venerdì 26 maggio 2023

Bones and All

di Luca Guadagnino.

con: Taylor Russell, Timothée Chalamet, Mark Rylance, Anna Cobb, Michael Stuhlbarg, André Holland, Kendle Coffey, Ellie Parker, Madeline Hall, Christine Dye, Sean Bridges, Anna Hall, Jessica Harper, Chloe Sevigny.

Italia, Usa 2022


















Luca Guadagnino è certamente uno dei cineasti italiani più apprezzati al mondo, oltre ad essere praticamente l'unico ad aver trovato terreno fertile a Hollywood (dove persino il pur ben accolto Stefano Sollima sembra aver trovato meno spazio). Eppure, quanti suoi film sono davvero memorabili?
Al di là del successo commerciale e di critica, "Suspiria" e "Chiamami col tuo nome" non sono certo pellicole riuscite. Se poi si trona ancora più indietro, a "Melissa P." e "A Bigger Splash", le cose peggiorano sensibilmente.
Non c'era quindi un vero motivo per aspettarsi di meglio da "Bones and All"; eppure, dinanzi alle sue immagini, si resta piacevolmente colpiti e a visione finita ci si accorge di come Guadagnino abbia finalmente trovato un suo equilibrio e creato un'opera riuscita.




Stati Uniti, anni '80. Maren (Taylor Russell) è una diciottenne che (ri)scopre di appartenere ad una genia di cannibali. Abbandonata dal padre, parte alla ricerca della madre, che l'aveva abbandonata subito dopo la nascita. Attraversando l'America incontra due suoi simili, l'anziano Sullivan (Mark Rylance) e il giovane e solo apparentemente scapestrato Lee (Timothée Chalamet).




Non un horror, neanche nella sua eccezione "elevated", "Bones and All" usa lo spunto orrorifico come metafora pura e semplice; anzi, quando decide di sconfinare nel "genere" (in particolare nel climax), Guadagnino si dimostra al solito incapace di costruire la giusta tensione, anche solo drammatica, per rendere le scene davvero tese.
Il suo sguardo è invece rivolto a questo pugno di bizzarri personaggi dalla natura mostruosa, ma al contempo dall'indole sin troppo umana.
Come i vampiri di Anne Rice, vivono ai margini del mondo, relegati per di più non in attici di lusso o agghindati in abiti firmati, ma nel limbo del sottoproletariato spiantato; come gli immortali di "Highlander" percepiscono la presenza dei loro simili a breve distanza, riuscendo così a riconoscersi facilmente. E come i primi e a differenza dei secondi, lottano disperatamente per conquistare dei legami affettivi, primo passo per trovare il loro posto in un mondo freddo.




Per i tre personaggi tutto ruota attorno al concetto di appartenenza e, in senso lato, di famiglia. Maren viene abbandonata dal padre e comincia il suo peregrinare per trovare una nuova famiglia, solo per poi scoprire come la madre non possa acoglierla (trovandola con le braccia mozzate, dimostrazione fisica di tale incapacità). Sullivan vuole avere un rapporto affettivo, una forma di condivisione delle esperienze, in modo talmente disperato che parla di se in terza persona per combattere la solitudine. Lee, da ultimo, va e viene dalla famiglia di origine e trova in Maren il primo passo verso la creazione di un proprio nucleo.
Famiglia come condizione necessaria per l'uomo e appartanenza come bisogno primario. Non per nulla, quando Maren scopre che nel "gruppo" di cannibali è entrato un estraneo, si sente minacciata e quando scopre, ancora, che una delle sue vittime aveva moglie e figlio, ha una forte crisi interiore, realizzando come abbia spezzato quel legame che lei tanto ricerca.
Il cannibalismo diventa così sublimazione di quel necessario rapporto affettivo, tanto che nel finale la consumazione diventa rito propiziatorio, suggellazione di un legame umano e amoroso. E Guadagnino, suo malgrado, ha dovuto spiegare più volte come tale metafora non sia in realtà ispirata ad Arnie Hammer e al bizzarro caso che ne ha disintegrato la carriera.




Guadagnino dirige bene il racconto, usando uno stile asciutto, con alcune trovate interessanti solo in fase di montaggio, con gli attacchi sull'asse reminiscenti di qualche visione kubrickiana; per il resto opera di sottrazione, affidandosi a singoli fotogrammi, ai volti e corpi di Taylor Russell e Chalamet, ma riesce lo stesso a creare immagini talvolta stuzzicanti.
"Bones and All" è quindi la dimostrazione che quando si impegna e rinuncia a voler strafare, quando decide di affidarsi principalmente alla storia piuttosto che alle atmosfere o ad una fascinazione per la violenza spicciola, anche lui possa confezionare ottimi exploit. Nella speranza che questo sia l'inizio per un cambio di rotta di una filmografia tanto celebrata quanto poco interessante.

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