mercoledì 23 marzo 2022

RoboCop

di Paul Verhoeven.

con: Peter Weller, Nancy Allen, Kurtwood Smith, Miguel Ferrer, Ronny Cox, Dan O'Herlihy, Robert DoQui, Ray Wise, Paul McCrane, Felton Perry.

Fantascienza/Azione/Cyberpunk

Usa 1987

















Essere la perfetta metafora dello zeitgeist e al contempo una rappresentazione profetica del futuro non è certo uno status facile da ottenere per un'opera fantascientifica; le visioni futuribili, si sa, sono sempre influenzate dai tempi e dalle mode e possono spesso rilevarsi brillanti, ma improbabili. Eppure ancora oggi, a 35 anni dalla sua uscita in sala, il futuro di "RoboCop" è più vicino alla realtà di quanto si si voglia ammettere: megacorporazioni che fanno a gara per creare un prodotto in grado di ridefinire l'indusria mentre acquisiscono sempre più potere politico, con le grandi metropoli divenute i loro parchi giochi. Città industriali ridotte alla rovina dalla speculazione, con la microcriminalità che ne devasta le strade mentre la polizia, pur brutale, non riesce a mantenere l'ordine; la corruzione dilaga e persino il corpo umano finisce per divenire un prodotto da vendere, ultimo terreno di conquista di un capitalismo che cannibalizza tutto ciò che vuole. 




Se ieri tutto questo era pura fantascienza, oggi è realtà: proprio la città di Detroit si è desertificata a seguito della crisi economica del 2008 e, per ridare la speranza ai cittadini, una statua del Robopoliziotto di Verhoeven e soci è comparsa come simbolo di ottimismo per il futuro. I magnati delle corporazioni oramai giocano con il destino del mondo, mentre cercano di acquisire sempre più potere sulla vita delle persone, visto che quello politico è oramai loro garantito dalla forte influenza economica. Mentre il corpo, non ancora ibridato dalle lamiere degli arti cibernetici, è anch'esso strumento di scambio, nella realtà solo sul piano virtuale, unica novità che non era stata preconizzata nel film.
E pensare che una pellicola così influente e riuscita ha quasi rischiato di non vedere il buio della sala.




Tutto comincia da un'idea dello sceneggiatore Edward Neumeier; impegnato come aiuto sul set di "Blade Runner", immagina di rovesciare la storia del film: anzicché di avere un poliziotto umano che insegue dei criminali androidi, il protagonista di questa sua idea è un poliziotto cyborg che da la caccia a criminali umani, sempre sullo sfondo di una metropoli cyberpunk.
Idea che si appaia alla sua volontà di portare su schermo l'iconico Judge Dredd di John Wagner, ossia un tutore della legge intransigente e inarrestabile che persegue il crimine con pugno di ferro, in un mondo allo sbando. Ma la produzione dell'adattamento del cult della 2000AD si concretizzerà solo nel decennio successivo; Neumeier decide così di fondere le due idee e creare un proprio poliziotto di ferro, rifacendosi in parte anche al manga di Hirai Kazusama "8 Man": con l'aiuto di Michael Miner nasce così lo script di "RoboCop", subito venduto alla Orion Pictures, che dopo il successo di "Termiantor" fiuta subito il potenziale di un'altra pellicola sci-fi con protagonista un robot ultraviolento.
Comincia così la ricerca di un regista in grado di dare forma al concept. Tra tutti, l'unico che sembra interessato è niente meno che Monte Hellman, il quale però si defila all'ultimo momento dalla cabina di regia, restando ancorato alla produzione come regista della seconda unità e finendo per avere un ruolo attivo sul (caotico) set. 
Paul Verhoeven, all'epoca reduce dal suo esordio in lingua inglese "Flesh + Blood" del 1985, non è interessato: letto il titolo, a suo dire ridicolo, della sceneggiatura, finisce per gettarla letteralmente nel cestino dell'immondizia; leggenda vuole che sia stata sua moglie a convincerlo a recuperarla e leggerla. Accettato il ruolo di regista, l'autore belga fa suo il materiale di base e lo eleva all'ennesima potenza, trova in Peter Weller il perfetto interprete per il cyberpoliziotto di Detroit e, con l'aiuto di un Rob Bottin al solito geniale, crea un indelebile pezzo di narrativa fantascientifica.



"RoboCop" è, alla sua base, una satira della reaganomic imperante, una maschera deformata del presente che si fa monito per il futuro. Alex Murphy, la sua morte e la sua rinascita altro non sono che un meccanismo del gioco di potere all'interno della OCP, impegnata nell'ultima frontiera dell'industria, ossia la privatizzazione della polizia. Il tono sarcastico sfocia gloriosamente nel grottesco per dipingere in modo feroce un mondo in cui la vita umana non vale nulla, come nella scena del test dell'ED209 (creatura del geniale Phil Tippett, che ne cura anche le belle animazioni in stop-motion): un impiegato a caso viene usato come cavia, massacrato dai cannoni della macchina in un bagno di sangue, ma la sua morte non turba i vertici dell'azienda, decisamente più preoccupati dalle scarse prestazioni del robot.
Il futuro di "RoboCop" è disumanizzante: gli uomini hanno perso ogni forma di empatia, cercano solo di affermare sé stessi in modo violento, trionfare sul prossimo come cavernicoli in uno "stato di natura" mascherato da civiltà, siano essi i criminali di strada guidati dal mefistofelico Clerence Brodicker o i colletti bianchi del suo mandante Dick Jones.




Futuro che altro non è se non una distopia grottesca nella quale tutto è esagerato, pompato al massimo volume fino all'iperbole; è, in pratica, il presente degli anni '80 sotto steroidi e per questo è riuscito ad essere profetico. 
Lo strapotere delle aziende e lo squallore della speculazione sono affiancati ad una telecrazia nella quali mezzi busti sorridenti riportano notizie di violenza esasperante in modo gioviale, ripulendone i dettagli più macabri per servirle al pubblico come uno spettacolo serale, mentre spot pubblicitari aggressivi declamano prodotti sempre più sgargianti e inutili, volti a de-umanizzare ulteriormente un essere umano che è visto come mero acquirente o utente. L'uso del discorso diretto, in questo caso, riesce davvero ad esaltare la portata satirica di questi show di bonaria spettralità, suscitando una risata isterica ad ogni apparizione.




In tutto questo, RoboCop è il futuro, una macchina in grado di sconfiggere la criminalità per rendere più sicure quelle strade pronte ad essere riqualificate e gentrificate dai potenti, mentre nulla può contro questi ultimi, scudati dalla famosa "direttiva 4", sovversione tragicomica delle leggi della robotica di Asimov che impedisce alla legge di perseguire un dirigente corporativo.
Ma "RoboCop" ha anche un centro emotivo ben preciso. Nelle intenzioni di Verhoeven, quella del protagonista è per prima cosa una metafora cristologica: Alex Murphy è il Gesù americano, che dopo essere stato messo in croce dai malvagi risorge dalla tomba per portare una "giustizia americana", che in quanto tale non concerne il perdono, ma la vendetta violenta contro i trasgressori, massacrati a cannonate senza appello.
Al di là di questa divertente "lettura d'autore", quella di Murphy è una parabola di riscoperta della propria umanità. Divenuto un mostro di Frankestein futuribile, l'uomo dentro la macchina ritrova la propria umanità e la propria identità, riacquistando lo status di persona dopo essere stato de-umanizzato per fini commerciali, in un trionfo dello spirito umano sulla mercificazione.




Verhoeven vira tutto all'eccesso. Il sottotesto satirico viene ben cucito all'interno di una confezione di puro genere, con inseguimenti e sparatorie ottimamente coreografate.
La violenza è deflagrante, tanto che lui stesso ammetterà di aver tentato di creare il film più violento mai fatto. Lo splatter è talmente esagerato da divenire folle, grottesco, come quello di una commedia horror dell'epoca e sfocia facilmente nel parossistico, come nella morte di Paul McCrane, trasformato in una sorta di mutante dalle sostanze e chimiche e letteralmente spiaccicato da una macchina, omaggio di Rob Bottin al suo lavoro svolto in gioventù sul set di "The Incredible Melting Man" e che qui dona al tutto una nota ancora più esagerata. Ma quando il gore deve colpire duro, riesce perfettamente nell'intento, come nella celebre sequenza della morte di Murphy, in cui il corpo dell'agente viene letteralmente smontato un pezzo alla volta dai cattivi, in un tripudio di arti amputati e grida di dolore strazianti.




E proprio il lavoro di Bottin merita un elogio a parte, a partire dal design di RoboCop. Basato in parte su quello di "Rom the Space Knight" della Marvel (che infatti appare sugli scaffali nella scena della rapina al minimarket) è la perfetta sintesi di uomo e macchina, un robot dal volto umano la cui carne è stata letteralmente avvolta dall'acciaio per diventare una sorta di carro armato umanoide dalle linee ancora oggi moderne e graffianti. Senza contare, poi, gli ottimi effetti splatter, disgustosi e dettagliatissimi.



Tanto che alla fine ci si chiede davvero in cosa questo stracult cyberpunk sia invecchiato; sicuramente gli effetti speciali in stop-motion lo datano irrimediabilmente come figlio della sua era; e quell'ultimo effetto speciale, il pupazzo di Dick Jones che precipita dalla finestra, già all'epoca della sua produzione era sotto gli standard qualitativi, unico neo in una produzione dagli ottimi valori produttivi.
La verità è che "RoboCop" non è invecchiato affatto, è una di quelle pellicole dal valore sempiterno che, almeno sino ad oggi, risultano perfettamente godibili e attuali. Record davvero non da poco.

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