mercoledì 15 maggio 2024

Interceptor- Il Guerriero della Strada

Mad Max 2

di George Miller.

con: Mel Gibson, Bruce Spence, Vernon Wells, Emil Minty, Michael Preston, Kjell Nilsson, Virginia Hey, William Zappa, Arkie Whitley.

Azione/Fantastico

Australia 1981















All'indomani dello straordinario successo di "Mad Max", George Miller e Byron Kennedy si ritrovano in una posizione un po' scomoda: hanno dimostrato il loro talento e la vendibilità del loro film e proprio per questo devono farne un seguito. Ma come mai sarebbe potuta proseguire la storia di un personaggio che si concludeva del tutto nell'ultima inquadratura?
La posta in gioco è forse ancora più alta che in passato, ossia dimostrare la capacità di dirigere qualcosa su commissione, di poter creare un prodotto da vendere, ma che al contempo non sia un mero giocattolo con il quale bissare il successo passato. Miller opta quindi per la più intelligente delle soluzioni, ossia usare il budget più consistente per riplasmare l'idea all'origine del primo film.
La ristrettezza di mezzi aveva infatti reso necessario svilupparlo in una scala tutto sommato piccola e a farne le spese era stato soprattutto il setting, fin troppo ordinario per un film ambientato in un futuro ai limiti dell'apocalisse. "Mad Max 2", d'altro canto, è forte di un budget di circa due milioni di dollari australiani dell'epoca, un capitale immenso per una produzione autoctona, il che gli permette di creare un mondo apocalittico perfettamente credibile.
Uscito nei cinema a partire dal dicembre 1981 (in Italia arriverà a partire dall'agosto 1982, riscuotendo ottimi incassi nonostante la magra estiva), questo sequel supera in tutto e per tutto l'originale e finisce per diventare un manifesto di estetica post-apocalittica pop che ancora oggi conta innumerevoli epigoni e debitori di ispirazione.



"Mad Max 2" ovviamente non è stato il primo ad immaginare la società futura come una gigantesca "wasteland", tantomeno il primo a portare avanti l'idea che con la fine della civilizzazione, la barbarie si sarebbe manifestata in primis come una forma di pazzia che avrebbe divorato bene o male tutti gli individui. A questo ci aveva pensato qualche anno prima il bel "Apocalypse 2024", dal quale Miller riprende anche l'idea di un mondo devastato ridotto ad un gigantesco deserto abitato da predoni e sconvolto da lotte tribali. Le differenze con il piccolo cult di L.Q. Jones e Harlan Ellison sono però diverse e consentono all'opera di Miller di aveva una sua forte identità. E in fondo, quello di questo sequel non è che la naturale evoluzione del mondo visto nel primo film, con le Terre Selvagge che si sono estese anche oltre Anarchie Road per invadere tutto il globo.
La crisi energetica è diventata perenne, la società è collassata. La situazione è degenerata a caus dello scontro tra due potenze belliche che si potrebbe pensare siano Usa e Urss, ma che dai documenti di produzione del film si scopre essere Iran e Arabia Saudita che, partendo dalla reale crisi politica del 1979, si sono distrutte a vicenda innescando una reazione a catena che a portano ad una devastazione in tutto il creato. Max continua a correre a bordo della fida V8 Interceptor, ma senza meta alcuna, cercando di sopravvivere in un mondo ostile, perennemente alla ricerca di benzina, ora il bene il più prezioso esistente.




Nella wasteland esiste solo la violenza, solo la legge del più forte. Le ultime vestigia della società si sono sgretolate e i sopravvissuti si sono radunati in sparute tribù in lotta tra loro. L'estetica che Miller inventa (differenziandosi dai suoi predecessori) è originale è accattivante: i selvaggi sono dei punk bardati con abiti di pelle borchiati e protezioni sportive trasformate in armature, mentre gli ultimi civilizzati sono agghindati con tute di un bianco immacolato e con turbanti, visto il loro ruolo di estrattori di petrolio. Tra le intuizioni estetiche che più di tutte si sono impresse nella cultura popolare ci sono ovviamente la tuta di Max, con quello spallaccio singolo e la manica tagliata, ma anche il look di Lord Humungus, con quella maschera da hockey usata per coprire un volto deforme che ha avuto fortuna imperitura nel cinema horror.
Come il mondo di "Apocalypse 2024", anche quello di "Mad Max 2" è il rottame della società odierna, dove gli oggetti comuni sono stati riconvertiti in utensili offensivi; ma a differenza del primo, il film di Miller opta per un'estetica più radicale, per questo decisamente più memorabile. Il debito di ispirazione con il cult del 1974 è poi esplicitato dal compagno canino di Max, che pare Ellison abbia stranamente gradito.




In questo nuovo mondo, Max è un personaggio diverso, quasi agli antipodi di quello che era diventato alla fine del primo film. Leggenda vuole che durante il tour promozionale del suo esordio, Miller abbia incontrato Spielberg e Lucas, i quali si sono complimentati con lui. Stupito, ha chiesto loro cosa trovassero di bello in un film del genere, al che pare che Lucas gli abbia spiegato le similitudini tra la discesa nella pazzia di Max e il cammino dell'eroe di Campbell. Miller ha così deciso di creare una sorta di arco narrativo per la sua creatura, che inizia e in parte si conclude in questo capitolo.
Max è all'inizio in tutto e per tutto un personaggio da spaghetti western, un pistolero senza nome e senza meta che vaga in una terra senza legge alla ricerca dei mezzi per sostenersi. Il parallelo con l'eroe leoniano è reso ancora più evidente nella sceneggiatura originale, dove, dopo il primo inseguimento con Wez, Max tirava in aria un cartello stradale e proseguiva il suo vagabondaggio nella direzione casuale che questo indicava, in una citazione della scena d'apertura di quel "Yojimbo" che altro non era se non il calco di "Per un Pugno di Dollari" (scena poi eliminata in fase di riprese).




Max non è un eroe, non cerca di riportare l'ordine o di raddrizzare i torti. Non è, in tal senso, neanche un antieroe convenzionale, visto che non ha dei veri e propri valori da perseguire a suo modo. E' semplicemente un sopravvissuto che vive alla giornata, difendendosi dagli attacchi di personaggi che potrebbero essere come lui se fossero dei solitari. Tanto che l'incontro con lo strambo capitan Gyro (interpretato dal fortunato caratterista Bruce Spence) è del tutto casuale e la loro alleanza puramente opportunistica, così come lo è la decisione di difendere la tribù di estrattori.
Situazione che cambia nel terzo atto, dove questo sopravvissuto menefreghista, spogliato di tutto quello che aveva, decide volontariamente di guidare la fuga verso la salvezza degli alleati di convenienza, di divenire l'ago della bilancia nello scontro tribale. Alla fine, Max diventa un eroe, anche se in senso lato, un uomo che ha deciso volontariamente di sacrificarsi per il bene altrui senza avere nulla in cambio. Il suo atto diventa così un mito, la leggenda di una nuova era, tanto che tutto il film è narrato attraverso il ricordo del Feral Kid, il bimbo selvaggio che vede in Max una figura paterna. Ed è proprio tale rapporto che permette all'eroe di trovare per la prima volta una forma di ideale, in quello sguardo idolatrante del surrogato di un figlio che ha perso, che ora non vorrebbe, ma che non riesce a non proteggere.




La storia è come da copione ridotta all'osso, ma è qui che Miller inizia davvero ad utilizzare una narrazione secca, fatta principlamente di immagini. L'influenza del tanto amato cinema muto si riscontra nell'uso scarno dei dialoghi, davvero pochi e adoperati solo quando strettamente necessario. A parlare sono le immagini e la musica altisonante di Brian May, le quali illustrano da sole eventi e personaggi; i quali sono più profondi di quanto uno sguardo superficiale possa far percepire. Basti vedere i rapporti tra gli Humungus, le bestie fin troppo umane nel relazionarsi tra loro: la furia di Wez è dovuta all'uccisione dell'amato (anche se Vernon Wells ha più volte sottolineato come, lasciato libero di creare un background al suo personaggio dal regista, abbia deciso di vedere nella loro relazione quella di un padre surrogato e di un figlio acquisito, in un parallelo forzato, ma interessante con quello del personaggio di Max), mentre il rispetto che Lord Humungus ha per la sua "bestia prediletta" è tutta nel modo in cui cerca di calmarlo per evitare che si autodistrugga.
Quella di Miller è così una storia certamente essenziale, ma mai banale, ovviamente messa del tutto al servizio dell'azione. La quale è tutt'oggi qualcosa di incredibile.




Il budget più alto gli permette di muovere più veicoli in sequenze adrenaliniche, tutte tirate su con un gusto per la coreografia esemplare. La sua mano è fermissima e il suo occhio riesce sempre a catturare al meglio le singole azioni, persino quelle più complesse, come nel famoso inseguimento finale. Il quale, per forza di cose, è l'apice di tutto il film e forse della sua intera filmografia.
Rilettura fantastica del classico assalto al treno di tanto cinema western, l'assalto alla cisterna  è il coronamento di circa 90 minuti di adrenalina che in quest'ultima parte accelera fino ad impennarsi, una vera e propria lezione di cinema compressa in un'unica sequenza. La cadenza del montaggio è perfetta, ogni inquadratura si incastra a dovere (persino quelle dove la luce cambia, errore dovuto al poco tempo a disposizione per girare, cosa ovvia in un film dal budget comunque non esorbitante). Inseguimento che Miller segmenta in piccole scene dotate della giusta carica drammatica, soluzione che gli permette di rallentare e aumentare il ritmo a cadenza regolare senza infiacchire la durata generale; il climax lo si raggiunge nella scena nel quale il Feral Kid deve recuperare la cartuccia, apice risolutivo che prelude ad un colpo di scena ovvio solo a posteriori (benché anticipato da un piccolo errore di continuità qualche minuto prima).




Ancora oggi, la perizia stilistico-estetica che Miller sfoggia in "Mad Max 2" ha ben pochi eguali e l'intero film non ha perso davvero nulla della sua carica spettacolare e del suo fascino selvaggio. Il suo lascito è ancora forte, con quell'immaginario post-apocalittico ripreso quasi ovunque. Senza contare come, assieme al coevo "1997: Fuga da New York", già all'epoca avesse creato un vero e proprio genere exploitation, ennesima prova della sua importanza.

2 commenti:

  1. George Miller pensa a John Ford e dirige il suo assalto alla diligenza, risultato? Storia del cinema rivoltata come un calzino per sempre, enorme capolavoro. Cheers!

    RispondiElimina