con: Zendaya, Mike Faist, Josh O'Connor, Naheem Garcia, Jake Jensen, Bryan Doo, Shane T.Harris, A.J.Lister, Darnell Upling.
Usa, Italia 2024
Avevamo lasciato Luca Guadagnino con quel "Bones and All" che aveva dimostrato come anche lui sia in grado, quando vuole, di creare storie convincenti e coinvolgenti, non meri esercizietti di stile compiaciuti della e nella loro pochezza. Lo ritroviamo con questo "Challengers", tanto chiaccherato per le scene di sesso spinto anche prima della sua effettiva presentazione al pubblico, il quale si rivela fatalmente come la sua ennesima prova incolore.
Il tennis come relazione sentimentale, le relazioni sentimentali come una partita a tennis. Guadagnino imbastisce una nuova storia d'amore libero e tormentato dopo "A Bigger Splash" e proprio come in quest'ultimo film non si accorge dei limiti della sua visione.
La storia è super classica: Art Donaldson (Mike Faist) e Patrick Zweig (Josh O'Connor) sono due promesse del tennis e amici inseparabili fin dall'infanzia, inconsciamente attratti l'uno dall'altro. L'incontro con la bellissima Tashi Duncan (Zerndaya) porta alla nascita di un vero e proprio rapporto a tre che si protrae per anni.
Già a leggerla, la storia fa sorgere qualche dubbio: è praticamente una love-story omosessuale nella quale la donna è un elemento di disturbo, che però Guadagnino decide di declinare come un semplice rapporto a tre tra due amici uniti anche dalla tensione erotica e una ninfetta viziosa.
Scelta volontaria o del tutto inconsapevole? Difficile a dirsi, visto che la possibile profondità data dall'inconsapevolezza dell'attrazione tra i due protagonisti maschili viene fugata fin da subito, quindi è come se l'autore abbia deciso volontariamente di leggere questo rapporto non come prettamente omoerotico, ma come puramente amicale-professionale, dove l'attrazione viaggia sottopelle anche quando viene a galla. Zendaya si ritrova così nuovamente a vestire i panni della stronzetta antipatica, un personaggio che oramai sembra non potersi più scuotere di dosso (tanto che finisce per ritornare, inaspettatamente, anche in "Dune- Parte Due"), con l'aggravante che questa Tashi Duncan risulta anche essere un personaggio incompleto, le cui effettive motivazioni sono davvero difficili da comprendere: perché fa realizzare l'attrazione ai due ragazzi solo per poi concupirne uno? Perché avvia la relazione con Patrick per poi farla naufragare di punto in bianco? Cosa vuole davvero da lui?
La sua storia sembrerebbe essere quella di una tennista ambiziosa la cui carriera viene rovinata da un infortunio e che per questo decide di vivere della luce riflessa degli altri, ma la manipolazione verso Patrick avviene prima dell'incidente, lasciando il dubbio sulla sua effettiva caratterizzazione psicologica. Quando poi, tredici anni dopo, li si ritrova ai ferri i corti, il motivo risulta esagerato anche quando si scopre della loro scappatella ai danni di un Art prossimo alle nozze.
Così che, alla fin fine, "Challengers" risulta semplicemente essere la storia di una manipolazione ai danni di due amici/amanti, ma che vorrebbe essere qualcosa di più, una storia sui rapporti sentimentali/amorosi/sportivi che però non va a parare davvero da nessuna parte, oltre che un film sul tennis dove però lo sport è poco più di un glorificato sfondo, apprezzabile solo dai patiti.
Lo stile di Guadagnino è talmente sopra le righe da scadere apertamente nel ridicolo, come al solito. Si parte dai dialoghi fluviali, in teoria la spina dorsale del racconto, tutti categoricamente stereotipati, oltre che privi di mordente e intelligenza. Si passa attraverso un simbolismo ilare, con la tensione sessuale tra Patrick e Art simboleggiata dai churro mangiati avidamente, trovata che persino un adolescente in piena crisi ormonale avrebbe trovato esagerata. Si arriva alla costruzione delle scene, che a sua volta passa da un montaggio pazzo a inquadrature pacchiane, come la soggettiva della pallina che fa somigliare una delle scene madri all'intro di un videogame; oltre all'uso apertamente cafone della musica di Trent Reznor e Atticus Ross, che Guadagnino spara a mille in normalissime scene di dialogo per enfatizzarne la carica drammatica, ma finendo con il risultare clamorosamente kitsch. E poi ci sono le famose scene erotiche, clamorosamente caste, dove a colpire è solo e unicamente la sensualità di Zendaya, per una volta sfruttata a dovere.
"Challengers" finisce così per dimostrare nuovamente quello che può essere definito come "il paradosso Guadagnino", quello di un autore troppo borghese per essere popolare e al contempo troppo rozzo per essere davvero elegante, il quale però vuole essere entrambe le cose senza però riuscire mai a trovare un equilibrio tra elementi dissonanti. Come spesso accade, chi troppo vuole nulla stringe.
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