con; Denis Menochét, Khalil Ben Gharbia, Isabelle Adjani, Hanna Schygulla,Stefan Crepon, Aminthe Audiard.
Drammatico/Biografico
Francia, Belgio 2022
Il fatto che il cinema di Rainer Werner Fassbinder sia ad oggi poco conosciuto (e non solo da parte delle nuove generazioni) è un peccato non unicamente per l'oblio al quale sue opere sono destinate, quanto per il fatto che la carica provocatoria che molte di queste hanno (e che è tutt'ora tangibile) finisce inevitabilmente per perdere di significato. Senza contare, poi, come molte delle tematiche da lui affrontate e sviscerate con passione, profondità e cognizione di causa sono tutt'oggi attuali e che molto cinema "da festival", creato da autori spesso sopravvalutati, cerca di fare lo stesso, ma senza averne la forza drammatica o espressiva.
A riportare nella memoria collettiva il compianto autore tedesco ci pensa così François Ozon, suo fan della prima ora, i cui melodrammi potrebbero essere visti come figli di quel cinema. E con piglio fortemente autoriale, crea una sorta di bio-pic che è soprattutto omaggio all'uomo e all'artista, ai suoi eccessi, ai suoi umori e amori.
Il punto di partenza è "Le lacrime amare di Petra Von Kant", che Ozon reinventa immergendo Fassbinder e il suo più grande amore, Armin Meier, come i personaggi principali, il regista Peter Von Kant e il suo grande amore Amir Ben Salem, creando uno specchio tra realtà e finzione, artista e arte, similmente a quanto fatto da Coppola e Wim Wenders in "Hammet- Indagine a Chinatown". Il che porta ad una prima e urgente considerazione.
La storia d'amore con Meier era già stata portata in scena dallo stesso Fassbinder nell'episodio da lui diretto di "Germania in Autunno", dove i due interpretavano loro stessi e declinavano la loro relazione come un dramma nel quale l'autore non celava il suo carattere irascibile, brusco, dipingendo l'amato come una vittima, similmente a quanto accade nei suoi film di finzione. Questo perché anche nella realtà Fassbinder dominava Meier, cosa che portò al suo suicidio, nel 1978, per elaborare il quale il grande regista cerò quella vera e propria confessione intitolata "Un Anno con 13 Lune". Declinare questa storia ponendo al centro Fassbinder e invertendo i ruoli di dominatore e dominato potrebbe quindi essere visto come un'operazione falsa, prima ancora che di cattivo gusto.
Anche per questo, Ozon mette le cose in chiaro in almeno due parti del film; più esplicitamente verso la fine della penultima sequenza, dove il personaggio di Sidonie accusa Peter di come nei suoi film interpreti sempre il debole, quando nella realtà è il forte. In secondo luogo, nell'incipit, con lo sguardo del vero Fassbinder che spicca su schermo a testimoniare come "Peter Von Kant" non sia tanto una biografia vera e propria, quanto un omaggio o, meglio, un atto d'amore verso di lui e il suo cinema. Senza contare come, nella seconda parte, sulle pareti della casa del protagonista spicchi un'immagine chiarificatrice, quella del personaggio di Amir visto come San Sebastiano nella famosa martirizzazione, per chiarificare ulteriormente come nella realtà, ribaltata come arte dall'altra parte dello schermo, fosse lui ad essere una vittima vera e propria.
Questa è dunque l'unica vera chiave di lettura dell'opera, ossia come una ripresa di un modello per omaggiarne il creatore; non un semplice bio-pic e neanche un semplice remake, quanto un'operazione di pura interpretazione personale di vita e opera.
Ozon riprende struttura e storia di "Petra Von Kant" e le fa sue. Infrange l'unita di tempo, trasformando le scene in sequenze con stacchi precisi e verso al fine rompe definitivamente anche quella di spazio e del punto di vista, riprendendo quello di Amir.
Peter Von Kant è così un doppio di Fassbinder, un alter ego che ha raggiunto un età che lui non ha mai compiuto, così come Amir è un'amante avaro ed egoista. Il personaggio di Sidonie diventa una diva e ex amante del regista (un po' Ingrid Caven, un po' Irm Hermann) che ha il volto dell'eternamente giovane Isabelle Adjani, mentre nei panni della madre ritroviamo Hanna Schygulla, che alle soglie degli 80 anni ha ancora una presenza scenica invidiabile.
Ozon trova poi in Denis Ménochet un perfetto volto e un perfetto corpo per la sua visione di Fassbinder, al quale l'attore infonde una fragilità tangibile, benché la volubilità del suo vero carattere riesca ad essere allo stesso modo ben rappresentata quando necessario.
Il dramma si consuma ripercorrendo la storia e le dinamiche dell'originale, con solo alcune variazioni. In primis, l'amore malato di Karl, che qui sostituisce Marlene, è sempre celato tra le pieghe dei suoi sguardi e nel finale, quando Peter lo accetta questa volta per davvero, lui lo rinnega se ne va, avendo realizzato il suo ruolo di rimpiazzo amoroso. Meno spazio viene concesso al personaggio della figlia Gabriele, forse anche in ossequio alla mancanza di paternità da parte di Fassbinder e Sidonie diventa amica, musa e ex amante, il cui ruolo resta sempre "tossico" ma è più centrale nella dinamica amorosa tra i due personaggi principali.
Tale dinamica è simile e diversa rispetto a quella di Petra Von Kant e di Karin. Mentre Petra vuole dominare e sottomettere per davvero l'amata, Peter, sebbene arrivi alla fine alla sua stessa realizzazione, ama Amir di un amore puro; la loro relazione comincia con l'attrazione e a questo primo stadio Peter vuole letteralmente rubarlo, usando la macchina da presa come strumento per carpirne l'anima e i sentimenti. Ma la sua attrazione è implicitamente più pulsante e viva di quella della sua controparte originaria, proprio perché affonda le sue radici in quella reale tra Fassbinder e Meier.
Benché nella seconda parte omaggi la fotografia di "Lola", la messa in scena è totalmente figlia dello stile di Ozon, tanto che persino i simboli dei manichini e delle bambole vengono messi da parte.
Il suo amore per il cinema di Fassbinder è poi tangibile non solo nell'operazione in generale, quanto soprattutto nell'attenzione ad alcuni dettagli che finiscono per diventare feticistici: il competo bianco indossato dal regista in diverse occasioni, la scenografia usata per spezzare il volto del protagonista, le note di "Each man kills the thing he love" che tornano sovente a sottolineare gli eventi come in "Querelle de Brest" e persino il poster alternativo di quest'ultimo che viene reinterpretato come locandina ufficiale del film, tra gli altri.
La rilettura del classico fassbinderiano fusa con la rilettura della sua biografia finisce così per funzionare. "Peter Von Kant" è così un perfetto omaggio al cineasta oltre che un perfetto dramma nel suo stile. Una dichiarazione d'affetto e stima puramente cinefila e profondamente umana, che può essere amata e compresa a pieno solo da chi conosce e ama il compianto cineasta bavarese, ma che, paradossalmente, anche allo spettatore in cerca di emozioni di certo non dispiacerà.
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