venerdì 4 marzo 2022

Il Padrino

The Godfather

di Francis Ford Coppola.

con: Marlon Brando, Al Pacino, Diane Keaton, James Caan, Robert Duvall, John Cazale, Talia Shire, Richard Castellano, Al Lettieri, Abe Vigoda, Sterling Hayden, Alex Rocco, John Marley, Richard Conte, Al Martino, Gianni Russo, Morgana King, Franco Citti, Simonetta Stefanelli, Saro Urzì, Angelo Infanti, Corrado Gaipa, Joe Spinell.

Gangster/Drammatico

Usa 1972









"Quel film ["Il Padrino"] mi ha rovinato. Mi ha rovinato nel senso che ha avuto talmente tanto successo che tutto quello che ho fatto dopo è stato paragonato a quello". Queste recenti parole di Francis Ford Coppola incapsulano perfettamente quello che è il suo rapporto con il suo film più celebre. Un film che adora, ma non ama, che lo ha lanciato nell'olimpo degli autori di Hollywood e ha contribuito a ridefinire la stessa industria del cinema, ma che per forza di cose non potrà mai prendere il posto di "Apocalypse Now" né come esperienza personale, nè come importanza o anche solo come bellezza.
Forse quella del "Padrino" è davvero stata una piccola maledizione che ha condizionato il modo in cui il pubblico si è approcciato al cinema del grande autore di Detroit. Perché a parte il "Dracula" del '92 e i seguiti stessi del primo film, lui stesso non è riuscito a replicare il successo di pubblico di questo suo primo grande exploit. Il che è, al solito, ironico, se si tiene conto della genesi del film.


Fresco di diploma all'UCLA, Coppola era parte di quella generazione di cineasti che avrebbe ben presto sconvolto Hollywood (assieme all'amico e allievo George Lucas, oltre che John Milius, Brian De Palma, Steven Spielberg e Martin Scorsese). Diretti i primi lavori su commissione (tra cui spicca il piccolo cult "Terrore alla 13ma Ora" per il mitico Roger Corman), fonda la American Zoetrope, piccola casa di produzione che, nelle sue speranze, gli avrebbe permesso di emanciparsi dallo studio system, di produrre indipendentemente tutti i film che avrebbe voluto e, soprattutto, come avrebbe voluto. Il che lo porta alla produzione di "THX1138" per Lucas e del bel "The Rain People", da lui stesso diretto e che ottiene anche un buon riscontro.  Ma la fortuna, si sa, talvolta è beffarda: è solo grazie alla sceneggiatura di "Patton, Generale d'Acciaio" che Coppola raggiunge il vero successo, aggiudicandosi persino un Oscar.
Il che lo porta nel radar della Paramount, all'epoca in forte crisi e alla disperata ricerca di un successo, dove il produttore Albert Ruddy decide di affidargli la trasposizione del best-seller di Mario Puzo "Il Padrino", originariamente pubblicato nel 1969 e rivelatosi come un inaspettato successo.



L'intenzione originale della produzione era di aggiornare il setting del romanzo agli anni '70, in modo da risparmiare su costumi e scenografie. Ma Coppola aveva le idee chiare e decise di lasciare intatto in periodo temporale, situato tra il 1945 e i primi anni '50.
La frizione con lo studio aumenta in sede di casting: la produzione non vuole Al Pacino in quello che è praticamente il ruolo del protagonista, giudicato inadatto anche a causa della sua bassa statura. Coppola passa così in rassegna praticamente tutti gli attori di Hollywood, tra cui Martin Sheen, Robert De Niro e Jack Nicholson e arriva finanche a caldeggiare la possibilità di affidare il ruolo a James Caan, già reclutato nel ruolo di Santino, ma fortunatamente riesce a spuntarla.
Stessa cosa accadde con il ruolo di Don Vito Corleone: inizialmente l'autore vuole James Cagney, in modo da crea un ponte ideale con i gangster movie classici della Warner bros. degli anni '30 e '40, ma il grande attore è costretto a rifiutare a causa dell'avanzata età. Pur vagliata la possibilità di affidare il ruolo ad Orson Welles, Coppola crea lo stesso una shortlist di attori che viene rigettata dallo studio, tant'è che arrivò a porre un ultimatum: o Laurence Olivier o Marlon Brando, con una preferenza per quest'ultimo. Pur riluttante, Ruddy accoglie la proposta di Brando, ma la star all'epoca attraversava un periodo di stanca nella sua carriera e non poteva certo vantare la fama dei tempi della Vecchia Hollywood; tanto che Coppola, per ottenere il via libera definitivo, compì l'impensabile e lo sottopose ad un provino; strategia che si rivelò vincente: ottenuto il casting il Brando, il resto, come si suol dire, è Storia.


"Il Padrino" esce nelle sale americane il 14 Marzo 1972 (e il 14 Settembre in Italia) con una strategia distributiva in parte inedita: anzicché far partire il tour distributivo da New York o Los Angeles per poi portare la pellicola nel resto del Paese, questa esce in contemporanea praticamente in tutta la nazione, garantendo introiti alti sin dal primo momento (cosa che era stata fatta in precedenza solo per i film della serie di "Billy Jack", i quali erano però pellicole di serie B); gli incassi sono stratosferici, le critiche acclamano il film come un capolavoro e quelle immagini e quei personaggi si imprimono sin da subito nella memoria collettiva.
Cinquant'anni dopo è ancora più semplice, forse, spiegare la grandezza del film di Coppola.


Alla sua base, quella de "Il Padrino" è una trama da tragedia classica, una storia concernente il potere, chi lo detiene e chi è chiamato ad ereditarlo; la storia di una famiglia, di un padre e un gruppo di figli, di un uomo che, pur riluttante, si ritrova a dover difendere il proprio sangue e ad intraprendere una vita che non ha mai davvero voluto.
Il paragone con la tragedia non è un caso: se nel passato questa era sempre la rappresentazione del rapporto tra l'essere umano e il potere che la società gli ha consegnato, il gangster movie è, bene o male, sempre stato foriero di una rappresentazione simile, quella dell'uomo che vuole riscattarsi, rialzarsi dal fondo a cui la società lo ha relegato per ascendere al potere, con tutti i conflitti e le lotte, interiori ed esterne, che ciò comporta. La scrittura di Mario Puzo non fa altro che espandere questa tematica, trasformandola in una saga che, poi al cinema, diverrà epica, la storia di un uomo in perenne conflitto con ciò in cui crede e che tenta di legalizzare la sua posizione nella società.


Non è un caso, forse, che il potere abbia ora le forme della criminalità organizzata, appunto quei "parveneu" che a partire dai primi del Novecento sono riusciti ad emanciparsi dalla miseria tramite la violenza, come i primi eroi del passato. Ed è facile, così, vedere nell'opera di Coppola e, prima, in quella di Puzo, una forma di "romanticizzazione" della figura del gangster; il che è in parte anche vero: Vito e Michael sono due uomini dotati di valori morali alti, quali l'onore e l'amore per la famiglia ed è anche questa loro indole idealista che li porta a scontrarsi con il prossimo. Ma né Coppola, nè Puzo arrivano mai ad idealizzare tali figure, che restano sempre e comunque descritte come assassini, le cui mani sono sporche del sangue anche di innocenti, persino di loro famigliari. Da qui una rappresentazione che, più che romantica, appare complessa e stratifica e che si attaglia, in parte, alla percezione di Cosa Nostra che si aveva all'epoca della pubblicazione del romanzo, prima dell'avvento della violenza spicciola dei clan, prima della Mattanza, prima dello scontro frontale con lo Stato.
Il che, paradossalmente, non ha neanche evitato alla produzione grattacapi con la vera mafia: girando il film nella New York delle Cinque Famiglie, Coppola è dovuto giungere ad una paio di compromessi; il primo, più famoso, è consistito nel divieto dell'uso delle parole "mafia" (anche se nel montaggio che descrive le stragi della guerra tra famiglie, appare la parola "Mob", sinonimo di mafia) e "cosa nostra" nei dialoghi. Il secondo, più particolare, nel casting di Gianni Russo, reclutato per il ruolo di Carlo Rizzi, il marito di Costanza, il quale all'epoca pare avesse diversi agganci nella criminalità organizzata newyorkese.


Il dramma del potere de "Il Padrino" prende le mosse da un evento specifico, ossia la richiesta di foraggiare il business dei narcotici; il che non è un caso: la droga è il futuro, il mezzo che ha permesso alla criminalità organizzata di tutto il mondo di raggiungere un potere pressochè assoluto e che, nelle parole degli stessi personaggi del film, ha alienato da loro anche il consenso del potere politico. Il modo in cui ciascun membro della famiglia Corleone reagisce alle conseguenze del diniego è la perfetta conseguenza della "maschera" che essi rappresentano.
Don Vito è il passato, la tradizione, un boss dotato di valori, i quali sono minacciati, anche se solo in senso lato, dalla droga. Ancorato ad un sistema oramai desueto, trova la sua fine ideale con la violenza dei nuovi arrivati e si ritrova costretto a lasciare lo scettro del potere ai figli.
Michael è, idealmente, una versione moderna di suo padre, un uomo silenzioso, freddo, che non lascia trasparire nulla di sé, ma che comprende l'importanza di ogni situazione. Santino, d'altro canto, è il suo opposto, un uomo irascibile e avventato, il lato più ruvido della persona del gangster (anche se una sottotrama tagliata in fase di montaggio lo vede inizialmente riluttante ad accettare il ruolo del boss). 
Tom Hagen, il figlio adottivo, è quasi uno spettatore passivo degli eventi, un consigliere che può solo reagire ai fatti, senza mai davvero avere il potere di intervenire sugli stessi. E se Fredo è il semplice anello debole, Costanza, in questo primo capitolo, è un personaggio del tutto ancillare, una donna che si ritrova a convivere con la violenza in casa, suo malgrado. E a dare corpo a questa ensamble di maschere tragiche, un cast di attori all'epoca sconosciuti, ma che di lì a poco sarebbero diventati i signori della Nuova Hollywood, capitanati da un Al Pacino magnetico, sempre tra le righe, pacato, la cui determinazione emerge dallo sguardo profondo e dai modi fermi. Un'interpretazione semplicemente magnifica, che fa uno splendido paio con quella di Brando, più costruita ma al contempo incredibilmente naturalistica, tanto che la nomea di "miglior personaggio della Storia del Cinema" di Don Vito Corleone è forse davvero meritata.


Già nel romanzo, Puzo reinventava la narrativa propria del gangster-drama ancorandola al romanzo classico. "Il Padrino" si avvicina così più al dramma famigliare (oltre che alla tragedia greca) che alla narrativa di genere. Il gangster-movie rinasce così come saga leggendaria che con il tempo trascenderà anche l'unità temporale raggiungendo vette epiche inusitate. 
Sempre Puzo ammise di non conoscere personalmente nessun mafioso, né di basso, nè di alto rango e che tutto quello mostrato nella storia è frutto di ricerche ad hoc, oltre che ispirato a personaggi reali.



Coppola ridefinisce il concetto di "classico". Il punto di ispirazione è dato dai gangster-movie degli anni '30 e '40, ma sia in fase di scrittura che di messa in scena il suo lavoro va oltre il passato, lo ricrea quasi da zero gonfiandone a dismisura i punti di forza più riconoscibili, plasmando qualcosa di incredibilmente tradizionale, ma al contempo incontenibilmente moderno. Il punto più riconoscibile di questo nuovo approccio alla tradizione è dato dall'uso del montaggio, che elide con facilità lunghi periodi di tempo e riesce ad incapsulare in neanche tre ore una storia complessa e articolata fatti di tradimenti e vendette. E, su di un piano di stretta messa in scena, questo è dato dal montaggio alternato del climax, la resa dei conti dei capi delle cinque famiglie intercalata con il battesimo del figlio di Connie, che spezza la linearità del racconto e lo rende più agevole e evocativo. Più classico è l'uso delle musiche, che sottolineano i momenti clou come tradizione impone; ma la bellezza melodica delle stesse le rende lo stesso indimenticabili.


Mentre tra modernità e tradizione è la bellissima fotografia di Gordon Willis (poi collaboratore fidato di Woody Allen); come nei noir d'epoca, le tenebre ammantano tutti gli interni, creando contrasti fortissimi con la luce e inusitati (all'epoca) per una pellicola a colori; il look è praticamente quello di un gangster movie aggiornato alla sensibilità degli anni '70, con immagini ricercatissime, dalla profondità spesso sbalorditiva: l'intenzione di Willis era quella di trovare un punto di vista interno ad ogni scena e posizionare la macchina da presa dove idealmente sarebbe potuto stare un personaggio; il risultato è una messa in scena al contempo naturalistica e raffinata, che costella la visione di immagini talvolta ipnotiche, benché sempre e comunque strettamente ancorate al racconto.


"Il Padrino" è il classico che incontra il moderno, il moderno che si fa nuovo classico. Un'epica travestita da puro gangster-movie, una tragedia famigliare gonfiata all'iperbole, realistico e al contempo universale nella descrizione dei personaggi e delle situazioni. Un capolavoro di stile e scrittura ancora oggi ammaliante ed incredibilmente coinvolgente.


EXTRA

Candidato a ben 11 premi Oscar, "Il Padrino" ne vinse giusto tre: miglior film, sceneggiatura (a Coppola e Puzo) e miglior attore a Marlon Brando. Questi decise di non partecipare alla cerimonia perché impegnato in una protesta contro il modo in cui nativi americani venivano ritratti al cinema ed in televisione; fisicamente impegnato in una protesta contro la chiusura di una riserva, il grande attore inviò una ragazza nativa, Sacheen Littlefeather (nome tribale di Marie Louise Cruz), appena diciottenne, che improvvisò un discorso basato su di una serie di appunti lasciati da Brando. Il caso, più unico che raro, passò alla storia dell'Accademy e permise di gettare luce sul maltrattamento di una categoria di Americani ancora oggi considerata di serie B.


Tuttavia, l'inquieto Brando non fu l'unico a contestare la cerimonia del 1973. Al Pacino, nominato come migliore attore non protagonista assieme a Robert Duvall e James Caan, non si presentò alla serata, offeso dal fatto che fosse praticamente il protagonista del film e di come questo suo status non fosse stato riconosciuto.

Impossibilitato a prendere parte a "Il Padrino- Parte II" perché impegnato sul set del coevo "Missouri" di Arthur Penn, Brando riprese il ruolo di Don Vito Corleone solo nel 1990... in un modo alquanto singolare. Nel film "Il Boss e la Matricola" ("The Freshman") interpreta Don Carmine Sabatini, nel film ispirazione usata da Coppola e Puzo per il personaggio di Vito Corleone.


Pellicola divertente, ma tutto sommato trascurabile, merita di essere vista solo per il modo "leggero" con cui il grande attore ripete lo stesso ruolo che lo ha consacrato all'immortalità.
L'ultima volta in cui il grande attore ha dato vita al suo personaggio più celebre, è stato per il videogame tratto dal film. Le battute inedite, registrate prima della sua morte avvenuta nel 2004, rappresentano di fatto la sua ultima performance.



Tra i vari epigoni e omaggi al personaggio di Don Vito, il più divertente è sicuramente dato dall'imitazione fatta da Ugo Tognazzi nel capolavoro "La Grande Abbuffata", in cui il grande interprete si diverte a parodizzare i manierismi di Brando.



Esordio assoluto per il compianto caratterista Joe Spinell, che interpreta, non accreditato, uno dei killer della famiglia Corleone durante la resa dei conti e che "arresta" il traditore Tessio nel finale.


2 commenti:

  1. Me lo sono rivisto da poco, post bellissimo su un film incredibile, sono banale ma davanti a tanta bellezza mi lascio travolgere ;-) Cheers

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non sei banale affatto, è il classico "film immenso" ;)

      Elimina