticità che risulta anche stranamente pacata. Non siamo certo di fronte alla brutalità di tanto cinema di guerra, moderno o meno moderno che sia. Eppure, le atrocità che Garland mostra riescono in parte a risaltare perché, con una scelta davvero spiazzante, decide di affidarle non tanto alle truppe governative, quanto alle WF. 
Si resta così sconcertati nel vedere soldati in uniforme dai capelli colorati e le unghia laccate perpetrare quelle nefandezze solitamente associate ad una forma di mascolinità "tossica", come tanto di moda va da dire negli ultimi anni. Il perché, poi, di tale scelta è nuovamente misterioso. Forse Garland è cosciente di come la violenza sia pur sempre violenza, a prescindere da chi la perpetri e del perché. O forse vuole proprio rimarcare che i modi e gli strumenti usati da quella sinistra mossa dai migliori intenti possa tranquillamente sfociare nell'orrore, non è dato sapere di preciso.
La mancanza di giustificazioni al conflitto porta anche a tale ambiguità, forse voluta, forse no, la cui unica certezza in merito è l'incertezza dominante nella mente dell'autore, che evidentemente vuole porsi al di sopra di tutto e di tutti, nonostante negli anni passati si sia sempre apertamente schierato con l'estrema sinistra americana e i suoi eccessi. Tanto che alla fine sembra quasi che non voglia dare input sulla base del conflitto per evitare di offendere qualcuno, piuttosto che per pura pigrizia.




"Civil War" resta così un saggio riuscito solo in parte e solo nella sua parte di più facile accettazione. Gli elementi più scomodi vengono tirati in ballo, ma mai approfonditi, mai chiarificati, mai trattati con la serietà necessaria per risultare davvero convincenti.
Alla fine, restano solo, per l'appunto, le immagini, quella visione della presa di D.C. che riesce davvero a colpire nel profondo anche se non si è americani. E che si spera, non si riveli come profetica.

sabato 20 aprile 2024

Il 20/04 alle 04:20 ci strafumiano, ovvero: perché proprio oggi ci ricordiamo di Cheech e Chong

C'è questa cosa che ogni buon signore ha tipo la sua festa preferita, quella che l'aspetti tutto l'anno e quando arriva sei felice come una pasqua anche più che a Pasqua.

Tipo, la mia donna è una goth persa, una che va in giro solo con la gonna di pelle, le calze a rete mezze scassate, gli anfibi che manco la 102ma aviotrasportati ai tempi del Vietnam e quindi è normale che la sua festa preferita è Natale.

Che quando l'ho saputo pensavo che mi prendeva per il culo o che tipo nella sua lingua, che dovrebbe essere un dialetto italiano parlato da qualche parte tra la Campania e la Calabria, Natale significa Halloween o che tipo lo festeggia il 2 novembre, invece no, arrivato dicembre mi diventa carina e coccolosa e anzicché legarmi al letto e violentarmi come fa di solito, si mette a fare i regali agli amici e pure il volontariato, signora mia non ci è + religione!!!!11!1!!!1

Anyway, io pure c'ho una festa preferita.

E no, non è Halloween, anche se il 31 ottobre ci riuniamo con gli amici per cercare di evocare Lovecraft in salotto e puntualmente ci sbagliamo e evochiamo Alan Moore che ogni anno ci manda affanculo.

La mia festa preferita è il 20 aprile.

E voi direte: zio Spaulding, ma ti sei rincoglionito? Il 20 aprile non si festeggia niente! I calci in culo ai fasci si festeggiano il 25!

No, cari bambini, quello che voi non sapete è che il 20 aprile è la festa più bella mai fatta.

E' la festa della Marijuana.

E io amo Marija.


Ma no, zio! E' per uso personale!



Perché amo Marija?

Perché mi rilassa, perché mi tira su, perché mi vuole bene e non mi tradisce mai.

Ma soprattutto perché quando ero neonato e non dormivo, lo zio Drugo non faceva come tutti i buoni genitori e mi passava sul coso del gas della cucina per rincoglionirmi e farmi addormentare, ma come tutti i degenerati mi sfumacchiava in faccia il suo bel cannone e da allora ho capito che quello era il profumo della vita.

E ora vi chiedete perché proprio il 20 aprile ci fumiamo.

Semplice, perchè il 20 aprile c'era sta cosa di una leggenda metropolitana iniziata ovviamente negli anni 70, ossia quel decennio che se non ci stava la marija e gli acidi sarebbe stato una palla come gli altri.

Nel 1971 o giù di lì in un paesello della California (e dove sennò?) che mi apre si chiamava San Rafael, inizia a diffondersi la leggenda metropolitana (leggenda metropolitana in una leggenda metropolitana, ossia leggendametropolitanaception) che ci sta un campo abbandonato di marija.

La voce non sfugge ovviamente ai regaz di un liceo, che quindi decidono di andarlo a cercare.

Che poi ve lo immaginate a trovare un intero campo di marija a tipo 16 anni? Roba che poi manco ti serve più la figa.

Comunque, questi simpatici giovinotti si riuniscono alla fine delle lezioni, ossia alle 16:20, ossia alle 04:20 perché in America sono convinti che i giorni durano 12 ore x2 e non 24.

E ovviamente per rendere la ricerca più ganza si portano dietro la ganja, con l'ovvio risultato che sto campo non lo trovano anche perché forse esisteva solo nelle loro teste fumanti.

Un fallimento?

Ma anche no, visto che nel frattempo hanno passato un sacco di tempo insieme a fumare.

Resta quindi sta cosa di vedersi alle 04:20 per fumare tutti insieme appassionatamente.

Ora, San Rafael è anche dove più meno ci stavano i Grateful Dead, ossia quel gruppo che più di tutti odorava di spinello in quegli anni... immaginatevelo se ci riuscite, che magari uno oggi pensa a una band che si chiama Grateful Dead e pensa a degli emo Gen Z debosciati, invece i Grateful Dead erano una roba così:


Gli emo se li sono fumati


La gente che andava ai concerti dei Grateful Dead ha cominciato a tirare fuori sta storia delle 04:20 e nelle turné loro l'hanno diffusa in tutta Ammerrega.

E quindi fumare alle 04:20 diventa una specie di rito un po' per tutti.

Persino 420 diventa il termine per dire di fumare.

E quando i Grateful Dead iniziano a diventare famosi anche nel resto del mondo, 420 diventa internazionale.

Ed è per questo che oggi vedete i meme con la scritta 420 e la marija.












Che poi non ho mai capito perché i meme sono tutti sul mio amico Snoop Dogg e non su Cheech e Chong.

Come chi sono Cheech Chong?

Vi siete già sfatti?


eccheli!

Forse vi ricorderete di loro perché stavano in una puntata dei Simpson dove Homer si univa a loro per fare gli sketch sulla marija, o forse no perché era tipo nella 22esima stagione e chi se li inculava più i Simpson allora.

O forse vi ricordate di loro quando vi ho parlato di Bill e Ted.

Cheech e Chong sono quello che sarebbe successo a Franco e Ciccio se fossero nati in California e non Sicilia e anzicché essere due terruncelli allampanati fossero stati due hippie perennemente strafatti.

E Cheech forse ve lo ricordate perché poi negli anni '90 faceva il messicano in praticamente tutti i film

Anyway.

Cheech Marin e Tommy Chong sono un duo comico che qui in Italia ce li sia inculati giusto di striscio, ma che in America faceva scintille con e senza l'accendino, ma negli anni '70.

E hanno una storia personale che levati.

Cheech fino a 18 anni era tipo lo studente modello che prendeva tutti 10 e andava alla Messa la domenica, che l'unica cosa strana che faceva è che oltre a studiare raccontava pure le barzellette. Poi come tutti noi è arrivato all'uni e ha scoperto le canne e non è più stato lo stesso.

Chong è figlio del figlio di immigrati cinesi in Canada, ma ha madre canadese, ecco perché non sembra. Ma siccome anche in Canada erano razzisti di merda (spoiler: in realtà lo sono ancora, ma se glielo dite vi cancellano) lo emarginavano e lui ha tipo cominciato ad andare in giro con gli hippie perché suonava la chitarra in un gruppo blues che aveva pure successo.

Succedeva che Cheech scappa in Canada per non andate alla naja in Vietnam, Chong viene cacciato dal gruppo e va a lavorare in uno stip-club che aveva aperto il padre. Tutti e due iniziano a sentire parlare dei comici di Second City di Chicago e diventando degli stand up comedian, riscuotendo un buon successo in giro per il grande nord.

Fortuna vuole che si incontrano e scoprono di avere tante cose in comune, tipo l'odio per i razzisti di merda, gli amici fattoni e la passione per la marija.

E quindi SBAAAAM formano un duo comico che fa faville.




Succede che girando per i locali con i loro numeri hanno successo. Ma parecchio successo.

E qui arriva Lou Adler che decide di darli una possibilità e farli registrare un album, che all'epoca cari nipoti non c'era mica TikTok e quindi si facevano gli album con cui i comici facevano conoscere le loro battute al mondo.

Lou Adler, per intenderci, è anche quello che ha prodotto il rocky horror show, quindi potere immaginare che tipo di riunioni facevano e come volevo starci pure io.

Comunque, l'album ha successo e Checch e Chong diventano un fenomeno, fanno i tour anche in America e la gente li ama.

E quindi Adler decide sai che? Mo' li facciamo fare un film, tanto se lo possono fare quelli del Saturday night live e quelli di Mad magazine, perché loro no?


"Due hippie entrano in un caffé... e se lo fumano"


Il primo film si chiama Up in smoke, a dire che sono fatti e spendono tutto per l'erba. E tipo ha una storia produttiva che levati.

Cioè, è successo in pratica che Adler firma un contratto con la Paramount, ma quei bigotti dei dirigenti vedono un primo montato e dicono fanculo, io me la squaglio. 
Adler allora compra il film di suo portafoglio dallo studio e finisce la post, fa i test screening e tutti ridono come cretini che perché piace, allora la Paramount torna e dice qualcosa tipo ma no, stavamo a scherzà! e riacquista il film e lo distribuisce.

E tipo costato meno di un milione ne incassa quasi cinquanta e Cheech e Chong iniziano a fare una pletora di film, che si chiamano next movie (che non sapevano come chiamarlo), nice dreams (che arriva pure in Italia), still smokin, thing are though all over che tipo oggi vallo a cercare e poi the corsican brothers che è na cosa molto particolare.

quando la locandina ti dice già tutto


A questo punto dovrei fare l'elenco più dettagliato dei film di Cheech e Chong, dire di che parlano, citare qualche battuta, fare qualche battuta io per farvi ridere e dare un parere, che poi è il motivo per cui leggete sto articolo.

Solo che no, a sto giro no.

Perché vedete, i film di Cheech e Chong sono particolari. 

Ma parecchio particolari.

E non solo the corsican brothers, che è il particolare tra i particolari.

Sono particolari perché se ve li guardati quando siete fatti sono belli e ridete come bambini.

Se li vedete da lucidi vi abbottate le palle per la noia.

I film di Cheech e Chong non c'hanno la storia e manco i personaggi.

Che Cheech fa Cheeech anche se a volte si chiama Pedro, Chong fa Chong anche se a volte si chiama Man, che manco c'aveva voglia di chiamare il personaggio.

Cioé, sono proprio sempre li stessi personaggi, li stessi che facevano negli sketch, solo che nei film non fanno nulla.

Vi ricordate quando vi dicevo che erano come Franco e Ciccio? 

Beh ho detto una cagata, perché Franco e Ciccio nei loro film qualche pezzo di storiella se la inventavano.

I film di Cheech e Chong sono tutti dei collage di scenette con loro due che cazzeggiano.

E loro due hanno pure la simpatia e il ritmo comico, ma i loro sketch non fanno ridere.

Cioè, da fatti si, ma da sobri al massimo fate un sorrisetto stentato.

Questo lo so perché li ho sempre visti da fatto e ho riso.

Poi tipo qualche anno fa ne ho visto da lucido e ho detto: "Minchia, ma che cazzo ci ridevo?"

Quindi qualche giorno fa per prepararmi alla rivisione di tutti i loro film per prima cosa mi sono imbacuccato di fumo e erba per entrare nel mood giusto.

Però è successo che ero troppo fatto e ho deciso di vederli tutti uno dietro l'altro e sono diventati tipo un unica sbobba di scene che non ho capito dove stava una, dove n'altra e dove n'altra ancora e non saprei dire quale era up in smoke e quale nice dreams, per dire.

Quindi facciamo così, ora mi ci metto e cerco di dare una descrizione di qualche scena, così magari mi capite meglio.

C'è tipo up in smoke comincia con Cheech che come tutti noi si sveglia che non capisce un cazzo perché magari la sera prima si è fumato e quindi sta talmente fuori che piscia nella cesta della roba sporca.

Chong invece come nessuno di noi è ricco sfondato e a trent'anni vive con due genitori ricchi da fare schifo, quindi piglia la macchina e va per caricare due sbarbine ma finisce fuori strada e poi incontra Cheech e i due si fanno un cannone gigagalattico.


tromboni fantastici e dove trovarli


Poi da qualche parte c'è tipo una scena dove fanno il telethon però per salvare chi produce la ganja e tutta la roba psicotropa che ci piace assai e quindi Cheech fa il presentatore e Chong fa l'ospite famoso che ogni tanto esce e tipo il tizio più simpatico è il  campione mondiale di seghe che quando l'ho visto mi ha ricordato quando avevo tipo 15 anni, soprattutto per l'apparenza.



letteralmente io


Poi c'è ne tipo uno dove c'è la buon anima di Paul Reubens che fa Pee Wee Herman. Cioè, fa tipo il tizio di un albergo che tiene sulle palle Cheech e Chong, ma poi si scopre che è Pee Wee Herman perché si chiama proprio così e si presenta a fare il comico in un night con il papillon rosso e la giacca grigio chiara e sfancula Cheech e Chong.

Ed è tipo la prima apparizione di Pee Wee, che all'epoca non ci stava ancora il film di quel deboscia di Tim Burton, ma manco lo show televisivo, quindi è tipo il primo Pee Wee Herman di sempre.



Pee Wee Herman Begins


Poi tipo in un altro film sempre Reubens fa il cocainomane strafatto che sembra uscito da Trainspotting, che però si porta dietro quella gnoccona della ex di Cheech.

Tipo però nel film prima Cheech stava con sta gnoccona e se la bombava all'ufficio per avere la disoccupazione, mentre fuori stava Chong insieme al tizio che faceva i rumori in scuola di polizia che pure qui fa i rumori.


quando la polizia ancora non assumeva


Che poi sempre lui mi pare che fa anche l'imitazione di Jimi Hendrix in un altro film.

Comunque tipo sempre nello stesso film Cheech passa tutto il film ad aspettare la tipa gnoccona e Chong se ne va in giro con il cugino di Cheech che è praticamente lui con la parrucca da vichingo scappato di casa.


appropriazione culturale


Quindi Chong e Cheech capellone finiscono tipo a casa di una famiglia ricca non sanno manco loro come e poi nel night dove incontrano Pee Wee e dove non-Cheech tocca il culo ad una wrestler tettona che spacca tutto e tutto il film finisce con questi che vengono rapiti dagli alieni poi Chong torna da Cheech che sognava di sacrificare la tipa bona a Quezalcoatl però poi si sveglia e Chong gli da la bamba degli alieni e tutti finisce così


da fuck am I watchin?


Poi c'è che a na certa stanno ad Amsterdam che Cheech e Chong non ce li mandi lì?
Ma comunque stanno lì perché non sono tipo Cheech e Chong i personaggi ma proprio Cheech e Chong quelli veri anche se sono sempre dentro il film e quando arrivano li scambiano tutti per Burt Reynolds e Dolly Parton, ma poi perchè?
Perché va bene che Cheech c'ha pure lui il pornobaffo, ma come fai a scambiare Chong per le gigapoppone di quella santa donna di Double Dolly?


Burt Reynolds e Dolly Parton


Poi c'è tipo ad un certo punto che finisco in manicomio e incontrato Timothy Leary che fa il medico e li fa sballare ma non hanno una visione mistica e non diventano profeti, quindi Timothy Leary diceva minchiate e Jodorowsky c'aveva ragione a tenerlo sulle palle


"Mi hai sgamato!"


Poi c'è tipo che trovano un furgone di marija. Ma non un furgone di pieno di marija, ma proprio fatto di marija e ci cominciano a girare e tipo piglia fuoco e fa fumo e chiunque si avvicina si sballa, compreso un poliziotto tipo Chips che poi si rincoglionisce.


"Signori vi presento la cuccamobile!"- cit.


Poi tipo, mi sembra sempre in up in smoke, ci sta Stacy Keach che fa la guardia cagacazzo che li deve arrestare ma non ci riesce e si sballa con il furgone e tipo qualche film dopo lo troviamo che fa sempre la guardia ma è tipo diventato un hippie pure lui, che si fa i cannoni in ufficio e guarda pure i pornazzi e alla fine ne fuma talmente tanta che diventa tipo l'uomo iguana delle fogne di New Orleans.


Cronenberg quando fuma


Poi ce ne era uno tipo dove a un certo punto facevano tutti gli stereotipi razzisti, ma na roba che a farla oggi la Disney ti fa arrestare e c'è tipo Cheech che fa il wrestler giapponese e Chong che fa il wrestler italiano che si capisce che è italiano perché ha i peli dell'uccello stile disco afro anni '70.


l'asse Roma-Tokyo

Ma poi c'è tipo Chong che fa pure la blackface quando fa un chitarrista blues rincoglionito che ha tipo 156 anni ed è na roba che non mi ha mai fatto ridere manco da fatto e non perché sono un pallemosce woke ma perché davvero non si capisce cazzo c'è da ridere.

Poi tipo a una certa vanno ad un concerto e Cheech sta una gnoccona con le poppone che però non è ancora la gnoccona con le poppone sua ma una bionda, mentre Chong sta tipo con una cessa che pare na drag queen, però stanno tipo nel furgone e sta tipo inizia a raccontare una storia e a fare casino e sembra che trombano e tutti fuori pensano che trombano anche se invece Chong stava tipo dormendo.


tipo le veline, ma con una cessa


Ma poi tipo sempre nello stesso film sta che Cheech che va dal cugino che è tipo Tom Skerritt che era appena sbarcato dall'aereo dall'Italia dove faceva Joe e Margarito e stava per salire sulla Nostromo per fare Alien, ma che qui fa tipo il reduce del Vietnam fattone che a na certa sbrocca.


"Cuggì, Roma nord è come er Vietnam!"


E poi bò, ci sono pure tante altre scene belle che però poi adesso non mi ricordo, ma avete capito.

Cioè, se non avete pretese i film di Cheech e Chong vi fanno pure simpatia. 

E se siete fumati vi fanno pure ridere.

Però, come dire, so' sgangherati. 

Ma non quello sgangherato simpatico stile Troma, proprio quello sgangherato che tipo dici che se li avessero fatti per gente che non fuma, il livello è quello di un cinepanettone, anche se loro sono simpatici davvero e non simpatici come un'emorroide infiammata come gli attori dei cinepanettoni.

E poi è successo che niente, come tutti i duo di successo pure loro sono scoppiati. 

Cioè, scoppiati davvero, non che si sono presi una botta particolarmente forte.

Chong lo ha ammesso che è sempre stata colpa sua che aveva un po' le manie di protagonismo, che poi è per questo che i film ha iniziato a scriverli e a dirigerli lui.

Poi però, prima di scoppiare del tutto, fanno un ultimo film che è sto the Corsican brothers ed è una cosa che non ho mai capito, ma manco tipo da strafatto.

tipo Franco e Ciccio, ma peggio


Cioè tipo i fratelli corsi è un romanzo di Alexandre Dumas, quello dei tre moschettieri e Chong decide che vuole farci un film, però una commedia cazzona e non un film di avventura.

Che mi immagino il dialogo, qualcosa tipo:

"Bella, Checch, ma se facciamo un film diverso?"

"Chong non scassare, che sti film li fai tu ma mò non mi vuoi pure venire a fare l'autore impegnato"

"No, no, facciamo sempre la commedia caciarona, però ci mettiamo i costumi d'epoca e la musica stile Barry Lyndon e pigliamo la storia da romanzo che mi sono letto quando non ero fatto e ho pensato che se lo leggevo da fatto ridevo come il coglione".

Dialogo che viene sentito dai produttori che li danno bei soldi e Chong per una volta può dire di avere un film che non è solo una sequela di gag senza senso.

a destra: il senso del film


Solo che lo è, visto che dal romanzo riprende praticamente solo l'idea che ci sono due fratelli nati in Corsica che sentono il dolore dell'altro. Cioè, che se picchi uno non si fa male lui ma il fratello.

E che sono Cheech e Chong, ma tipo fin da bambini, che già quando nascono sono loro, nà roba che quando la madre li vede se ne scappa.

Poi boh, vi giuro io il film l'ho visto, ma è talmente meh che non mi ricordo na mazza.

Mi ricordo che stava un cattivo chiamato Fuckier che faceva pure il travello però niente era fico come il Rocky Horror e che Chong a na certa entrava in scena sempre sfondanto una finestra attaccato a una fune.

Poi tipo che il film inizia con loro due che stanno a Parigi e Cheech fa tipo Elvis mentre Chong fa il metallaro e arriva Rae Dawn Chong che non è la sorella di Tommy ma quella che faceva la hostess bona che sparava con il lanciamissili in Commando e che qui fa la zingara che racconta la storia dei fratelli a Cheech e Chong, per qualche motivo.

Ma davvero non ho capito la necessità di tutta sta cosa.

Che se veramente vuoi fare una cosa diversa è ok, ma così mi pare come quando De Sica ha fatto Amici miei però nel Rinascimento e non faceva ridere.


non proprio Rocky Horror


Quindi, il duo scoppia e Cheech e Cong vanno per la loro strada.

Nel 1986 circa quel mattacchione di Tom McLoughlin scopre che alla Paramount hanno i diritti dei loro film e chiede se può fare Cheech e Chong contro Jason, tipo quando fecero Gianni e Pinotto contro Frankenstein, ma alla Paramount ce l'avevano piccolo (il cervello) e gli dicono di no, ma io credo che gli hanno detto di no perché il mondo non era pronto per una cosa così figa e so che c'è un universo dove esiste ed è tipo l'universo dove le donne sono pure più belle e la ganja è pure più buona.

non eravamo ancora pronti


Cheech diventa il messicano in tutti i film, Chong si ritira a vita privata.

I due amici diventano estranei per gli screzi e gli scazzi, ma si sa che quando un'amicizia è vera queste cose non durano.

I due si riappacificano e già nei primi anni 2000 si parla di un loro ritorno come duo, ma per più di dieci anni sta cosa non succede.

Poi quando succede, torna pure il successo e fanno pure un film d'animazione.


Rick & Morty scansati


Vanno in giro per la America in tour e finiscono pure nei Simpson.

Tommy Chong finisce pure a interpretare Tommy Chong nel colore venuto dallo spazio.

Oggi i due hanno un'ottantina d'anni e lavorano ancora.

E fumano ancora

Chong ha sconfitto non uno ma due tumori e solo per questo merita tutto il rispetto di questo mondo.

Cheech quando non sta in coppia con lui fa il messicano in qualche film.

E li vogliamo tanto bene a tutti e due.

Come?

Questo special è più corto e meno a fuoco del solito?

E' normale, oggi è il 20/04 2024 e sono fatto!

Per questo vi auguro un buon 420!


keep on roLLing!


mercoledì 17 aprile 2024

Una Bella Grinta

di Giuliano Montaldo.

con: Renato Salvatori, Norma Bengell, Nino Segurini, Marina Malfatti, Dino Fontanesi, Raffaele Triggia, Iginio Marchesini, Gino Agostini, Brenno Baratella.

Drammatico

Italia 1965

















Ottenuta (nel bene e nel male) l'attenzione di critica e pubblico con "Tiro al Piccione", Giuliano Montaldo si ritrova per qualche motivo a dirigere pellicole exploitation per un paio d'anni. E' in tale periodo che firma con lo pseudonimo di Elio Montesi il documentario pruriginoso "Nudi per Vivere", così come un episodio del piccante "Extraconiugale".
Dovrà attendere fino al 1965 prima di potersi dedicare ad un'opera congeniale, quando dirige "Una Bella Grinta", dramma umano e lavorativo che lo porta a confrontarsi con gli effetti dell'allora imperante boom economico.



Ettore Zambrini (Rentato Salvatori) è un piccolo imprenditore del settore tessile con grandi aspirazioni. Strozzato dai debiti regressi, è pur pronto a farne di nuovi per espandere la sua attività. Nel frattempo, la moglie Luciana (Norma Bengell), da cui si era separato qualche tempo prima, sembra volersi riavvicinare, ma continuando al contempo una relazione extraconiugale...




Due tracce narrative eterogenee: da una parte lo spaccato del mondo della piccola imprenditoria, dall'altra il melodramma della gelosia, talvolta declinato come un noir.
Montaldo usa due storyline per creare un unico ritratto, quello di un uomo caparbio, "grintoso", che non si arrende davanti a nulla pur di arrivare al successo. Non un arrivista in senso stretto, quanto il tipico italiano volenteroso di espandere i propri averi e orizzonti, volendo al contempo mantenere i rapporti famigliari.
Zambrini, in tal senso, è una figura riuscita, quasi empatica visto anche il carisma di Salvatori: un uomo che viene dal nulla e che vuole una fetta della ricchezza che in Italia si sta finalmente generando. La rivalità in amore diventa così una metafora delle pressioni sociali e economiche che è costretto a sopportare.
Pressioni che hanno la forma degli strozzini, quei ricchi "dai capelli bianchi" pronti ad approfittarsi del parvenu per spennarlo selvaggiamente. Il rivale, viceversa, è un giovane, un ragazzo che che come il protagonista ha una sana voglia di vivere.
Montaldo non patteggia per Zambrini, ne descrive la lotta e il trionfo con distacco cinico, limitandosi a dipingerne le gesta per lasciare al pubblico ogni giudizio. Un personaggio che in ultima analisi è negativo, ma la cui storia è senz'altro drammatica.



La commistione narrativa talvolta funziona, talaltra meno. Di certo la mano dell'autore riesce a dar vita a sequenze interessanti, come quella dell'inseguimento per i vicoli di Bologna, reminiscenza di tanto cinema di genere americano e non. Ma l'insistere in una storia di tradimento e crimine finisce per l'ingolfare il ritmo a tratti in modo troppo marcato; tanto che la descrizione della rivalità con gli altri imprenditori e di quelle figure volitive resta davvero la parte più riuscita di tutto il film.
"Una Bella Grinta" mostra quindi il lato di un'ambizione non sorretta da un'esecuzione adeguata, ma rimane lo stesso un'operazione convincente. Montaldo tenterà di replicarla decenni dopo con "L'Industriale", aggiornando storia e personaggi all'Italia del XXI secolo, con esiti questa volta disastrosi.