di George Ogilvie & George Miller.
con: Mel Gibson, Tina Turner, Bruce Spence, Frank Thring, Angelo Rossitto, Angry Anderson, Robert Grubb, Paul Larsson, George Spartels.
Avventura/Fantastico
Australia 1985
Laddove "Mad Max" aveva dimostrato al mondo il talento di Miller, "Mad Max 2" lo ha elevato a vero e proprio autore pop. Il suo nome viene associato sin da subito a quello dei più illustri colleghi di oltre oceano e nel 1983 si unisce agli estimatori Joe Dante e Steven Spielberg per lo sfortunato "Ai Confini della Realtà", nel quale dirige lo splendido remake dell'episodio "Nightmare at 20,000 feet", sfoggiando nuovamente grinta e talento da vendere.
Assurto a superstar, inizia a pensare al suo prossimo progetto e gli si fanno strada due opzioni, ossia un adattamento de "Il Signore delle Mosche" di Golding, del quale ha subito il fascino sin da giovane, oltre che l'adattamento del romanzo post-apocalittico del 1981 "Riddley Walker". Miller opta però per una scelta strana e decide di trasformare l'adattamento di Golding nel terzo film dedicato a Mad Max; un terzo film che fosse così più particolare, con una storia più curata e articolata e meno basato sulle sole sequenze d'azione. "Mad Max beyond Thunderdome" esce così nelle sale nel 1985 e chiude momentaneamente le avventure dell'eroe dell'era post-apocalittica, con una nota un po' strana e quasi fuori luogo. Per capire il perché, bisogna tenere a mente le circostanze che hanno portato alla sua lavorazione e le influenze che vi si sono riverberate.
Guardando il film finito, le similitudini con il libro di Golding sono palesi. Ma se ci si ricorda di "Riddley Walker" (pur tutt'oggi inedito in Italia) la visione si fa quasi sinistra. Il romanzo è infatti ambientato in una Inghilterra post-atomica dove il giovane protagonista inizia una strana avventura in un mondo ostile. Un mondo nel quale i sopravvissuti utilizzano armi e utensili del passato riadattati alle necessità future e nel quale aspetti ordinari della vita del XX secolo sono assurti ad una statura mitologica, idolatrati come leggende di un passato aureo.
Stando a quanto ammesso dall'autore Russell Hoban, fu proprio lui a contattare Miller al fine di avviare un adattamento del suo libro, cosa che poi non è andata in porto. Intervistato anni dopo l'uscita di "Thunderdome", ha ammesso come si fosse consultato con il proprio editore in merito ad una possibile azione legale contro Miller e soci, solo per rendersi conto di come di plagio vero e proprio non si potesse parlare. Pur tuttavia, la questione porta a interrogarsi su di un quesito scottante, ossia quanto Miller abbia "copiato" da altre fonti per i suoi film?
Questione che in realtà risale anche a prima di "Thunderdome". Se le fonti di ispirazione più ovvie sono anche quelle meno biasimabili, ossia Kurosawa, Leone e John Ford, oltre che Harlan Ellison e il cinema post-apocalittico anni '70 americano, alcune similitudini con specifiche pellicole non saranno di certo sfuggite all'occhio del cinefilo più attento.
Il primo "Mad Max" è per certo versi un ibrido tra il "tarantiniano" "Zozza Mary, pazzo Gary" e un misconosciuto film sui motociclisti australiano, "Stone" del 1974. Il termine "ibrido" non è usato con leggerezza, poiché i due film sembrano essere stati fusi insieme per creare qualcosa di nuovo, ma i rimandi sono fin troppo espliciti: in "Zozza Mary", i due protagonisti Peter Fonda e Susan George sono due teppisti che sfrecciano sulle highways americane a bordo di un auto truccata, inseguiti da un giovane sceriffo a bordo di una "interceptor" (slang dell'epoca usato per indicare le auto da inseguimento in dotazione alla polizia) ultimo modello, introdotta proprio come la mitica V8, con tanto di inquadrature simili; in "Stone", invece, la vicenda ruota attorno all'uccisione del leader di una gang di centauri tossicodipendenti ora in cerca di vendetta, con tanto di scena nella quale la bara del capo viene portata alla sepoltura dai suoi uomini in una processione funebre di motociclette; e con praticamente mezzo cast di "Mad Max", compreso un giovane Hugh Keays-Byrne.
L'idea di un mondo devastato e infestato da gang di predoni nel quale gli ultimi sopravvissuti si imbarcano in un viaggio utopico verso un idilliaco "ultimo Eden" è presente sia in "Thunderdome" che soprattutto in "Mad Max 2", ma era alla base anche di "Gli Sciacalli dell'anno 2000", dimenticato exploit del filone post-apocalittico del 1979 con Ernest Borgnine. Allo stesso modo, lo spunto di uno straniero che salva degli innocenti da una tribù di predatori per poi divenirne una leggenda mitologica era presente in "The Ultimate Warrior" ("Gli avventurieri del pianeta Terra" in Italia), altra pellicola post-apocalittica dimenticata nonostante la presenza di due attori del calibro di Max Von Sydow e Yul Brynner come protagonisti.
Tali debiti di ispirazione, benché talvolta palesi, non fanno certo gridare allo scandalo, poiché Miller riesce comunque a dare ai suoi film un'identità propria e forte al punto di imprimersi indelebilmente nella memoria collettiva. Il suo lavoro è quindi incontestabile e il debito è facilmente scusabile. Le similitudini tra "Thunderdome" e "Riddley Walker" sono invece francamente imbarazzanti, soprattutto quando si viene a conoscenza del fatto che Miller fosse stato contattato per farne un adattamento.
Se tale difetto finisce per comprometterne la riuscita, non è di certo l'unico a colpire un'opera la cui realizzazione è stata castrata anche da una vera e propria tragedia.
Il 17 luglio 1983, Byron Kennedy resta coinvolto in un incidente in elicottero e muore ad appena 33 anni. George Miller è a dir poco scioccato e slitta in uno stato ai limiti del catatonico. La produzione di "Thunderdome" è già iniziata e si è protratta quel tanto che basta per rendere impossibile cassare il progetto, che deve così andare in porto con o senza i creatori della serie.
Forse come forma d'obbligo verso il compianto amico, Miller decide di procedere, ma non ha la forza di dirigere di suo pugno tutto il film. Decide così di dividere la produzione in due fasi e portare a bordo un collaboratore che lo sostituisca alla regia di gran parte delle scene. La scelta cade su George Ogilvie, autore di produzioni televisive che Miller aveva avuto come mentore ai tempi della sua formazione come filmmaker. Con l'incedere della produzione, il ruolo di Ogilvie si fa via via più consistente, tanto da arrivare a dirigere praticamente tutto il film, fatte salve le sole sequenze d'azione, le uniche portate in scena da Miller in prima persona, il quale, pur restando presente sul set anche nelle parti delegate a Ogilvie, lascia che sia sempre quest'ultimo a tenere le redini della produzione.
Se già questa divisione dei compiti si riflette in modo diretto sul ritmo, creando un racconto altalenante, l'ultima stoccata alla messa in scena viene data da un fatto a dir poco curioso: a pochi giorni dall'inizio delle riprese, l'attore ingaggiato per il ruolo di Jedediah il Pilota si tira indietro. Lasciato vacante uno dei ruoli principali, Miller decide di correre ai ripari nel più strambo dei modi, ossia affidandolo a Bruce Spence, che da capitano del girocottero ora diventa pilota d'aereo, con la conseguenza che questo nuovo personaggio finisce per essere giustamente scambiato per lo stesso del film precedente, ingenerando una facile confusione negli spettatori.
Per lo meno, il resto del cast viene confermato: ritroviamo Mel Gibson nuovamente (e per l'ultima volta) nei panni di Max Rockatansky e niente meno che Tina Turner in quelli della cattiva Aunty (letteralmente "zietta") Entity, la quale canterà per il film anche le due canzoni, poi divenute hit, "We don't need another hero" e "One of the living".
Costato circa dieci milioni di dollari americani, "Thunderdome" ne incassa poco meno di quaranta in tutto il mondo, rivelandosi come un successo inferiore rispetto ai precedenti, cosa normale per l'epoca; ma, ad oggi, resta il capitolo meno riuscito dell'intera saga.
A colpire è in primo luogo lo scarto di tono rispetto ai film precedenti (e al successivo "Fury Road" quando messo nel contesto dell'intera serie): laddove negli altri film si ha la sensazione di assistere ad uno spettacolo per adulti dove il tono grottesco enfatizza la violenza grafica anziché stemperarla, in "Thunderdome" il tono è più bambinesco quando si tratta di ritrarre le barbarie future; con la conseguenza che sembra di assistere ad un cartone animato dei Looney Toons un attimo più violento al posto ad un'epica fantascientifica di stampo post-atomico (non per nulla, uno dei bambini ha con sé un pupazzo parlante di Bugs Bunny, forse, tra le altre cose, omaggio di Miller all'amico Joe Dante); tra padellate in faccia tirate da bambini guerrieri pre- "Hook", incidenti catastrofici dove (quasi) nessuno si fa davvero male e quell'Ironbar sorta di Wez dei cartoni animati che muore allo stesso modo del suo predecessore, ma lanciando un infantile dito medio, è come se Miller abbia voluto ampliare il suo pubblico di riferimento verso quei bambini/ragazzini che di solito non sarebbero stati ammessi alle proiezioni dei suoi film. Con la conseguenza, ulteriore, che non si riesce a prendere più di tanto sul serio questa seconda scorribanda di Max nell'era della post-apocalisse.
Il mondo di "Thunderdome", poi, è tanto simile quanto diverso da quello di "Mad Max 2", del quale dovrebbe una sorta di evoluzione. Stando alla sceneggiatura, sono passati circa quindici anni da quando Max ha salvato gli estrattori dagli Humungus e la wasteland è in tutto e per tutto una nuova società nata dalla barbarie, dove le tribù hanno iniziato a riunirsi in sparuti villaggi organizzati come città-stato.
Ma nel gap tra film è successo qualcosa di importante, lasciato però troppo tra le righe, ossia niente meno che la guerra nucleare. E' qui che la saga di "Mad Max" diventa davvero post-atomica e il suo futuro non più quello degenerato per la crisi energetica, ma è stato anche flagellato dalla guerra nucleare. Eppure, in questa società neoarcaica non ci sono quasi tracce di radiazioni o mutazioni, tanto che se si tagliasse dal film il pezzetto nel quale appare il mercante d'acqua e i fotogrammi nei quali la cantastorie Savannah mostra il graffito del fungo atomico, nulla cambierebbe davvero.
Un mondo simile, ma non uguale, quindi. Il che è strano, perché per il resto tutto è una continuazione di "Mad Max 2"; su tutto, la continuità è data non solo dai costumi, quanto dalla scarsità di benzina: la maggior parte degli spostamenti avviene a dorso di animale e persino quel che resta della V8 interceptor è stata riconvertita in un carro (forse per questo il titolo italiano per la prima volta non fa riferimento alla vettura?), mentre i veicoli a combustione vengono usati solo in casi estremi.
Il secondo scarto che colpisce è quello dato dalla regia, sia se si mette questo terzo film a paragone con gli altri, sia che si comparino le singole parti del film per se stesse. Miller si è praticamente limitato a dirigere le scene d'azione e il suo polso è sempre saldissimo; già la opening shot dell'aereo di Jedediah che disarciona Max dal carro è una vera e propria lezione di cinema, ma a colpire è soprattutto il duello nel Thunderdome: un'arena nella quale la fisica viene gabbata grazie alle funi elastiche, finisce per essere la trovata più riuscita e iconica del film, grazie alla quale Miller riesce a creare un combattimento adrenalinico e lungo quanto basta per lasciare soddisfatta la sete di spettacolarità già a metà film.
Ma quando si tratta delle sequenze dirette da Ogilvie, le cose cambiano. Il suo stile di messa in scena è solido, ma manca dell'occhio geniale di Miller, scadendo talvolta a causa di trovate strambe, come il combattimento nell'attico di Aunty, dove la caduta di una delle guardie nella botola non viene graziata neanche di un'inquadratura apposita. Il suo ritmo è pacato e quando si tratta di ritrarre la meraviglia di Max nello scoprire la tribù dell'aereo e la leggenda del capitano Walker (altro rimando al romanzo) funziona a dovere. Ma per il resto rasenta i limiti del fiacco, affossando in parte anche la tensione che sarebbe necessaria a rendere il racconto avvincente, come nelle scene delle sabbie mobili.
Proprio a tal proposito, Ogilvie, a differenza di Miller, non riesce a celare a dovere i debiti visivi verso David Lean e il mitico "Lawrence d'Arabia", tanto che determinate scene (come quella delle sabbie mobili, appunto) e precise inquadrature vengono riprese di peso dal film del 1962, aumentando il tasso di derivativià di tutto il film.
Derivatività che purtroppo si fa manierismo nel finale, con quell'ultimo e unico inseguimento del film che altro non è se non un rifacimento della mitica fuga finale di "Mad Max 2". Abbiamo nuovamente una fuga appunto, quella di Master e dei bambini da Aunty; abbiamo nuovamente un veicolo principale preso d'assalto da auto più piccole, questa volta un treno; abbiamo nuovamente una tribù di civilizzati contro una di selvaggi, solo a ruoli invertiti questa volta, con gli abitanti del villaggio a fare da "cattivi". E abbiamo nuovamente Max che si sacrifica per permettere la fuga ai più e la sua figura che diventa leggenda per un popolo che si stanzia sul mare, il quale finisce per narrarne le gesta come quelle di un eroe mitologico.
L'influenza di Golding e di Hoban è poi sempre avvertibile nella parte ambientata nel villaggio dei bambini: questa altro non è se non una versione "sana" della società de "Il Signore delle Mosche", dove i giovani non hanno trasformato il loro regno in una dittatura infernale del più forte sul più debole, forse proprio a causa della religione verso il capitano Walker; e oltre a tale nome, il romanzo di Hoban viene ripreso nel modo in cui i bambini utilizzano i cimeli del passato dando loro una valenza religiosa, come il vinile o i pezzi dell'aereo.
L'originalità di questo capitolo è quindi scarsa e appena sufficiente a dargli una propria identità. Alcune trovate meritano però un forte plauso, come il Thunderdome appunto, o la scelta di girare gli esterni nel deserto sabbioso e in quello salino, in modo da ritrovare un look diverso da quello dell'Outback e il suo deserto di terra rossa. Apprezzabile è anche lo sforzo di caratterizzare Max come un ritrovato eroe, che non ha un arco caratteriale vero e proprio e che decide già a metà film di imbarcarsi in un'avventura per raddrizzare un torto che lui stesso ha inavvertitamente contribuito a creare.
"Thunderdome" finisce così per essere un mix di fascinazione e delusione, ad avere in parte una sua identità autonoma e in parte una derivata da altre fonti riconoscibili. Quanto alla volontà di Miller di creare un "Mad Max con la trama", c'è poco da dire, visto che anche a storia è basilare.
In generale, un terzo capitolo in tono minore, con giusto qualche spunto e qualche trovata interessanti.
Bellissima la tua analisi! Non sapevo che Miller avesse fatto "poco", anche se sapevo della tragedia che l'aveva colpito. Anche io lo considero da sempre il peggiore della trilogia originale, però da tempo voglio rivederlo. Lo rivaluterò? Chissà! :--)
RispondiEliminaTi ringrazio. Si può sempre rivalutare, ovviamente dipende da ciò che uno apprezza o meno. Qui qualcosa in effetti c'è.
EliminaL'ho sempre trovato una grandissima satira sulla televisione e la teledipendenza, il più strambo della cucciolata. Ma se Fury Road è stato cesellato dettaglio su dettaglio, lo deve proprio a "Thunderdome" dove Miller ha preso questa buona abitudine. Cheers!
RispondiEliminaIn effetti la metafora sulla tv spazzatura c'è tutta, ma secondo me non riesce a salvare il film più di tanto.
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