lunedì 5 febbraio 2018

Chiamami col tuo nome

Call me by your name

di Luca Guadagnino.

con: Timotheé Chalamet, Armie Hammer, Michael Stuhlbarg, Amira Casar, Esther Garel.

Drammatico

Italia, Usa, Francia, Brasile 2017
















Un amore ideale ed idealizzato, quello di "Chiamami col tuo nome". Un amore totale, basato sull'attrazione fisica ed intellettiva. Un amore che diviene centro totalizzante di un'opera che, al contrario di ciò di cui narra, è fredda ed inconsistente.
Perchè tra lo script di James Ivory e l'occhio di Guadagnino, le pagine del romanzo omonimo vengono svuotate di ogni carica passionale, iscritte in un paesaggio italico fatto di sola beltà (come al solito nel cinema di Ivory), anch'esso controparte idealizzata del sentimento. E le immagini di Guadagnino, tutte rigorosamente girate con la sola ottica da 35mm per chissà quale motivo, non trovano mai quella poesia rincorsa per la bellezza di 132 minuti, finendo presto per risultare pretenziose, oltre che esteticamente piatte.



L'amore di Elio ed Oliver è vivo, nasce dalla contemplazione di quel corpo scultoreo che Armie Hammer sfoggia come il bronzo ritrovato in fondo al lago di Garda; e da attrazione fisica, diviene presto comunione intellettiva, data dall'erudizione, quasi radical chic, che trasuda da ogni scena: la formazione classica, l'amore per la scrittura e la musica, divengono l'humus per il sentimento amoroso.
Un amore che Guadagnino decide saggiamente di contemplare, di non mostrare mai troppo esplicitamente (anche se con l'orrenda sequenza della pesca si contraddice vistosamente), avvicinandosi ai personaggi ed al loro mondo in modo casto, come uno spettatore occasionale che passa per le vie dei borghi o che si ritrova a spiarli nella villa.



Se l'intenzione era quella di trovare una forma filmica non invasiva, il risultato è perfetto. Fin troppo, tanto da sfociare sin da subito nel pretenzioso. Nulla viene davvero concesso al sentimento, nè da parte della messa in scena, tantomeno dalla scrittura. Ogni sequenza è chiusa in un mutismo assoluto, che vuole comunicare solo la superficie di ogni cosa, dall'arte costantemente tirata in ballo, al mistero dell'amore.




Forse rifacendosi ad Antonioni, Gudagnino si distacca da ogni cosa per farsi indagatore silenzioso; ma finisce altresì nel vacuo: davvero nulla viene comunicato dai dialoghi scarni, dalle immagini fredde, talvolta persino dalla fisicità degli attori, da quella statuaria di Hammer a quella acerba di Chalamat. Persino il frutto proibito che dovrebbe essere la relazione, omosessuale ed ai limiti della pedofilia, si perde nel nulla.




Questo anche perchè "Chiamami col tuo nome" non vuole essere un film sull'amore, nè sui sentimenti, quanto una mera cronaca su di una relazione particolare, apparentemente fuori dagli schemi. E nel cinema italiano, pur ritroso a trattare l'argomento dell'omosessualità in modo diretto e serio, esempi del genere non sono in realtà mai mancati, quindi anche la presunta singolarità della storia è puro pretesto.
Tanto che alla fine, ci si accorge di come tutto il film altro non sia che un immenso nulla, compiaciuto del proprio ritmo inesistente, delle proprie immagini insipide e della presunta "dannazione" insita nella storia. Un'opera radical chic, al pari dei suoi autori, che vorrebbe comunicare tanto, ma che chiusa com'è in sè stessa diviene intollerabilmente insipida.

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